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Turismo alla prova del fuoco

Con la caduta dei divieti di spostamento tra regioni imposti dalle norme per contenere l’epidemia, il settore prova a rialzare la testa. Alle spalle tre mesi devastanti che hanno portato al crollo …

Pubblicato il: 04/06/2020 – 9:31
Turismo alla prova del fuoco

di Roberto De Santo
CATANZARO A pochi giorni dall’avvio ufficiale della stagione turistica estiva restano troppe incognite per comprendere gli effetti del ciclone Coronavirus sul comparto strategico per la Calabria e per l’Italia intera. Nonostante l’apertura totale delle frontiere tra regioni e – quasi completa- tra i Paesi membri dell’Europa restano decisamente molte le variabili imponderabili. Non legate appunto strettamente al prosieguo di un lockdown che in oltre tre mesi ha travolto, azzerando fatturati ed occupazione in questo lasso di tempo, ogni angolo del Paese. Calabria, ovviamente, compresa.
A pesare sul proseguimento della stagione – o meglio sull’avvio – gioca un fattore decisivo la componente emotiva, cioè la percezione da un verso della sicurezza sanitaria che quel determinato territorio detiene e dall’altro i timori generati da questo eccezionale momento storico che sta vivendo l’intero Pianeta. Sono così complesse e dunque indeterminabili queste variabili da azzerare praticamente qualsiasi dato statistico sui flussi turistici che si sono registrati in questi decenni. Tanto da far definire dagli esperti del settore come il nuovo anno zero del turismo. Questo perché non ci sono riscontri storici ad un evento come quello della pandemia da Covid-19 per la portata mondiale degli effetti che hanno decisamente inciso sulla voglia di mobilità delle persone. Non soccorrono a questo proposito le crisi economiche che si sono succedute, ultima delle quali quella del 2008. In quel caso ad influire sul calo dei flussi turistici c’erano “solo” gli effetti economici di una gravissima recessione. Per il 2020 a questi si sommano appunto gli aspetti emotivi. Tanto da volersi poggiare, con un tentativo di riequilibrare le sorti della stagione, sul brand “Covid-free” e su quello costruire percorsi privilegiati per cercare di accaparrarsi fette di mercato straniero, in libera uscita dai territori più compromessi dalla pandemia. Una strada in qualche modo intrapresa dalla Regione Calabria che come altri territori che hanno registrato bassi livelli di contagio nel corso della pandemia stanno appunto puntando su questo “messaggio positivo” che dovrebbe incoraggiare i potenziali turisti. Allo stato comunque tranne timidi segnali di nuovo interesse è difficile comprendere quale sarà il bilancio finale sul turismo calabrese per l’anno in corso.
Senza elementi di confronto con eventi così catastrofici, i dati che segnavano un avanzamento in termini di presenze ed arrivi per il turismo nostrano negli ultimi anni sono stati di fatto azzerati dallo tsunami Coronavirus e non consentono ora di fare alcuna previsione sull’andamento della stagione estiva ormai alle porte. Decisiva per tirare le somme sul quadro economico del comparto caratterizzato praticamente per intero dai flussi turistici che si registrano nelle strutture calabresi. L’alta stagionalità del settore resta infatti il vero e grande tallone d’Achille del turismo calabrese.
Per cercare di comprendere la dimensione di quello che potrebbe tradursi nell’anno più nero per l’intera filiera turistica nostrana – che raduna non solo gli operatori che lavorano nel settore della ricezione ma è onnicomprensivo di quanti su questo comparto traggono reddito ed occupazione (con ricadute positive ovviamente anche nel settore commerciale) – non resta che fare i conti con i primi studi che sono stati effettuati da osservatori economici nazionali e locali. Indicatori utili per cercare di correre ai ripari e non compromettere definitivamente un’annata iniziata nel peggiore dei modi.
I DATI PRESUNTI A cercare di tracciare un quadro d’insieme sugli effetti del Covid-19 sul turismo del Paese è stato il centro Studi e ricerche per il Mezzogiorno (Srm). Nel paper “I nuovi scenari economici di fronte alla sfida del Covid-19 – La filiera turistica in Italia e l’impatto nel Mezzogiorno”, gli analisti dell’osservatorio del Gruppo Intesa-San Paolo, hanno puntato a monitorare l’impatto del Coronavirus sul comparto decisamente strategico per il Paese. In questo primo studio, gli analisti sono riusciti a calcolare i probabili effetti anche sulle singole regioni. Partendo da due ipotesi: una più “catastrofica” e cioè legata ad una ripresa del comparto molto lento; un’altra meno pessimistica con un recupero della domanda più accelerata.
Stando a questo modello previsionale – che aveva escluso l’ipotesi più estrema della chiusura delle attività per un lasso di tempo più lungo (di fatto scongiurato dalla riapertura del 3 giugno) – gli analisti del Srm hanno stimato un calo della domanda turistica nazionale tra il 20 e il 35% con una ripercussione, a secondo dello scenario che si potrebbe materializzare, che oscilla tra il 0,6 e 1% del Pil italiano. Questo significa in termini assoluti una perdita stimata tra i 9 ed i 16 miliardi.
Stando sempre a queste stime, nel Mezzogiorno per il 2020 potrebbe registrarsi – nello scenario peggiore – un calo di presenza pari a 29 milioni con una riduzione della domanda di circa un terzo. Una flessione importante che comporterebbe un impatto negativo sulla spesa turistica di circa 14 miliardi. Questo significherebbe un decremento che metterebbe a rischio 7 miliardi del fatturato del settore: in termini percentuali pari al 36%. Nell’ipotesi più clemente, per il Sud si materializzerebbe una flessione di presenza di 14,7 milioni con un calo della domanda turistica del 17%. In questo caso l’impatto negativo sulla spesa turistica annuale – stimata dagli analisti del Srm – sarebbe pari a circa 7,2 miliardi con un taglio del fatturato del settore di 3,6 miliardi di euro (pari a -18%).
Gli analisti hanno preso a parametro per valutare gli effetti economici del Coronavirus sul crollo del valore aggiunto del settore turistico il moltiplicatore di presenza, cioè l’unità di misura che indica quanto valore aggiunto genera una presenza turistica in più sul territorio. Seguendo questo parametro, il report ha stimato una flessione tra 1 e 2 miliardi di euro a secondo dello scenario ipotizzato. Scendendo nel dettaglio regionale, queste stime si traducono per quanto riguarda la Calabria in una flessione del valore aggiunto creato dall’intera filiera turistica pari a 87,4 milioni di euro in meno nell’ipotesi più pessimistica e 26 milioni nel caso di una migliore ripresa della domanda turistica nella regione. Ciò comporterebbe conseguentemente una perdita dello 0,3% del Prodotto interno lordo complessivo a fine anno ovvero dello 0,1%, nel caso di un effetto meno dirompente del calo di presenza turistiche in Calabria.
TRE MESI DA INCUBO In entrambi i casi, precisano gli analisti, si parte dal crollo di presenza turistiche stimato nel primo trimestre dell’anno pari a 35%. Mesi da incubo quelli relativi al primo trimestre che comprendono i dati dell’inizio della diffusione della pandemia in tutta Italia e che hanno poi portato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte a procedere al blocco totale di tutte le attività del Paese. E se anche la Calabria ha registrato minore diffusione del virus, lo stesso discorso non è valso per gli effetti negativi sul crollo di fatturato ed occupazione soprattutto nel settore del turismo. Effetti che nella prima fase della pandemia hanno comportato il fermo completo delle attività turistiche anche nel secondo trimestre dell’anno. In un’indagine effettuata dall’Osservatorio turistico della Regione Calabria – che ha somministrato un questionario a 200 operatori turistici per valutare l’impatto dell’emergenza Coronavirus sul territorio – è emerso che quasi la totalità di imprenditori (98%) ha dichiarato perdite economiche nella propria attività e la cancellazione totale delle prenotazioni relative al periodo di Pasqua. Effetti negativi che si sono riflettuti anche sulle aspettative della stagione estiva: circa la metà degli imprenditori hanno dichiarato un azzeramento delle prenotazioni, un 10% ha segnalato una diminuzione del 90% ed un altro 10% del campione, ha stimato un crollo delle prenotazioni del 80%.
Passando in rassegna il dato specifico delle ricadute economiche nei mesi bui della pandemia, la Regione stima che nel periodo compreso tra marzo e maggio – se il parametro fosse quello dell’anno precedente – si sarebbe registrata una flessione pari a 820mila pernottamenti per un mancato incasso relativo esclusivamente alle presenze all’interno delle strutture alberghiere di oltre 48 milioni di euro.
Ovvio che se questo dovesse essere il quadro che caratterizzasse anche il prosieguo dell’anno e soprattutto la stagione estiva sarebbe catastrofico per il settore con conseguenze devastanti per la tenuta economica del comparto e con ripercussioni pesanti anche sull’economia complessiva della regione.
LA CORSA A RECUPERARE IL TEMPO PERDUTO Di certo dei fattori oggettivi che peseranno sull’intera filiera turistica saranno legati alle norme in vigore per contenere il virus che hanno prima rallentato l’avvio delle classiche attività prodromiche all’avvio della stagione estiva e poi inciso sull’attuale potenzialità dell’offerta turistica locale. Le regole sul distanziamento hanno ridotto di non poco le capacità ricettive delle strutture a cui si sono sommati i costi in termini di tempo e di spesa per adeguarle alle nuove disposizioni sanitarie. Da qui la corsa a rimettere in piedi un settore che rischia di essere travolto completamente dall’emergenza sanitaria. Anche in Calabria nonostante il bassissimo numero di contagi e l’azzeramento di nuovi casi da diversi giorni ormai. Molto dipenderà da quanto l’avvio dell’operazione di marketing lanciata dalla Regione riuscirà a fare presa sui potenziali turisti. Una macchina complessa che è partita e che si spera possa restituire almeno in parte quella fetta di mercato che quasi sicuramente verrà a mancare proprio a causa del terrore scatenato dalla pandemia. (r.desanto@corrierecal.it)

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