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Gratteri in Antimafia: «Così cosche e massoneria deviata provano a delegittimarmi»

Più di un’ora e mezza di audizione per il procuratore capo di Catanzaro davanti alla commissione parlamentare Antimafia. Il racconto di un anno e mezzo di ostacoli per celebrare il processo “Rinasc…

Pubblicato il: 11/06/2020 – 21:47
Gratteri in Antimafia: «Così cosche e massoneria deviata provano a delegittimarmi»

di Alessia Truzzolillo
ROMA «Non c’è stato impegno da parte del personale del ministero della Giustizia, questo penso». È bastato mettere il pepe sulla coda del dicastero alla Giustizia con il clamore mediatico e un’interrogazione parlamentare per trovare la soluzione. E la soluzione per affrontare il problema, impellente, della fase preliminare del maxi-processo “Rinascita-Scott” – 476 indagati e 205 parti offese –, il cui inizio è previsto per fine luglio e il termine (per la sola preliminare) a fine dicembre, è una tensostruttura nel cortile del carcere di Catanzaro. Dopo un anno e mezzo di incontri, comunicazioni e conferenze permanenti il problema si è sbloccato solo due giorni fa con l’intervento diretto del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, giovedì, davanti alla commissione parlamentare Antimafia, lo ribadisce: «Non c’è stato impegno da parte del personale del ministero della Giustizia, questo penso». Oltre alla tensostruttura, c’è un edificio del Dap nuovo di zecca mai usato, al centro di Catanzaro, dietro al Tribunale per i minori, che in 12 mesi potrebbe essere adeguato e divenire l’aula bunker definitiva per il distretto di Catanzaro. E forse sarebbe già pronta se l’iter della ricerca non avesse trovato gli intralci di un disimpegno senza alcuna valida motivazione, del “No” offerto come unica soluzione. Ma procediamo con ordine.
CRONISTORIA DI UN DISIMPEGNO La relazione del procuratore Gratteri in commissione Antimafia è cronologicamente inoppugnabile.
Il 19 dicembre 2019, 334 persone in tutta Italia sono state arrestate nell’ambito dell’operazione dei carabinieri denominata “Rinascita-Scott”. Gli indagati, in quella prima fase, erano in tutto 416. Colpita al cuore la ‘ndrangheta vibonese con tutte le sue famiglie. Non solo. Avvocati, politici e professionisti di riferimento della feroce consorteria sono finiti nelle maglie dell’operazione che ha messo in luce il solido collante costituito dalla massoneria deviata.
Si prospetta da subito la necessità di un’aula bunker e viene investito del problema il ministro Bonafede il quale convoca i propri collaboratori per avvertirli di fare tutto ciò che è necessario a trovare una soluzione perché, parole del ministro, «si sta costruendo un contrasto serio alla ‘ndrangheta». «Nella realtà così non è accaduto», spiega Gratteri.
In verità già il 29 marzo 2019, il presidente della Corte d’Appello Domenico Introcaso, visto quanto si prospettava all’orizzonte, aveva scritto al capo di Gabinetto e al Dipartimento per il reperimento delle strutture idonee per avere una struttura idonea a creare un’aula bunker per contenere almeno 500 persone. «Dal 29 marzo 2019, formalmente – dice Gratteri – nessuno ci ha chiamato se non l’8 gennaio 2020 (quindi quando in tutta Italia era già scoppiato il clamore della maxi-operazione, ndr)». In quella data si fa una riunione nella stanza del capo di gabinetto del ministro della Giustizia, Baldi, alla quale era presente il vicecapo di gabinetto Massaro, la dottoressa Barbara Fabbrini, a capo del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, e altri magistrati e dirigenti del ministero della Giustizia. Memore del maxi-processo Aemilia, che si è tenuto in una tensostruttura, il procuratore Gratteri, durante quella riunione propone utilizzare la stessa soluzione costata circa 450mila euro.
TENSOSTRUTTURE E DRONI Ma arriva il primo no dalla Fabbrini la quale sostiene che la criminalità tramite un drone avrebbe potuto sganciare una bomba sulla tensostruttura. Un’ipotesi apparsa subito improbabile a un magistrato come Gratteri, sotto scorta dal 1989, e con qualche nozione sulle dinamiche delle ‘ndrine che mai colpirebbero un luogo che accoglie non solo i magistrati ma anche avvocati e detenuti. Senza contare che esistono gli inibitori di droni e che già a Vibo era stato abbattuto dai carabinieri un drone che svolazzava su una caserma. Il procuratore lo fa presente e da quel momento è un susseguirsi di chat e chiamate per trovare una soluzione. Gratteri ricorda tre conferenze al ministero della Giustizia alle quali ha partecipato con il presidente di Corte Introcaso: il 28 gennaio, il 10 febbraio e il 28 febbraio. Il 28 febbraio viene proposto di usare il Palamaiata di Vibo, un palazzetto dello sport da 3.200 posti dove gioca la squadra di Volley Tonno Callipo. La Provincia di Vibo è disposta a venderlo per 4 milioni di euro e il presidente della squadra, che ha in concessione la struttura, è disposto a rinunciare alla concessione e ai 300mila euro che ha anticipato per adeguare il palazzetto. Sembra fatta. Il 4 marzo un nuovo incontro nell’aula Livatino al ministero «ma il demanio non era disposto a spendere 4 milioni di euro», racconta il procuratore.
La situazione è in pieno stallo. Barbara Fabbrini mette i magistrati di Catanzaro davanti all’unica possibilità che i collaboratori incaricati dal ministro hanno trovato: celebrare il processo fuori dalla Calabria, a Palermo, a Napoli o a Roma. «Sarebbe una grande sconfitta per lo Stato se un processo venisse, per la prima volta, celebrato lontano dal luogo del commesso reato», dice Gratteri con rammarico. E pensare che lo sblocco per i lavori della nuova Procura di Catanzaro, che sarà pronta per luglio 2021, è avvenuta nell’arco di un pomeriggio in un incontro con gli ex ministri Orlando e Delrio. Non le manda a dire il procuratore Gratteri, la sua audizione è un fiume in piena, tira tutti giù dalla croce, fa nomi, elenca i fatti. «Devo dire che il vicecapo di gabinetto Massaro ci è stato sempre vicino, quantomeno sul piano morale», racconta.
Nel frattempo si diffonde la notizia del processo fuori regione. L’onorevole Wanda Ferro, di FdI, fa un’interrogazione parlamentare, la commissione parlamentare Antimafia, presieduta dal grillino Nicola Morra convoca il procuratore. C’è agitazione a livello bipartisan. Due giorni fa l’incontro con il ministro. Un incontro durato più di un’ora. «I suoi collaborato, ministro, non l’hanno ascoltata, non ci hanno aiutati», gli dice Gratteri. E i problemi, aula bunker a parte, sono molteplici: mancano 18 ufficiali nella sezione di polizia giudiziaria, c’è la vicenda della macchina blindata per la protezione del procuratore e il problema delle piante organiche. Col ministro viene percorso un intero anno di richieste e proposte inascoltate.
LA TENSOSTRUTTURA DIVENTA POSSIBILE Nel corso delle riunione con Bonafede è stata convocata la Protezione civile che si è mostrata disponibile a montare una tensostruttura nel carcere di Catanzaro Siano per fare udienza preliminare. La tensostruttura è diventata magicamente possibile. È stato inoltre individuato, dopo un giro di perlustrazione con il sindaco Sergio Abramo di Catanzaro, l’edificio ancora “incellofanato” di proprietà del Dap. Le soluzioni si sono improvvisamente profilate all’orizzonte dopo un anno e tre mesi.
LE FORZE CONTRO Al procuratore viene chiesto il perché di quelle forze che tendono a rallentare il lavoro sul distretto di Catanzaro. «Devo essere generico nella mia risposta – dice Gratteri – perché rischierei di violare il segreto istruttorio. Ci sono persone indagate che sono preoccupate per la mia presenza a Catanzaro. Ci sono disegni di delegittimazione sulla mia persona, tentativi di delegittimazione attraverso il dossieraggio e l’invenzione». L’arma usata, spiega Gratteri, è quella della stampa, di determinate testate, anche online. «Ho 62 anni e non ho mai denunciato nessuno, anche se ora smetto – dice Gratteri –. La verità è che la mia credibilità manda ai matti la ‘ndrangheta e la massoneria deviata».
La risposta è la fiducia della gente, dei «calabresi che sono stati quasi sempre usati e presi in giro» e che oggi fanno la fila davanti alla sua porta per denunciare i mali che li affliggono. «Ci sono centri di potere, ma ho le spalle larghe e i nervi d’acciaio perché sono abituato a tenere botta da 30 anni e non farò mai falli di reazione perché ho un obbiettivo, quello di fare bene il mio lavoro». A fare “rosicare” le forze avverse è anche la nuova gestione della Procura di Catanzaro. «Quando sono arrivato (a maggio 2016, ndr) c’erano arretrati da 16 anni. Oggi l’ultima ispezione del ministero ci ha definiti un modello per le Procure d’Italia».
TRIBUNALI DISTRETTUALI E LEGGE SEVERINO Gratteri batte il ferro sulla necessità istituire i tribunali distrettuali. «Ho sette magistrati che ogni giorno si spostano, con grande dispendio di tempo ed energie, per raggiungere i Tribunali di mezza Calabria, a Castrovillari, a Paola, a Crotone, a Vibo. Sono viaggi. Quando la politica si deciderà a istituire i tribunali distrettuali sarà sempre tardi». E per quanto riguarda la legge Severino e il bisogno di rinnovare la pianta organica, non mancano esempi e soluzioni. «La Sicilia ha 4 Corti d’Appello, alcune distanti tra loro di soli 65 chilometri – spiega –, la Lombardia ha due Corti d’Appello». Senza andare troppo lontano: «La Procura di Paola si trova a 30 chilometri da Cosenza ed è ancora aperta mentre è stato soppresso il Tribunale di Rossano che costringe a rivolgersi a Castrovillari che è difficile da raggiungere». «Gli sprechi mi danno molto fastidio», chiosa.
LA MACCHINA BLINDATA Nel corso dei suoi giri «col cappello in mano», Gratteri ha chiesto di tutto per il proprio Ufficio, stampanti nuove comprese. Riesce a scherzarci anche su: «Vorrei che mi sequestrassero il telefono per fare vedere le mie chat – dice – non è bene chiede per sé ma per il proprio Ufficio sì». Ha chiesto anche un’auto blindata, viste le gravi minacce che erano scaturite proprio in seguito all’inchiesta “Rinascita-Scott”. «A gennaio 2020 mi è stata assegnata una scorta di primo livello. Purtroppo spesso in Italia si abusa di scorte e di tutele ma io so bene quello che posso fare e quello che non posso fare, so quanto costa una scorta e quanto costa una tutela. La credibilità passa anche da questi dettagli. Quando ho chiesto l’auto blindata al ministero della Giustizia, sapevo che il Dap aveva due Jeep grand cherokee bianco panna, nuove, da immatricolare. Ne ho chiesto una. Mi è stato detto che non me la si poteva dare perché la può guidare solo la polizia penitenziaria poiché è notorio che io dall’89 non ho autista e guido la macchina da me, per mia scelta. E’ stato grazie alla sensibilità del Capo della Polizia se ho ottenuto due jeep uguali, una per me e una per la scorta. Dopo 4 mesi il ministero della Giustizia mi risponde che a mia disposizione c’è una Subaru da 120mila chilometri. Il problema non erano i chilometri ma il fatto che quella macchina a febbraio si era rotta sul raccordo anulare durante un mio spostamento. Io faccio 5.000 chilometri al mese per lavoro. La macchina non era adeguata e non ho potuto prenderla». Il problema ad avere le macchine del Dap pare fosse l’impossibilità di immatricolarle causa Coronavirus. Solo due giorni fa si è sbloccata la situazione, sempre grazie alla chiacchierata col ministro Bonafede.
È durata oltre un’ora e mezza l’audizione del Procuratore capo di Catanzaro, un uomo pratico «un agricoltore infiltrato nella magistratura», che ha invitato i parlamentari ad ascoltarlo e raccogliere i suoi suggerimento per costruire «una Calabria diversa». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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