di Roberto De Santo
LAMEZIA TERME Luca Bianchi, 52 anni economista, dal marzo del 2018 direttore della Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) e nella cui veste cura l’attività di approfondimento del principale istituto di ricerca italiano destinato allo studio delle condizioni socio-economiche del sud Italia che poi confluisce nei report annuali, si può definire una delle massime autorità italiane in materia di politiche economiche per rilanciare il Sud. Una lunga esperienza maturata all’interno dei ministeri, ma soprattutto, appunto, nella Svimez – di cui in passato è stato ricercatore prima e vice direttore poi – Bianchi senza dubbio può offrire indicazioni utili al Governo ma anche alla Regione su dove indirizzare il timone della strategia economica per uscire dalla crisi socio-economica innescata dall’emergenza Coronavirus.
Il Corriere della Calabria l’ha incontrato per comprendere quali scenari potrebbero aprirsi per la nostra regione e per il Mezzogiorno nella fase 3 dell’epidemia. A partire dalle scelte del Governo guidato da Giuseppe Conte che verranno maturate nel corso degli Stati generali che si terranno da oggi fino a domenica 21 giugno nella cornice di Villa Pamphilj, nel casinò di Bel Respiro a Roma.
Il Piano Colao per il rilancio dell’economia sarà sufficiente per ridurre il divario tra le due aree del Paese?
«Nel Piano Colao noto una mancanza di strategie concrete e scarsa attenzione alle disuguaglianze territoriali e soprattutto alle potenzialità del Mezzogiorno. E, sia chiaro, non perché non c’è il solito contentino, la rituale slide sul Mezzogiorno di cui non avverto affatto la mancanza, anzi, a dire il vero, meglio, perché ogni volta che è stata inserita e stata poi completamente disattesa e accantonata. Ma perché, di fronte alla più che probabile ripartenza su due binari, con una curva economica ad U per il Nord e ad L per il Sud (che qui non aveva ancora assorbito i danni conseguenti alla crisi del 2018) e a una pandemia che ha esasperato le diseguaglianze territoriali del Paese, mi sarei aspettato che fosse proposta un’attenta politica di ricostruzione nazionale, a partire da un’analisi delle peculiarità specifiche e dei diversi impatti che le politiche nazionali hanno sulle diverse aree del Paese. Invece niente di tutto ciò. Peccato, si tratta di un’occasione persa».
Il premier Conte ha lanciato gli Stati generali per l’economia del dopo virus, cominciati oggi. Ci sarete e cosa chiederete?
«Da Palazzo Chigi non è giunto nessun invito. Ma non si tratta di un problema di presenza della Svimez. Agli Stati Generali, pur se come una voce dall’esterno, proponiamo con forza che il Sud non sia considerato come una politica di genere o come una sorta di quota rosa. Quel di cui abbiamo urgente bisogno, e lo ripeto non solo nell’interesse del Sud ma dell’intero Paese, è un piano di politica industriale che punti alla riconversione di alcuni settori per attrarre investimenti esteri e alla riconversione delle aree industriali. E che, al tempo stesso, valorizzi le potenzialità del Mezzogiorno su settori trainanti della ripresa, quali investimenti, logistica e Green New Deal. È possibile destinare una quota rilevante delle risorse del “Recovery Fund” dell’Unione europea a politiche nazionali nelle quali sia presente un’evidente declinazione in chiave Sud. È come, ad esempio, per il piano delle infrastrutture, ne abbiamo bisogno ovunque, ma nelle aree meridionali certamente di più».
È partita praticamente la fase 3 dell’emergenza Covid. Come la immagina per il Mezzogiorno e la Calabria in particolare?
«La valorizzazione mediterranea dell’Italia è uno dei temi fondamentali per la ripartenza. Ma deve essere inquadrata in una strategia nazionale che parta dal Sud. Mi farebbe piacere confrontarmi su questo tema con il neopresidente di Confindustria, Carlo Bonomi, per dirgli che il sistema produttivo del Nord può ricavare solo enormi potenzialità da una grande ed efficiente piattaforma logistica meridionale. Vorrei che l’industria settentrionale si convincesse dell’utilità dell’investimento e del fatto che vanno valorizzate le complementarietà che legano il sistema produttivo e sociale delle due parti del Paese, il che farà bene alle regioni settentrionali e a quelle meridionali. In particolare alla Calabria, che esce da una fase difficile conseguente alla pandemia: dai nostri calcoli, infatti, oltre il 60% delle attività produttive della Regione è rimasto bloccato durante il lockdown. Vuol dire che si è fermato il 52% del fatturato e oltre il 53% dell’occupazione, nonostante il basso tasso di epidemia, per aiutare la tenuta sanitaria dell’intero Paese. Con un costo diretto sul valore aggiunto regionale di circa un terzo, poco meno di 10 milioni su un totale di 30».
Si parla sempre di risorse europee non spese soprattutto in Calabria. L’azzeramento del progetto della nuova aerostazione di Lamezia Terme ne è un esempio. Perché secondo lei si verificano questi incidenti?
«La Calabria, come il resto delle regioni del Sud, è in ritardo sui fondi europei. Ci sono ancora da spendere un miliardo e 700 milioni della vecchia programmazione. Le somme non spese riguardano i finanziamenti previsti dal Fondo sociale europeo e dal Fondo europeo di sviluppo regionale. Troppi sono i ritardi accumulati in questi anni. Infatti, dai conti dell’Agenzia della Coesione, emerge che, su un contributo totale che sfiora i due miliardi e 400 milioni di euro, le somme certificate al 30 aprile 2020 sarebbero di poco inferiori ai 700 milioni di euro, con un’incidenza sul totale del 29,3% e una massa di spesa ancora da certificare elevatissima. Quest’anno probabilmente l’utilizzo delle risorse europee per far fronte all’emergenza consentiranno di raggiungere i target, ma non dobbiamo consolarci. È mancata una strategia chiara, una identificazione delle poche vere priorità per il territorio su cui concentrare le risorse. Non da oggi, come Svimez, sosteniamo che il sovranismo regionale sia un errore. Perciò lancio un appello alla Calabria e anche alle altre regioni del Mezzogiorno: fare squadra, presentarsi insieme con un Progetto per il Paese che parta dal contributo del Sud al green new deal europeo. La verità è troppe volte alla retorica del regionalismo nordista si è contrapposta una classe dirigente del Sud, a volte d’indole neoborbonica, autoreferenziale che ha ridotto la capacità di rappresentanza dello stesso Meridione».
Eppure il tema delle risorse europee è fondamentale per mettere al passo la Calabria ed il Sud con il resto del Paese?
«Su questo punto vorrei essere molto chiaro. La Svimez ha sempre puntualmente denunziato i limiti sia in termini di dispersione delle risorse sia in termini di tempi d’attuazione delle risorse stanziate dall’Unione Europea. Detto questo, però, eviterei di credere che coi soli fondi Ue si possa uscire dalla crisi: serve accelerare la spesa ma serve una visione nazionale che si faccia carico, come accennavo prima, d’investimenti aggiuntivi nel Mezzogiorno per le grandi infrastrutture. Occorre cogliere le opportunità che il nuovo quadro europeo offre per concentrare le risorse del recovery Fund europeo e delle risorse della coesione in primo luogo su un piano di investimenti nelle infrastrutture sociali, per riequilibrare i diritti di cittadinanza negati, dalla sanità all’istruzione, e su un rafforzamento della capacità di spesa dei Comuni per riaprire i cantieri».
Se dovesse dare un consiglio alla Regione in tema di strategia politica economica: su cosa dovrebbe puntare la Calabria per riprendere quella timida marcia che aveva intrapreso pre Covid?
«La Calabria deve puntare sulle sue potenzialità, raccordandosi con le altre regioni mediterranee. Sul piano dello sviluppo industriale, accelerare l’attuazione della Zona economica speciale a Gioia Tauro e non disperdere le molte esperienze di start up nate nel corso degli anni, soprattutto intorno all’Università di Arcavacata, a dimostrazione di una forte vitalità dei giovani calabresi. Mi consenta un’ultima considerazione. Il capitale umano rimane la leva fondamentale per la crescita di questa regione. Non possiamo permetterci che con la crisi molti ragazzi calabresi decidano di abbandonare o di non iscriversi all’Università. È necessario intervenire con risorse dedicate per impedire che ciò avvenga. Mi associo alla proposta circolata in questi giorni da parte di alcuni intellettuali italiani di rendere gratuito nel prossimo anno accademico l’accesso alle Università pubbliche. Partiamo dalla Calabria». (r.desanto@corrierecal.it)
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