L’Italia è un Paese che ha bisogno più degli altri dell’aiuto dell’Unione Europea «per affrontare lo shock senza precedenti della pandemia» e le pesanti diseconomie determinatesi. Ciò anche nella logica di stabilizzare i mercati finanziari. La Bce è da ritenere, pertanto, «l’àncora della stabilità per l’Italia e i Paese più colpiti dal Covid-19» e agirà in quanto tale. È quanto riferito in una intervista rilasciata a IlSole24Ore (9 giugno scorso) dal capo economista, per l’appunto, della Bce, Philip Lane.
LE RISORSE, TANTE
Da qui, una pioggia di miliardi di euro da utilizzare (bene) per le politiche di rinascita del Paese.
Oltre ai 37 miliardi di euro del discusso Mes da destinare specificatamente all’indispensabile miglioramento del sistema della salute uscito alquanto malconcio in termini di efficienza, c’è il Recovery Fund. Un Fondo europeo destinato pro quota alla nostra ripresa, da finanziare con emissioni obbligazionarie unionali, per un valore annunciato di 173 mld su un totale di 750 mld, da confermarsi però definitivamente in sede di Consiglio Ue.
IL NASTRO DI PARTENZA
Insomma, a fronte di tante risorse europee, mai viste prima d’ora, il Governo ha acceso i suoi motori.
Ha commissionato l’elaborazione di un piano a Vittorio Colao & Co. e ha convocato gli «stati generali» dell’economia nonché invitato tutti i partiti a rendersi parte attiva del progetto che dovrà essere perfezionato per accedere ai suddetti fondi europei.
Eh….già, per dirla alla Vasco, l’Italia avrà l’onere di esibire un piano nazionale dettagliato delle iniziative programmate – per 91 mld a finanziamento agevolato e di 82 mld a fondo perduto – e sottoporsi a verifiche periodiche delle relative attività realizzate e dei risultati conseguiti nel medio tempore.
Insomma, non si scherza con l’UE! I programmi dovranno essere seri e concreti nonché privilegiare ambiti strategici, prioritariamente sanità, scuola, digitalizzazione ed economia green. Non solo. I quattrini questa volta saranno erogati a tranche, e dunque a «stati di avanzamento».
A proposito di stati, la riunione di oggi, che durerà l’intera settimana dei cosiddetti «stati generali» e che verosimilmente registrerà la presenza della leader europea Von der Leyen, Christine Lagarde, David Sassoli, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il commissario UE Paolo Gentiloni, avrà modo – si suppone – di approfondire e pervenire a conclusioni utili, partendo dal c.d. Piano Colao.
Queste le coordinate che impongono la navigazione del Paese nel mare magno europeo per raggiungere la meta, costituita dalle riforme strutturali necessarie a mutare l’esistente, dagli investimenti infrastrutturali indispensabili per il cambiamento e, dunque, dalla ripresa.
IL SOLITO CHE SI RIPETE
Due i problemi da mettere in conto per evitare che si formi, via via, un mare in burrasca, non certamente evitabile dai soli accordi manieristi raggiunti tra le parti nelle iniziative pletoriche che caratterizzano, di solito, le grandi e affollate convocazioni che appaiono sempre di più simili alle prime della Scala piuttosto che ad occasioni di approfondimento.
A leggere il Rapporto sulle «Iniziative per il rilancio “Italia 2020-2022″», a firma di Colao, ci si rende conto di trovarsi di fronte a 53 pagine (più 121 di schede) che dicono, in un modo garbatamente tecnico, le solite cose. Rappresentano di fatto l’elenco di ciò che si auspica da anni e del quali si parla da sempre ma che poi nessun governo ha mai portato a termine.
Dalle stesse emerge una diagnosi perfetta. Peccato che la terapia appare difficilmente sopportabile – del tipo quella che fa il nutrizionista fuori dal mondo all’obeso, prescrivendogli una dieta assolutamente inaccessibile nonché otto ore di ginnastica al giorno – tanto da rischiare di registrare il solito perenne flop per “abbandono morte”. Anche perché a leggere il voluminoso lavoro, al lordo delle 101 schede «istruttorie», non è dato rinvenire alcun riferimento alle risorse necessarie per realizzare le iniziative ivi previste né tampoco alla loro provenienza specifica, se nazionale e/o europee e se, tra queste, quali esattamente (leggasi: Giampaolo Rossi, in Prime osservazioni al “Rapporto Colao”: pregi e limiti, in Astrid, giugno 2020)
LE SOTTOVALUTAZIONI DEL «PIANO COLAO»
E ancora. Nelle sue pagine si trova, per esempio, poco di: Mezzogiorno, citato una sola volta (pag. 21); Rsa (anche esse una sola volta a pag. 40 peraltro in un contesto generale e insufficiente) nonostante le decine di migliaia di morti che abbiano prodotto nel corso dell’epidemia e, quindi, da ripensare totalmente; Sud in generale (solo sei volte ma senza la necessaria enfasi, che invece meriterebbe); agricoltura (anch’essa una sola volta a pag. 23 in occasione dei bacini idrici).
Trattati male i sindaci non citati neppure una volta, nonostante l’irrinunciabile ruolo strategico che gli stessi dovranno assumere nel processo di rinascita del Paese, che dovrà necessariamente passare per le comunità locali.
Per il resto si limita ad un accorato appello alla politica a compiere i passi necessari a fare quanto è nelle aspettative di tutti da sempre.
Insomma, il Piano è senza proposte concrete e ricco di enunciazioni fini a stesse, del tipo: le imprese e il lavoro quale «motore della ripresa»; le infrastrutture e l’ambiente quale «volano del rilancio»; il turismo, l’arte e la cultura quale «il brand iconico dell’Italia»; la PA da trasformarsi da avversità ad «alleata dei cittadini e imprese»; l’istruzione/ricerca quale «fattori chiave dello sviluppo», gli individui e le famiglie, infine, quale «centro di una società equa e inclusiva».
Iniziative simili rischiano di essere fini a se stesse, generative di inutili perdite di tempo ma soprattutto costituiscono, per come peraltro presentata alla vigilia dell’inizio dei lavori, aspettative mancate perché destinate poi a trasformarsi in successivi scoraggiamenti collettivi.
ALCUNE DIMENTICANZE GRAVI
Ciò che davvero ha meravigliato è la parte dedicata al sistema delle autonomie territoriali, infinitesimale quella degli enti locali (i comuni sono citati appena 5 volte e in via incidentale) e ridottissima quella delle Regioni (che tra richiami diretti e riferimenti a regionale/i vengono appena citate 16 volte, in contesti insignificanti per il loro sviluppo).
Francamente, da un così importante lavoro affidato ad altrettanto importanti esperti in materia economica e sociale si ci sarebbe aspettato un contributo concreto per il rilancio del Paese che, per essere realizzato, non può che passare dalle Regioni, alimentate – così come dovrà essere – da una corretta perequazione delle risorse miliardarie di provenienza europea.
Invece, nulla di tutto ciò.
UNA COSTITUZIONE DISATTESA
Neppure citati il federalismo fiscale e livelli di essenziali delle prestazioni che costituiscono gli elementi strutturanti del finanziamento ordinario del sistema della Repubblica, attraverso i quali fondare la resa dei servizi fondamentali alla collettività.
Del regionalismo differenziato, fondamentale con i suoi esiti dell’esercizio delle competenze legislative in tantissimi dei temi trattati nel Piano, neppure l’ombra, nonostante le pretese delle Regioni più colpite dal coronavirus a volerlo attuare, cui hanno fatto eco consenziente quasi tutte le altre.
Quindi, tanto lavoro all’orizzonte, a cominciare da quello delle Regioni a divenire parte attiva contraente con il Governo per la definizione dei criteri ridistributivi delle risorse UE, per programmare e realizzare una crescita diffusa ma unitaria negli intendimenti di consolidare l’essere un Paese unico e indivisibile nelle diversità.
(anticipa un articolo che uscirà lunedì sul sito Astrid)
*docente Unical
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