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«Una politica debole non può riformare il Csm»

di Franco Giampà*

Pubblicato il: 13/06/2020 – 19:00
«Una politica debole non può riformare il Csm»

La tempesta che sembrerebbe essersi abbattuta sulla magistratura in seguito alla nota vicenda legata alle intercettazioni, avrebbe spinto il Ministro della Giustizia ed il Governo a mettere mano alla riforma del C.S.M.
In verità a tutt’oggi non si rinvengono testi ufficiali di proposte anche se circolano ipotesi di modifiche sufficientemente accreditate.
La fragilità dell’attuale quadro politico non è sicuramente di buon auspicio rispetto al cimento che un serio intento riformatore richiederebbe e la debolezza del potere politico rispetto a quello giudiziario è ormai un dato acquisito.
Ovviamente la forza non andrebbe misurata in termini muscolari e/o vocali, bensì con l’unità di misura date dalla autorevolezza e dalla credibilità .
In tale contesto le proposte che potrebbero tradursi in intervento legislativo sarebbero in sintesi le seguenti.
Eliminare la possibilità per i magistrati entrati in politica di tornare al vecchio ruolo e dall’altra limitare la possibilità dei politici di essere eletti al CSM come membri laici. Cambierebbe, altresi , il sistema elettorale e la composizione dell’organo di autogoverno che passerebbe a venti magistrati e dieci laici. Vi sarebbe lo stop alle nomine a pacchetto e più spazio alla presenza femminile.
Limitare il peso della politica sull’organo di autogoverno della magistratura sarebbe senz’altro utile; politica che ha impropriamente inteso il contenuto dell’art.104 della Costituzione che prevede l’elezione di un terzo dei componenti ad opera del Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.
Il Parlamento , tranne in qualche eccezione, ha sempre eletto , guarda caso, chi già ricopriva cariche politiche e il ruolo di vice Presidente del C.S.M. è stato affidato nella maggior parte dei casi a chi aveva addirittura svolto in precedenza incarichi istituzionali.
Ben venga, quindi, il divieto di elezione tra i membri laici per chi è stato o è in politica , al Governo, o in Parlamento. Divieto che varrebbe anche per i Consiglieri, gli Assessori e i Presidenti di Regione e per i Sindaci dei Comuni con più di 100 mila abitanti.
Effettivamente auspicabile è la preclusione per il magistrato , una volta ottenuto un incarico politico, a rientrare nei ruoli e nelle funzioni della magistratura, anche se sembrerebbe che tale divieto non varrebbe per il candidato senza successo.
L’aumento del numero dei componenti elettivi è sicuramente da valutarsi favorevolmente, si passerebbe dagli attuali sedici togati e otto laici ai venti togati e dieci laici, non fosse altro perché sarebbero maggiori le difficoltà di condizionarne il funzionamento e le decisioni.
Il sistema elettorale per i membri togati sarebbe basato sul doppio turno distribuito in 19 collegi e al primo turno si passerebbe solo con la maggioranza qualificata del 65 per cento.
Tale modifica sarebbe opportuna : il largo consenso elettorale necessario, anche nella prospettiva del doppio turno, imporrebbe la selezione di candidature autorevoli e riconoscibili .
La presenza femminile verrebbe assicurata nella misura di un terzo e questo rispecchierebbe positivamente l’attuale numero di magistrati donne allo stato sottostimate anche nel conferimento degli incarichi direttivi.
Infine, nota dolente, il sistema delle nomine a pacchetto si presta al fenomeno degenerativo della “contrattazione” tra gruppi e non consente in tali casi sempre la giusta valutazione del merito delle candidature agli incarichi direttivi, ben venga quindi la eliminazione di tale pratica.
Tra le modifiche in discussione vi sarebbe anche il sistema di accesso: per partecipare al concorso in magistratura basterebbe la laurea in giurisprudenza come lo è sempre stato in passato; modifica da non sottovalutare, la lunghezza dei tempi post laurea porta i giovani più bravi a guardare altrove con conseguente perdita di risorse e di intelligenze alla causa.
Alcune norme potrebbero essere di immediata applicazione e quelle elettorali a tempo debito.
Da qualche settimana, però, il tema della riforma del CSM sembra essere scomparso dai radar dell’informazione politica. Potrebbe essere che le emergenze sanitarie e sociali legate al covid -19 abbiano distratto i nostri protagonisti ovvero più verosimilmente potrebbero essere scesi in campo i soliti soggetti pronti a difendere gli interessi di parte e precostituiti.
Purtuttavia, la gravità della crisi che investe la magistratura, espressione del più ampio fenomeno sul piano sociale, politico ed istituzionale, ed al di là di quanto quest’ultima autonomamente saprà porre in essere per farvi fronte, impone quantomeno un intervento non più rinviabile da parte della politica.
Questo anche in virtù del ruolo e delle funzioni che la magistratura esercita. Trasformare in norme le proposte in questione sarebbe già un primo passo per la politica e un segnale positivo per la magistratura.
*Avvocato

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