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«Gli Stati generali e la Calabria da quarto mondo»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 18/06/2020 – 7:49
«Gli Stati generali e la Calabria da quarto mondo»

Il giorno prima, durante e dopo degli esami, che il presidente Conte sta sostenendo a partire dal 13 giugno scorso, saranno fatali per il Paese. Saranno decisive le cose fatte, quelle non fatte e quelle che non lo saranno mai. A nulla varranno quelle promesse, che pare vadano a ruba.
Una fiducia (ahimè) consumata
Invero, avevo avuto fiducia in questo Governo dalla sua formazione. Avevo nutrito una grande «Speranza» a che le cose cambiassero, soprattutto nella sanità che rappresenta da sempre in Calabria il dramma nel dramma.
Di tutto questo nulla, ogni «speranza» di rintracciare finalmente ivi l’esigibilità del diritto alla salute è stata delusa, e non poco, con il ministro Speranza che rimane incomprensibilmente preda delle decisioni assunte dalla sua precedente omologa, Giulia Grillo. Ad ogni modo continuo a sperare a che lo stesso si renda protagonista della svolta, abrogando il D.L. 35/2019, peraltro quasi consumato nella sua efficacia temporale dei 18 mesi, e imponendo finalmente presenze commissariali e manageriali degne di questo nome.
La Calabria da quarto mondo
Nel frattempo, i calabresi arrancano, non trovano un posto letto in ospedale se non raccomandati, le famiglie – impedite nelle visite dal coronavirus – sono trascurate di ogni informazione utile sui familiari ricoverati, i medici di famiglia si limitano quando va bene chattano con i loro pazienti, i tamponi si garantiscono per amicizia, le liste di attesa fissano per Natale (forse). Non solo questo. Non una visita specialistica, non un supporto psicologico, non un contributo reale alla vita. Meno male che, in Calabria, ove è altissima la presenza di dipendenti pubblici e simili nonché di pensionati, la crisi economica – grazie alla generosità estrema dei nonni – riesce a sentirsi meno che altrove, con non poche difficoltà per commercianti, artigiani e professionisti a secco di domanda della clientela.
I lavori (si fa per dire) di Villa Pamphily
Si diceva degli «stati generali», essi volgono verso la fine fissata nella giornata di sabato 20 giugno.
L’esito ad oggi è negativo. Nulla di deciso. Tutto rinviato a settembre, con un Premier – bravo Anfitrione – che dovrà fare i test di riparazione in autunno come ai miei vecchi tempi. Un rinvio dovuto e con grandi preoccupazione al seguito, per come ammesso dallo stesso presidente Conte alle associazioni dei commercianti, ben consci che «gli effetti della crisi devono ancora dispiegarsi nella loro interezza».
Insomma, nella kermesse romana: grandi parate, in parte dimostrative della vicinanza dell’UE; numerose le convocazioni; tante le critiche costruttive (per esempio, Confcommercio e Confindustria), in alcuni punti però non condivisibili, meglio le proposte e l’auspicio ad instaurare dialogo caratterizzato da una «democrazia negoziale» basata su un diverso rapporto/alleanza pubblico-privato; apprezzabili i richiami al lavoro da difendere e da generare ex novo degli interlocutori storico-istituzionali (per esempio, i sindacati); eccessivamente teorico il Piano c.d. Colao, tanto da farlo definire allo stesso solo «una strategia», una sorta di ingombrante suggerimento al Governo che è il titolare unico del programma da esibire alla Commissione europea, del quale ad oggi non c’è neppure l’ombra.
Lo «sfratto» dei Comuni e delle Regioni
Inaccettabile la messa alla porta dei Sindaci e dei Presidenti delle Regioni, entrambi chiamati poi a dare concretezza alle risorse plurimiliardarie (210 di cui 173 dal Recovery Fund e 37 Mes) attraverso la loro traduzione in opere pubbliche e in servizi essenziali per la rinascita nazionale.
Ebbene, nulla di tutto questo, facendo comprendere al Paese di quanto siano tenute in considerazioni le autonomie territoriali, dall’impiego delle quali dipenderà invece la unità economica e giuridica della Repubblica.
Avviso ai naviganti
Importanti, si diceva, l’invito alla concretezza di Carlo Bonomi e, in qualche modo, anche della triade sindacale così come quello di Vittorio Colao di mettere da parte, nella esecuzione dei programmi, i soliti lacci e laccioli che la burocrazia e la politica sono solite frapporre alle realizzazioni dei progetti di rinnovamento. Difetti, questi, superabili – secondo il bocconiano di origini catanzaresi – attraverso la nomina di un apposito commissario. Un soggetto incaricato dal Governo che risponda al Paese del risultato, facoltizzato ad essere regista unico e controllore dei tempi di esecuzione, dei tempi impiegati e delle spese sostenute, in quanto tale il soggetto tenuto al rendiconto dei lavori nei confronti dell’UE.
Nell’eccessivo, un’assenza di troppo
Le cose (102) scritte nella strategia di Colao e quelle (51) pedissequamente elencate nel manifesto «Progettiamo il Rilancio», elaborato da Palazzo Chigi sono troppe per essere seriamente esaminate e promosse nonché produttive di una grande confusione, che è ciò che non serve. Per non parlare delle proposte che si sentono in giro di riforma sanitaria, pretesa a fronte della erogazione dei 37 miliardi dal Mes, che dicono di tutto e di più.
Nei programmi dell’uno (Colao) e dell’altro (il Governo) non vi è traccia del federalismo fiscale, al quale sono direttamente connessi i livelli essenziali delle prestazioni riguardanti tutti i diritti sociali da garantire alla collettività nazionale. Neppure citato il regionalismo differenziato, del quale sarà davvero difficile non tenere conto nella fase post-pandemica, visti i convincimenti in tal senso delle Regioni che più contano nell’essere Paese.
Cercansi Regioni che si facciano sentire
Ciò che ha meravigliato in questa settimana è stato il silenzio delle Regioni, il non bussare con i piedi alle porte degli «stati generali».
Timidezza istituzionale? Non comprensione del ruolo che occorre esercitare in Europa? Non conoscenza degli argomenti da porre a garanzia del cambiamento pro quota del Paese? Oppure, eccessivo impegno quotidiano nel più inutile ordinario, quello che genera di solito l’immeritato consenso?
I cittadini, spero, capiranno. E le Regioni anche. Ma soprattutto il Governo.

*docente Unical

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