di Pablo Petrasso
CROTONE Fantasticava di “vendere” informazioni alla Procura di Verona pur di garantirsi un salvacondotto in caso di arresto. Era pronto a ricattare l’ex sindaco di Verona Flavio Tosi. Si vantava di avere contatti importanti nelle forze dell’ordine, disposti ad aiutarlo in cambio di qualche soffiata. Parlava della sua affiliazione in massoneria come pista di lancio per entrare nella società che conta. Nicola Toffanin, veneto purosangue, si muove come un vicecapo negli “Arena di Verona”, l’articolazione del clan crotonese nel Nord Est. Investigatore privato legato ad ambienti di destra, Toffanin galleggia in un mondo di mezzo che – a suo dire – gli permette di avere accesso a notizie riservate. E, secondo i magistrati della Dda di Venezia, potrebbe avergli dato la possibilità di evitare l’arresto a un bel po’ dei propri compari calabresi nel 2016.
LA SOFFIATA ARRIVA VIA TELEGRAM «Cicciare’, quando ci dovevano arrestare a tutti, quella mattina, a me lo avevano detto la sera verso le nove… otto e mezzo… nove e dieci», dice Antonio Giardino “il grande”, capo della cosca veronese, a due conoscenti. L’episodio si colloca nel mese di giugno del 2016, quando l’operazione “Premium Deal” avrebbe dovuto colpire i membri del clan. L’ordinanza viene firmata dal Gip e trasmessa ai Ros dei carabinieri di Venezia, «dal momento che alcuni soggetti risultavano indagati anche nell’ambito di un procedimento avviato dalla Procura di Venezia». Al momento dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, però, la guardia di finanza fa un’«amara scoperta»: in tre sono «riusciti a fuggire immediatamente prima della cattura». Di più: «tutti i componenti della famiglia Giardino si erano resi irreperibili, probabilmente nel timore di essere a loro volta raggiungi da altrettante misure restrittive, salvo, poi, fare ritorno a casa non appena appreso di non essere oggetto di provvedimenti cautelari». Come sia arrivata la soffiata, lo dice il capoclan nella conversazione intercettata il 30 settembre 2017: «Tramite i messaggi del telefono con Telegram». Altra certezza: alle 22,17 dell’8 giugno 2016, Giardino prova a contattare per tredici volte il sodale Rosario Capicchiano: poco dopo, i due e Michele Pugliese, altro presunto esponente del clan, convergono tutti nella stessa area. Secondo gli inquirenti, lo fanno per gestire la soffiata. I picciotti a rischio vengono portati in una casa «intanata a Sommacampagna», riferisce Giardino: così fallisce il blitz dei finanzieri.
«SIETE SOTTO DUE LAMPIONI» Il prosieguo delle indagini – appuntano i magistrati antimafia veneti – «ha però consentito anche di comprendere chi abbia fornito a Giardino questa preziosa informazione. Ed è qui che fa la sua comparsa Nicola Toffanin». Il 28 dicembre 2017 l’avvocato – questo il suo soprannome –, in una telefonata con sua moglie, rivela «che si era scambiato gli auguri di Natale» con uno dei suoi amici calabresi «ma che non sarebbe andato a fare gli auguri ad Antonio Giardino perché Mario lo aveva in qualche modo avvertito che era oggetto di indagine». Giardino, in effetti, finirà agli arresti domiciliari il 22 gennaio 2018. In un’altra conversazione con la moglie, Toffanin – secondo l’interpretazione degli inquirenti – dice «chiaramente di aver avvertito Ottavio Lumastro (altro presunto membro del clan coinvolto nel blitz “Isola scaligera”, ndr) che era oggetto di indagine». «Associazione mafiosa, fatture false, spaccio di droga, loro sono! Mi sa che ci va dentro anche Ottavio!», dice. Preoccupato, Toffanin racconta alla consorte che avrebbe contattato l’amico: «Gli ho detto “guarda Ottavio, siete sotto due lampioni”… ho informazioni che siete sottosopra (…). Adesso è passata una settimana e ci sono già stati gli arresti».
«CONFIDENTE DEI CARABINIERI» Per i magistrati, «in qualche modo il riscontro a questa ricostruzione la offre lo stesso Toffanin che, interrogato dal Pubblico ministero di Verona, confermava di essere un confidente dei carabinieri e «a riprova di ciò esibiva una fotografia, ricevuta sul suo telefonino, il 30 dicembre 2017, dove era ritratto proprio Antonio Giardino, accompagnato dalla didascalia “resuscitato”». L’avvocato, però, nega di aver mai fornito al clan informazioni riservate.
Verrebbe smentito, però, da «una conversazione intercettata tra Antonio Giardino, classe ’69, e Antonio Irco che consente di identificare con precisione Toffanin come la fonte di informazione». Dalle parole dei due «si comprende anzitutto che chi forniva a loro le informazioni non era un pentito e non faceva parte delle forze dell’ordine e che costui, come le passava a loro, le passava anche alle forze di polizia, cosa che contrariava non poco Antonio Giardino. Ma l’affermazione più importante ai fini delle indagini è che “gliel’ha detto quello che ci ha detto quando ci arrestavano a tutti”. Poiché questa persona viene indicata dal Giardino come la stessa persona che ha inviato Lumastro la foto del boss scattata dalle forze dell’ordine, se ne deve inferire che altri non sia che il Toffanin». (p.petrasso@corrierecal.it)
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