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La strage del solstizio d’estate del 1908

di Claudio Cavaliere

Pubblicato il: 20/06/2020 – 13:26
La strage del solstizio d’estate del 1908

Quel 21 giugno del 1908, solstizio d’estate, cadeva di domenica, come quest’anno. Ma allora cominciò proprio come una estate di merda.
Non che le precedenti fossero state migliori. Il nostro 8 settembre, quello calabro, non è l’armistizio del 1943, risale al 1905. Terremoto delle Calabrie. 8 settembre 1905. Decimo, undicesimo della scala Mercalli, ancora oggi non si sa bene. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia lo considera uno degli eventi più forti della storia sismica italiana ma anche uno dei terremoti la cui conoscenza è più lacunosa.
Un’eco terribile che risaliva dal profondo della terra, raccontano le cronache, fenomeni di liquefazione del suolo, variazione del regime delle acque, un’onda di tsunami che colpisce la costa tra Vibo e Tropea e il litorale di Scalea.
Per due settimane Olindo Malagodi, inviato de La Tribuna, gira la regione per un reportage giornalistico che troverà forma letteraria in un libro dal titolo significativo: Calabria desolata.
Olivadi è ancora lì, in mezzo all’istmo, nella parte più stretta d’Italia, dove la botta del 1905 è più forte.
Se annusi l’aria come un cane qui puoi sentire il vento del mare che arriva da entrambi i versanti, dal golfo di Sant’Eufemia e da quello di Squillace. E poi le vicine Serre che sanno di abeti, erba secca, umido e ginestra.
Poco più di milleduecento abitanti all’epoca, il paese è raso al suolo.
Ad un anno e mezzo dal sisma, Olivadi è visitata dalla Commissione d’inchiesta sulla Calabria che scrive di essere rimasta “[…] oltremodo spiacente nel constatare che qui […] nulla fu fatto, e che l’abitato trovasi quasi nello stato tristissimo in cui fu ridotto dal terremoto!”. Dopo tre anni, nel 1908, gli olivadesi sono ancora nelle baracche, sempre più “immonde e malsane” o accampati alla meno peggio tra i ruderi delle case.
E’ un esponente del Consiglio comunale a promuovere la manifestazione di protesta invitando i militi di stanza nelle zone terremotate e i rappresentanti della Prefettura. Contro chi si protesta se non c’è il potere? Lo si invita!
Il 21 giugno è domenica, prima c’è la messa. All’uscita dalla chiesa circa trecento persone si radunano sul sagrato per assistere al comizio. Sono per lo più donne e ragazzi. Alle 10,00 l’assessore comunale legge il discorso. Overture di omaggio alla casa regnante e alle istituzioni. Quindi attacco al Governo per il mancato rispetto delle promesse fatte. Infine esortazione a continuare la protesta in modo più fermo ed organizzato. Discorso istituzionale!
Nella sentenza, i giudici della sezione d’accusa della Corte d’Appello di Catanzaro si interrogano a suon di articoli del codice penale su quanto siano sediziose le critiche al Governo e oggetto di minuziosa valutazione è la frase che conclude il comizio, “Viva la Calabria”, per appurare quanto abbia contribuito ad eccitare “gli animi della turba”.
Già, perché quella pacifica manifestazione si trasforma in una strage quando i militi decidono di sbarrare il passo alla folla che si vuole recare in Municipio. Non è la prima, non sarà l’ultima. C’erano già state le stragi di Benestare e Firmo e l’anno dopo, il 1909, sarà l’anno di sangue per la Calabria con i fatti di Vallelonga, Sinopoli e Plataci. Tredici uccisi tra cui cinque donne e una bambina, decine di feriti tra cui ragazzini, a seguito di tumulti di protesta “della turba” per le miserevoli condizioni di vita. Gente che si ribellava, sillabe di una storia capovolta rispetto alle cazzate di alcuni manuali storici, rispetto ad un mondo presentato come immobile, incollato ai propri stereotipi da rendere improponibile persino la nostalgia.
Nella terra in cui ogni fiume, torrente, rigagnolo dovrebbe chiamarsi Lete, il fiume nero dell’oblìo, chi ricorda Anna Gallo? Ventiquattro anni, giovane sposa incinta di cinque mesi, un colpo alla testa “con spappolamento della materia cerebrale”, trentotto anni prima di Giuditta Levato. Altre tre persone vengono uccise, tra cui un giovane di 18 anni. Tra i feriti un ragazzo di undici anni e una ragazza di sette e di quattordici anni cui si dovette amputare una gamba.
Il pubblico ministero, che si esprime per l’assoluzione dei militi, motiva che “[…] se vittime ebbero a deplorarsi […] ciò debba ritenersi avvenuto per aberrazione dei colpi di moschetto […]”.
Aberrazione è sostantivo femminile. Applicato alle pallottole significa che i colpi si sono scelti la strada da soli, hanno deciso in autonomia di deviare dalle naturali leggi della fisica.
Nell’immediatezza della strage un giovane cronista del giornale radicale Vita Calabrese, Giuseppe Casalinuovo, padre di Mario, conduce una inchiesta sul posto usando gli strumenti più efficaci del mestiere: le scarpe, gli occhi e le orecchie. Sono tante le cose che non tornano rispetto alla versione ufficiale. Per il cronista, Anna Gallo è stata uccisa con un colpo a bruciapelo “come mostrano lo ustioni riscontrato dal perito” e non a distanza come sostengono i magistrati.
L’Avanti, che pure non capirà mai i moti calabresi che si succedono, arrivando a giudizi sprezzanti, segue tramite Casalinuovo lo svolgimento del processo. Anche il Corriere della Sera dà ripetutamente notizia del dibattimento e il 19 ottobre pubblica una intervista all’on. socialista lucano Ettore Ciccotti che ha assunto la difesa delle parti civili. Ciccotti, primo deputato socialista del Mezzogiorno e grande storico dell’antichità che Pasquino Crupi considera il primo meridionalista che esce dalla fase predicatoria e moralistica per entrare in quella che indaga le cause economiche della degradazione del Mezzogiorno, così dichiara al giornale milanese: “Al processo non si era, a torto, data tutta l’importanza che meritava […] raccoglierò tutti quegli elementi che mi saranno necessari per sostenere alla Camera un’interpellanza sulla condotta della Magistratura di questa regione …”.
Assoluzione per tutti sarà il verdetto della Corte di Assise di Monteleone (l’attuale Vibo), anche per gli sparatori.
Il 31 ottobre 1909 l’Avanti pubblica un trafiletto in cui da conto delle minacce del prefetto di Catanzaro al giovane giornalista avv. Giuseppe Casalinuovo per i suoi articoli sul processo, tesi ad assodare le responsabilità degli sparatori.
“Il collega Casalinuovo ha risposto su Vita Calabrese con una lettera diretta al prefetto insistendo sulle vergogne del processo di Monteleone e proclamando contro qualunque minaccia l’indipendenza del suo carattere e l’indipendenza delle sue idee.”
Un hombre vertical!

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