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«Quelle lotte di campanile che non aiutano la Calabria»

di Franco Scrima*

Pubblicato il: 22/06/2020 – 11:10
«Quelle lotte di campanile che non aiutano la Calabria»

Tra Catanzaro e Reggio Calabria è una vecchia storia “esplosa” quando il Governo rese noto che la città capoluogo della Calabria sarebbe stata Catanzaro. Fu, quello, un annuncio che diede l’avvio ad una sommossa popolare, aspra, determinata, violenta, consegnata alla storia come: “I moti di Reggio”. Era il mese di luglio 1970 e si andò avanti fino a febbraio dell’anno successivo. Divenne nota, mutuando una definizione di Marcello Veneziani, come “Il sessantotto del Sud”.
Da allora è stato sufficiente un semplice stormir di fronde perché gli animi prendessero a riscaldarsi anche per piccole cose, alcune persino insignificanti, per fortuna con molto meno “calore” di quelli datati luglio ‘70. L’ultima occasione, in ordine di tempo è stata offerta qualche mese fa dalla pandemia da “Coronavirus”. È stato sufficiente che si abbozzasse l’idea di un “Ospedale Covid” in Calabria perché si riaccendesse il “derby”, ancora una volta con Catanzaro in pole position oltre che per la sua centralità geografica, anche per la presenza di un funzionale policlinico universitario e con Reggio Calabria che si è subito risentita, proponendosi a sua volta per accogliere il progetto di un centro regionale per le malattie infettive.
Ancora una lotta tra “ultimi”, esplosa più dal desiderio di apparire che di essere. In ballo un “pennacchio” da mostrare in riva allo Stretto, nella Città Metropolitana, piuttosto che in altra zona della Calabria; men che meno a Catanzaro, rea di essere il capoluogo di regione! Una vicenda che, ancora una volta, mette in evidenza il legame forte esistente tra i reggini e la loro Città. Un amore viscerale che non ha pari. Una competitività a prescindere, che rafforza il motto: Reggio prima di tutto!
È un sentimento che ogni reggino sembra avere nel suo “dna”; lo stesso che anni fa ebbe a serpeggiare in città quando non si accettava di doversi spostare in Sicilia per frequentare l’Università. Anche quello fu un conflitto, ideologico ma pur sempre una “battaglia”, finché non si ottenne l’università anche a Reggio. E così è stato per qualsiasi altra cosa. Basti pensare che quando si vuole indicare Reggio Calabria si continua a definirla la Città dello Stretto. Eppure è noto, anche al di fuori dei confini calabresi, che il braccio di mare che divide la Calabria dalla Sicilia si chiama “Stretto di Messina”.
Sono abitudini, modi di dire che, per fortuna, non pesano nei rapporti sociali, ma che stanno a sott’intendere quanto profondo sia l’attaccamento per la Città, per il territorio. Una “regginità” che può fare solo piacere poiché si tratta di “desideri” che non incidono su nulla, neppure tra i rapporti sociali.
Tutto nasce probabilmente dal fatto che la Calabria è una regione tra le più povere del Paese, e tra poveri anche un cerino può diventare oggetto di contesa. Anche se bisogna cominciare a capire che non sono queste le condizioni che possono far progredire culturalmente ed economicamente la Calabria. Ci sarebbe ben altro da evocare, e da rivendicare. Battersi, per esempio, per ottenere una diversa attenzione da parte del Governo centrale lottare per un progetto che richiede coesione, sensibilità, solidarietà e determinazione una proposta che serva a dimostrare la volontà di voler raggiungere un diverso progresso sociale. Mai come adesso sarebbe necessario. Siamo tra le regioni più povere d’Italia! Basta considerare che tra febbraio e maggio scorsi – secondo il rapporto di Bankitalia – nel settore privato si sono perduti circa quindicimila posti di lavoro.
La regione versa in una condizione di pre-agonia, per la quale urgono rimedi. C’è chi sostiene che sia necessario un piano nazionale per il Sud per disegnare il futuro della Calabria; un piano che marci in simbiosi con gli impegni e le responsabilità delle amministrazioni comunali e di quella regionale. È indispensabile e urgente che tutti ripensino gli indirizzi in cui vengono programmate le risorse, migliorando la qualità e l’efficienza della spesa che deve avere come obiettivo lo sviluppo e la crescita del territorio. Il risultato sarà possibile se, finalmente, verrà digerita da tutti l’opportunità di cambiare passo, dimostrando che siamo una popolazione coesa, che la Calabria intende effettuare una svolta che coinvolge le attività produttive e il sistema delle piccole e medie imprese. Non è secondario far capire oltre i confini regionali che siamo pronti a sostenere progetti veri sulla strada di un obiettivo di sviluppo complessivo. Bisogna lavorare sodo per costruire una credibilità, per dimostrare al Paese che la Calabria è pronta ad avviarsi lungo un nuovo sentiero, che i calabresi intendono battersi uniti per dare un segnale al Governo centrale e all’Europa del fatto che le consorterie mafiose rappresentano un retaggio del passato e che non hanno più possibilità di condizionare la nuova economia calabrese. La Magistratura sta svolgendo al meglio il suo ruolo, cerchiamo di farlo anche noi. Insieme ce la possiamo fare!
Facciamo nascere una Calabria nuova, una regione che chiede a gran voce la realizzazione di moderni collegamenti ferroviari e stradali, (l’alta velocità prima fra tutte), che intende attivarsi per una agricoltura di qualità, che è pronta ad accogliere industrie di trasformazione dei prodotti agroalimentari, una Regione che possa contare su un progetto efficace che rilanci il Turismo, mettendo finalmente al centro non solo le aree costiere di impareggiabile bellezza ma anche le zone montane che rappresentano il 41,8 per cento del territorio calabrese: dal Massiccio del Pollino fino all’all’acrocoro dell’Aspromonte, passando dalla Sila e per le Serre. Bellezze tutt’ora primitive che vanno attrezzate e valorizzate per renderle produttive.
Ecco come questa nostra regione potrà imporsi e frenare la fuga dei tanti giovani che cercano di trovare altrove un lavoro. La Calabria ha i numeri per correre al pari, e forse anche meglio, di altri territori se assimila il concetto che uniti ce la possiamo fare!
*giornalista

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