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«Senza le Regioni alla pari, non si va da alcuna parte»

di Ettore Jorio *

Pubblicato il: 22/06/2020 – 8:54
«Senza le Regioni alla pari, non si va da alcuna parte»

L’argomento principe nella scaletta della politica nazionale è rappresentato dal rapporto da formalizzare con le risorse messe a disposizione dall’UE a diverso titolo. Nella sintesi, per alcune c’è da decidere se farle proprie o meno. Quello delle istituzioni, soprattutto del Governo, è costituito dal come e con chi programmarle e, prioritariamente, per fare cosa.
I perché dell’accesso ai Fondi Prescindendo dalla loro denominazione – se Sure, Mes o Recovery Fund – sono l’uno non assolutamente propedeutico agli altri, anche se tutti individuati per offrire l’occasione agli Stati membri del superamento della crisi determinata dal coronavirus. Alcuni di questi fondi sono finanziati con l’emissione di appositi titoli UE da offrire sul mercato (750 Mld per il Recovery plan), peraltro con un ulteriore eventuale contributo da individuare nel bilancio dell’UE che conta disponibilità ulteriori di 1.100 miliardi di euro.
La paura comune è la prima cosa da alleviare A valle di tutto ciò ci sono le esigenze popolari di scongiurare il ritorno epidemico, che metterebbe a rischio addirittura di esistenza il Sud scampato alla «peste» per virtù celesti. Del Paese di essere messo in condizione di combatterlo nell’ipotesi di recrudescenza autunnale del Sars-Covid-2. Delle famiglie e delle imprese di superare, infine, la crisi che ha determinato. Una situazione che in alcune parti del Paese, le solite regioni meridionali, si è aggiunta a quella strutturale che ha loro impedito ogni genere di crescita.
I bisogni collettivi: le regole Dunque, un’occasione irripetibile che arriva dall’UE per: sistemare le cose che non vanno, meglio, le cose che non sono mai andate bene; fare quelle riforme strutturali senza le quali non si va da alcuna parte; offrire le occasioni occupazionali che necessitano; rimettere ordine nelle economie, specie in quelle territoriali, utilizzando gli strumenti che la Costituzione ha previsto da circa vent’anni ma mai attuate. Le parole chiavi per concretizzare quest’ultima previsione sono: a) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni; b) la corretta valorizzazione del fabbisogno standard per assicurare le funzioni fondamentali del sistema autonomistico locale (Comuni, Province e Città Metropolitane); c) i costi e fabbisogni standard per assicurare l’esigibilità dei diritti sociali alla Nazione intera; d) la costituzione del fondo perequativo per garantire a tutti, nessuno escluso, i diritti fondamentali. A tali prescrizioni da realizzare bene e subito, fa da pendant il regionalismo differenziato, difficile da assumere nel dibattito politico dopo la botta che ha registrato la Regione massima rivendicatrice – la Lombardia che dovrà tuttavia ben difendere il suo operato assistenziale – ma che sarà certamente all’ordine del giorno non appena l’ordinario prenderà il posto dell’emergenza.
Occorre riprendere quanto trascurato Questa la ricetta, che verrebbe fuori dalla lettura della Carta, dalle sue leggi attuative e anche dalla bozza di legge quadro c.d. Boccia di attuazione del federalismo asimmetrico nonché dai disagi vissuti nel corso dell’epidemia a dal dovere di costruire le roccaforti difensive nei confronti di un possibile ritorno del coronavirus, che sta ribussando alle porta di altri Paese. Nella contemporaneità, dovrà comunque essere ripensato il sistema della salute, utilizzando i 37 Mld del MES e non solo, che ha fatto acqua da tutte le parti. L’errore è stato quello di averlo semplicemente decantato per anni senza essere mai stato messo, come avrebbe invece meritato, in discussione da tempo, per la sua assoluta inconsistenza del sistema di assistenza territoriale. Ma questo è un altro problema che si porrà allorquando le parti politiche e sociali decideranno di sciogliere le assurde riserve nell’accettare o meno le regole attuali del Meccanismo Europeo di Stabilità e avranno, quindi, l’onere di riprogrammare il sistema della salute nazionale.
Indispensabile è l’Istituzione al plurale Oggi è in discussione – oltre alle riserve da sciogliere e alla volontà unitaria di programmare le risorse indispensabili per la ricostruzione del Paese in senso più tecnologico e più green, perfettamente compatibili secondo le indicazioni recate dal Piano c.d. Colao – cosa fare, con il conto alla rovescia partito, per elaborare i programmi da esibire all’UE per essere promossi all’accesso dei finanziamenti. Strumenti per centinaia di miliardi di euro che, questa volta, saranno erogati a scopo e a stati di avanzamento. Per fare le cose bene e fare considerare in Europa i nostri progetti concreti e lungimiranti occorre la partecipazione diffusa e attiva delle istituzioni, pubbliche e private, alle fase di determinazione dei bisogni primari da soddisfare nell’interesse delle componenti istituzionali del Paese (corrispondente al concetto di Repubblica di cui all’art. 114 della Costituzione) e dunque alla elaborazione del programma relativo. Uno step che per essere correttamente realizzato dovrà registrare come fondamentali protagoniste le Regioni, sino ad oggi abbandonate ad un ruolo caratterizzato dalla residualità.
Senza le Regioni alla pari, non si va da alcuna parte Non si potrà, quanto al Mes dedicato a riprogrammare i guasti della sanità italiana, fare a meno di mettere ad un duro preventivo confronto le Regioni, espressioni di bisogni di tutela della salute massimamente differenziate. L’occasione unica perché quelle più deboli possano finalmente ottenere le risorse che potrebbero metterle alla pari di quelle tradizionalmente più efficienti, dando modo così al sistema sociosanitario di avere tutte le Regioni in linea con gli stessi blocchi di partenza con il nuovo strumento di finanziamento basato sui costi/fabbisogni standard assistito dalla perequazione.
Non si potrà, quanto al Revovery Fund, nella logica della temporanea sospensione del divieto degli interventi assimilabili agli aiuti di Stato, non coinvolgere le Regioni nello sviluppo di quelle politiche di ricostruzione che dovranno renderle istituzionalmente attive e, quindi, come destinatarie finali di importanti investimenti (basti pesare, per esempio, alla alta velocità Bologna-Taranto e Salerno-Palermo a lordo del Ponte sullo Stretto). Di conseguenza dovrebbero essere bandite nell’attuale corse in avanti che potrebbero diventare ostative per una politica di ricostruzione dell’insieme Paese ovvero quantomeno imporre le solite correzioni di esecuzione che, solitamente, hanno sottratto alla Nazione non poche possibilità in più di crescita reale e immediata.

* docente Unical

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