di Fabio Papalia
REGGIO CALABRIA «E’ la fotografia delle attuali dinamiche ai vertici di alcune delle più importanti cosche di ‘ndrangheta di Reggio centro. Le indagini testimoniano e rappresentano la fibrillazione interna cui si è cercato di porre rimedio nello spirito di patti e accordi ai massimi vertici delle cosche. Frizioni nate per la spartizione dei proventi di attività classiche della ‘ndrangheta». Così il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, ha illustrato l’operazione Malefix, che oggi ha portato all’arresto di 21 persone.
L’indagine, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria e condotta dalla squadra mobile reggina e lo Sco della Polizia di Stato, che ha svelato proiezioni delle cosche nel nord Italia, sopratutto Milano e Lombardia, e altri paesi esteri, si è avvalsa della collaborazione di imprenditori che hanno denunciato ma anche di attività tecnica, come ha voluto sottolineare il procuratore: «Grazie al lavoro investigativo di squadra mobile e Sco, vi sono dichiarazioni che non esauriscono il materiale indiziario a carico degli indagati».
Bombardieri ha svelato anche che in una intercettazione un imprenditore in via preventiva ha chiesto l’autorizzazione all’apertura di un’attività commerciale ad Antonio Libri, il quale gli ha risposto: “hai parlato con me, dormi su tre cuscini”. «L’imprenditoria locale – ha affermato Bombardieri- deve capire che non paga rivolgersi alla ‘ndrangheta».
Vi è stato anche il rischio di una nuova guerra di mafia, a causa di quelle “frizioni” registrata in seno alla stessa famiglia mafiosa dei De Stefano-Tegano e quel Gino Molinetti sul quale i De Stefano avrebbero sempre fatto affidamento. «Frizioni che ci hanno condotto ad accelerare i tempi rispetto alle indagini» ha spiegato Bombardieri. Molinetti, un po’ perché non aveva stima di Carmine De Stefano, un po’ per dissapori sulla spartizione dei proventi delle estorsioni, cercava una sua autonomia nel locale di Gallico, arrivando perfino a “sgarrare” nel quartiere Gabbione dei Labate, dove aveva aperto una pescheria mandando una “ambasciata” solo successivamente, e non preventivamente come sarebbe stato suo dovere fare in territorio di un’altra cosca. «Minacciava la pax mafiosa all’interno del circuito cittadino», ha affermato Bombardieri, raccontando dei tentativi dei De Stefano di trovare una pacificazione con Molinetti tramite il fratello di quest’ultimo, ergastolano in semilibertà, che lavorava come cuoco della Caritas nel Napoletano.
Le conversazioni tra l’emissario dei De Stefano, ovvero Giorgio, e il fratello di Molinetti, offrono diversi spaccati sulle prospettive della ‘ndrangheta vecchia, attuale e futura, che secondo il procuratore «ci danno il quadro di come viene percepita all’interno della stesse cosche la ‘ndrangheta». Da un lato De Stefano spiegava la necessità di operare lontano da Reggio e farvi ritorno solo quando serve, per evitare la pressione degli apparati investigativi, aggiungendo che “anche Peppe quando uscirà dovrà fare così, dovrà stare fuori perché altrimenti dura 2 mesi”. «Significativa anche la concezione di una ‘ndrangheta unitaria» ha affermato Bombardieri, raccontando che lo stesso Giorgino parlando con Alfonso chiede perché Gino ce l’abbia coi De Stefano per il presunto allontanamento di Randisi, che era andato a Milano: «Perché Gino ce l’ha con noi? Randisi mica ha cambiato bandiera? Siamo la stessa cosa. E anzi invita a dire ai figli di Gino di andare a Milano perché c’è tanto da fare». Ed è su quest’ultimo punto che suona l’allarme per il procuratore e investigatori esperti come Francesco Messina, direttore Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, che ritiene si sia in presenza di una vera “delocalizzazione” anche dell’ala militare della ‘ndrangheta al nord: «Quando Giorgio De Stefano chiede aiuto – spiega Messina – chiede aiuto per svolgere attività “militari” che su quel territorio possono essere svolte grazie alla grande presenza di materiale disponibile».
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