di Francesco Donnici
REGGIO CALABRIA L’attività degli inquirenti nell’ambito dell’operazione “Malefix” mira a ricostruire i rapporti interni ai clan del Reggino e il delicato equilibrio rispetto alla suddivisione dei diversi business criminali.
Tra questi, il ramo delle estorsioni, che secondo la ricostruzione della Direzione Distrettuale Antimafia reggina, ad un certo punto diventa terreno di scontro tra le diverse fazioni.
Da alcune conversazioni captate ad Antonio Libri emerge infatti «che ciascuna consorteria continuava a raccogliere le estorsioni secondo prassi consolidate che non tenevano conto degli accordi in base ai quali i proventi dovevano essere divisi tra le cosche di riferimento sul territorio». Da qui in poi si attiveranno una serie di frizioni che porteranno a diversi confronti-scontri soprattutto tra la consorteria dei Libri e quella dei De Stefano-Tegano (qui l’approfondimento).
La cosca Libri ha «una struttura associativa dedita, mediante l’utilizzo della forza di intimidazione promanante dall’uso delle armi, alle estorsioni e all’acquisizione di attività economiche», come emerge da una serie di storici procedimenti – in primis “Olimipia” – dove viene accertata l’esistenza del sodalizio e se ne ricostruiscono anche i primi rapporti di potere con le altre consorterie sul territorio.
Una delle peculiarità riconosciute a questa cosca – sempre secondo la ricostruzione storica offerta dagli inquirenti in relazione ad “Olimpia” – è la sua «capacità di infiltrarsi nel campo politico amministrativo» che gli permette nel tempo di mettere le mani in forma stabile anche su alcune tra le più importanti opere pubbliche della città. Tra queste il Palazzo di giustizia, che ritorna anche in quest’ultima indagine.
L’ESTORSIONE PER I LAVORI AL PALAZZO DI GIUSTIZIA Quello del nuovo Palazzo di giustizia di Reggio Calabria è un tema ricorrente. Nella fattispecie, la Dda ricostruisce una serie di condotte presumibilmente mirate alla tentata estorsione, contestata a Antonio Libri, ai danni dell’imprenditore Leandro Ambrogio (e del fratello Antonio), in qualità di titolare della Edilcem Srl, fornitrice di calcestruzzo a favore dell’impresa Passarelli S.p.a. che si era aggiudicata l’appalto pubblico per il completamento dell’opera. La società era inoltre fornitrice di calcestruzzo e gerente il subappalto relativo allo sbancamento ed al conseguente movimento di inerti a favore della Cosedil S.p.a., che a sua volta si era aggiudicata l’appalto per la costruzione del parcheggio, funzionale sempre al nuovo Palazzo di Giustizia. In ultimo, l’interesse del clan alle imprese riguardava anche alcune opere adiacenti, insistenti nel quartiere S. Anna, storicamente sotto il controllo della ‘ndrina.
Le richieste estorsive consistevano nella consegna al clan «di una percentuale dei guadagni derivanti dai predetti rapporti economici» (liquidati, ad esempio, in 12mila euro con riferimento alle sole attività di sbancamento).
Esecutore materiale di queste condotte – da solo o insieme allo stesso Antonio Libri – è Riccardo Artuso, da sempre fedelissimo di Pasquale Libri ed esponente di spicco del sodalizio. Figura nota alle cronche, già destinatario di una sentenza di condanna di primo grado emessa all’esito del procedimento “Teorema”, proprio per la partecipazione alla cosca Libri e la consumazione di estorsioni pluriaggravate. Artuso è uomo di fiducia del clan, tanto da essere «indicato dalla dirigenza Libri-Mangiola nel nuovo progetto condiviso di gestione comune delle estorsioni siglato dalle cosche Libri e De Stefano-Tegano come colui che verrà delegato alle estorsioni».
Nel caso richiamato, gli inquirenti contestano a Libri e Artuso una serie di condotte. I due avrebbero agito insieme, in prima battuta in data 2 luglio 2018 «rivolgendo la pretesa estorsiva a Leandro Ambrogio e in seguito al fratello Antonio». Dopo quell’occasione, ritroviamo una nuova intimidazione posta dal solo Artuso il giorno seguente, quindi un ulteriore «tentativo del solo Antonio Libri, per il tramite di Antonino Latella, il 13 ottobre 2018».
LE PRIME RICHIESTE ESTORSIVE E LA DENUNCIA Già il giorno seguente le prime due intimidazioni, il 4 luglio 2018, Leandro Ambrogio aveva denunciato le pretese del clan.
Nella testimonianza Ambrogio racconta della visita ricevuta da Riccardo Artuso detto “Riccardino”, che però aveva bloccato sull’uscio di casa: «ho preferito non farlo entrare resistendo ai suoi tentativi di indurmi ad attraversare la strada per presentarmi un soggetto che ci aspettava sull’altro lato». La persona in questione sarebbe Antonio Libri, referente della ‘ndrina egemone in quella zona.
In quell’occasione – racconta sempre Ambrogio – Artuso gli chiede se «avesse parlato» in relazione ai lavori sopra citati, già avviati in quella zona da parte della società. Il riferimento implicito, secondo l’imprenditore era «alla necessità di conferire con i referenti di ‘ndrangheta di quel territorio».
Ambrogio racconta di aver finto di non sapere, suscitando le ire di Artuso, che era così arrivato ad intimare di «andare a parlare». Richiesta che sempre Artuso aveva già avanzato ad Antonio Ambrogio, fratello di Leandro, ad un mese di distanza dall’appresa notizia dell’aggiudicazione dei lavori del nuovo Palazzo di giustizia, «ma entrambi eravamo d’accordo di soprassedere ad ogni richiesta».
Dopo il secondo tentativo estorsivo posto sempre da Artuso, questa volta ai danni di Antonio Ambrogio, il fratello, Leandro, racconta di essersi rivolto dapprima all’ingegner Di Fazio della Cosedil S.p.a. «in esecuzione del patto di legalità, stipulato in sede di aggiudicazione della fornitura» e in seguito alle forze dell’ordine per sporgere formale denuncia.
Il Gip considera le dichiarazioni «precise, logiche, chiare spontanee e del tutto prive di contraddizioni ed enfatizzazioni». Conferma viene data anche dalla successiva testimonianza fornita proprio da Antonio Ambrogio, che sempre il Gip, nelle sue considerazioni premette essere stato «detenuto in regime di alta sicurezza entrando in relazione confidenziale con esponenti anche apicali della ‘ndrangheta».
Sempre secondo il giudice «proprio per questa ragione Artuso aveva sollecitato Leandro Ambrogio a prendere informazioni dal fratello in ordine alle qualità criminali sue e del Libri, così da apprezzare la serietà intimidatoria della richiesta, aggiungendo che sarebbero andati a conferire direttamente con il fratello».
IL SECONDO TENTATIVO TRAMITE LATELLA Dopo la morte di Antonio Ambrogio, proseguono le richieste estorsive del duo Artuso-Libro che per l’occasione si rivolgono ad Antonino Latella, scarcerato da poco oltre che storico dirigente della cosca Ficara-Latella, egemone nella zona della città ove l’impresa di Leandro Ambrogio aveva sede.
In quest’altra occasione, Leandro Ambrogio racconta di essere stato avvicinato da Latella al suo cantiere a Croce Valanidi e che questi gli riferiva di aver ricevuto la visita di Antonio Libri.
«Quest’ultimo aveva chiesto al Latella – racconta Ambrogio agli inquirenti – di dirmi che avrei dovuto dargli 12mila euro in ordine ai lavori di sbancamento che la mia impresa ha eseguito presso l’area dove dovrà sorgere il parcheggio a servizio del nuovo Palazzo di Giustizia». Una richiesta esagerata e come tale respinta: «Dissi che mi era impossibile dare quanto mi veniva richiesto, essendo una cifra superiore al mio ricavo per quella attività». Quello che stupirà la vittima designata in quella circostanza, è che lo stesso Latella giudicherà negativamente quella richiesta, consigliandogli di non pagare. (redazione@corrierecal.it)
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