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«La vera lezione che deriva dal caso EasyJet»

di Nunzio Raimondi*

Pubblicato il: 25/06/2020 – 11:48
«La vera lezione che deriva dal caso EasyJet»

Ci sono molti politici che non hanno idee e che inseguono le masse, scrutandone sui social le preferenze ed adeguandosi alle attese quali che esse siano. Profondamente incoerenti e contraddittorii perciò non si curano dell’affidabilità della proposta, ma sono in tutto e sempre pronti ad assecondare le aspettative del popolo. Per fare ciò essi assoldano schiere di esperti i quali ricevono il preciso compito d’individuare queste istanze generali e trasformarle, di volta in volta, in asserzione politica, ai soli fini della riscossione del consenso.
Ora, vorrei dire che questa prassi è profondamente antidemocratica perché, a dispetto dell’ascolto che si fa del volere del popolo, essa non si traduce in proposta coerente e non si pone al centro del dibattito per essere discussa (nel che sta l’essenza del parlamentarismo), ma soltanto per essere superficialmente strumentalizzata per l’acquisizione del consenso.
Ne risulta, quindi, a fronte di spots più o meno originali (il web si presta molto a questo restare in superficie…), un vuoto assoluto di idee.
Ed anche chi ancora vagheggia un confronto purchessia si ritrova trascinato in quest’agone mediatico come una sorta di pesce fuor d’acqua: Sicché o ci si adegua o si muore!
C’è anche qualche idiota in giro che filosofeggia sul mezzo: siete antichi, dice, non avete contezza dell’incisività del web e non sapete usarne.
Caro pensatore “de noantri” devi sapere che c’è una differenza fra il contenuto ed il contenitore: se manca il primo, il secondo non serve a niente.
Ecco, quel che vedo intorno a me, è un uso indiscriminato quanto inutile del mezzo, fatto di vacuità e polemiche sterili a tutti i livelli, senza che nessuno si preoccupi d’altro che non sia accumulare consenso sul nulla.
Fatta questa doverosa premessa, vorrei ora venire ad un argomento di attualità.
Ho visto insorgere cittadini comuni, politici di rilievo regionale e nazionale, sull’episodio EasyJet.
Per carità, la compagnia aerea ha certamente sbagliato, ma mi chiedo quanto facciamo noi calabresi per presentarci all’opinione pubblica come una terra di gente onesta, corretta, rispettosa delle regole.
Quale immagine proiettiamo di noi stessi, quale immagine della Calabria proiettano i troppi Comuni sciolti per infiltrazioni mafiosa, le continue operazioni dirette a smantellare intere consorterie criminali, i moniti ripetuti della Chiesa calabrese nei confronti del cancro mafioso, le marce e fiaccolate antimafia.
Con ciò non voglio certo dire che questi momenti espongano la Calabria ad un giudizio severo (essi rappresentano invece momenti di duro ma efficace confronto con la realtà),ma intendo dire che, nel tentativo nobile di riscattare la nostra terra dal male che è insito nella prepotenza ‘ndranghetista, altro non facciamo che confermare una immagine egemone della realtà in cui viviamo fatta, all’evidenza, di tante criticità.
Ecco, a me pare che però occorrerebbe riempire i contenuti mediatici non soltanto con l’antimafia ma anche con le eccellenze calabresi, perché esse sono un po’ ovunque (e non soltanto negli uffici giudiziari inquirenti) anche qui da noi, così suscitando non la vergogna ma l’orgoglio di essere calabresi.
In Calabria, caro onorevole Viscomi (ho letto una sua dichiarazione di qualche giorno fa), non c’è soltanto il pericolo di delegittimazione e di isolamento dei magistrati rispetto al quale Lei (e consenta di dire in tanti) cerchiamo, nel quotidiano esercizio del nostro dovere, di reagire, ma anche il pericolo di delegittimazione della Calabria e dei calabresi, presentati genericamente ed esclusivamente per ciò che non sono.
E ciò anche perché, nonostante la pervasività del fenomeno malavitoso, la stragrande maggioranza dei calabresi è costituita da persone oneste, grandi lavoratori, geniali artisti, gente perbene e molto generosa, che sente forte il bisogno di relegare le prepotenze nella minorità ed affermare, nella vita civile prim’ancora che con le marce, la legalità.
La quale ultima non si declina soltanto con la repressione penale ma in primo luogo con il rafforzamento della vita civile, con l’educazione alla dignità del lavoro e con l’impegno di tutti a diventare davvero migliori.
Non si tratta soltanto di promuovere le nostre bellezze naturali o di assicurare vouchers a chi ci sceglie, occorre dimostrare nei fatti che la nostra terra è davvero ospitale e ricca di storia e di cultura; che questa cultura (anche delle regole) fa parte di noi da sempre e non è opera di qualcuno che ce l’ha infusa “smontando la Calabria come un lego”.
E la Scuola, da questo punto di vista, svolge una funzione nodale, perché può riempire di contenuti e di valori gli uomini e le donne calabresi del futuro e, soprattutto, può “accendere il fuoco” della conoscenza, quello che consente di respingere le superficialità.
Insomma, non abbiamo bisogno di liberatori ma di educatori; perché abbiamo il dovere di liberare noi stessi dai mille pregiudizi che ci siamo appiccicati addosso, certo non soltanto per nostra esclusiva responsabilità.
Occorre dire basta, quindi, al Sud piagnone che non ha rispetto di sé; e ciò prim’ancora di chiedere di essere rispettati dagli altri.
*avvocato

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