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Genesi, le accuse contro Schiavone: «Potrebbe commettere altri reati e inquinare le prove»

Nelle motivazioni che hanno indotto il Gip di Salerno ad emettere l’ordine d’arresto emerge il modo di agire del commercialista indagato nell’inchiesta con al centro le presunte mazzette all’ex pre…

Pubblicato il: 26/06/2020 – 19:54
Genesi, le accuse contro Schiavone: «Potrebbe commettere altri reati e inquinare le prove»

SALERNO «Nei confronti dell’indagato sussistono, e sono pregnanti, le esigenze cautelari… Appare infatti chiara la sussistenza del pericolo che il predetto indagato commetta altri gravi delitti della stessa specie di quello per cui si procede… è altamente probabile che, ove si ripresentassero in futuro ulteriori occasioni per delinquere, lo Schiavone ricadrà nel delitto, considerate le entrature e le capacità già dimostrate dal prevenuto di intessere relazioni, anche ad alti livelli della Pubblica Amministrazione, dirette a stringere patti illeciti in cui le pubbliche funzioni — proprie e altrui – sono drammaticamente svilite, e ridotte ad un prezzo da concordare fra i sodali». La reiterazione del reato e l’inquinamento probatorio (visto che le indagini sono ancora in corso) sono le ragioni principali che hanno indotto il gip di Salerno Giovanna Gioia ad accogliere la richiesta di arresto nei confronti del commercialista cosentino Claudio Schiavone.
Il 15 gennaio 2020 i pm della Procura di Salerno, competenti sui reati che riguardano il distretto di Catanzaro, avevano ritenuto di non chiedere l’arresto di Antonio Claudio Schiavone, commercialista di Cosenza indagato nell’ambito dell’inchiesta “Genesi”.
Le cose sono cambiate in seguito alle dichiarazioni di tre coindagati (Marco Petrini, Emilio Santoro e Francesco Saraco), i quali, finiti in manette hanno deciso di collaborare aggravando la posizione di Schiavone che è stato tratto ieri (giovedì 25 giugno) in arresto (ne abbiamo parlato qui), accusato di due capi di imputazione di corruzione giudiziaria nell’ambito dell’inchiesta “Genesi” condotta dalla Guardia di finanza di Crotone, tesa a svelare il sistema corruttivo che si era venuto a creare all’interno della Corte d’Appello di Catanzaro e che vede protagonista il giudice, ora sospeso, Marco Petrini, ex presidente della seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello ed ex presidente della Commissione tributaria provinciale. Ma procediamo con ordine.
IL RACCONTO DI PETRINI «Schiavone mi era stato presentato da Santoro Mario, come possibile destinatario di nomine di incarichi peritali in Corte di Appello. In effetti poi conferisco degli incarichi, conferiamo degli incarichi peritali al dottor Schiavone in relazione a questo conferimento di incarichi peritali e anche in vista di un interessamento nel processo Saraco, in ascensore, alla presenza di Santoro, mi consegna una busta». Nella busta, stando alle parole di Petrini del 31 gennaio 2020, vi erano 10mila euro, un acconto affinché il giudice si interessasse del procedimento sulla confisca dei beni alla famiglia Saraco. Non solo.
Stando sempre alle parole del giudice Petrini Schiavone avrebbe versato la somma 5.000 euro in cambio della nomina della moglie di Schiavone come perito incaricato di accertare la sussistenza o meno della sproporzione fra beni posseduti e redditi disponibilità dichiarati dall’imputato Salvatore Mazzei, imprenditore lametino destinatario di un imponente sequestro dei beni.
IL RUOLO DI SARACO E ancora: l’11 febbraio scorso Francesco Saraco ha dichiarato di avere consegnato 60mila euro a Schiavone per aggiustare la sentenza d’appello che vedeva il padre imputato per estorsione.
Chi ha il dente avvelenato con Claudio Schiavone è Emilio Santoro il quale stando alle parole di Saraco avrebbe riferito che le 60mila euro non erano arrivate intonse nelle mani del giudice Petrini ma ne sarebbero arrivate solo 30mila.
IL “FACCENDIERE” SANTORO Intorno alla figura di Petrini orbitavano, secondo l’accusa, diversi “faccendieri” tra i quali il medico cosentino in pensione Emilio Santoro, detto Mario. I diversi capi di imputazione contemplati riguardano varie vicende nel corso delle quali, tramite Petrini, i coindagati, attraverso il pagamento di mazzette e l’elargizione di regali di vario genere e natura, hanno puntato ad “aggiustare” sentenze. Tra queste vi è il procedimento penale “Itaca Free Boat” che in primo grado aveva visto condannati Antonio Saraco e Maurizio Gallelli rispettivamente a 10 anni – per estorsione – ed a 16 anni di reclusione- per associazione a delinquere di stampo mafioso. I Saraco, anche tramite Francesco Saraco, figlio di Antonio, avrebbero mirato a ottenere l’assoluzione per Antonio Saraco e una misura più mite per Gallelli. È in questa vicenda che si inserisce la figura di Claudio Schiavone.
SCHIAVONE E SARACO SOCI IN AFFARI Schiavone viene descritto quale soggetto in stabili relazioni con Santoro Emilio detto Mario, nonché socio della The Grand srl con quote del 20 per cento, società a sua volta partecipata da Francesco Saraco con quote del 5 per cento e dalla moglie con quote del 20, il quale agiva per conto del summenzionato socio fungendo abitualmente da tramite fra lo stesso è Santoro Emilio detto Mario, nelle fasi di ideazione, preparazione ed esecuzione del progetto corruttivo coinvolgente il giudice Marco Petrini, nei seguenti modi: ricevendo, nel febbraio-marzo del 2019, da Francesco Saraco la promessa della somma complessiva somma di euro 150mila, con effettiva consegna, circa una settimana dopo, dell’importo di euro 60mila presso il suo studio sito in Cosenza nei pressi del palazzo Upim da utilizzarsi per corrompere il giudice Petrini al fine di ottenere nel processo di appello Itaca Free Boat una sentenza di assoluzione à favore del padre Saraco Antonio; rassicurando in data 30.3.2019 Emilio Santoro detto Mario circa il fatto che, a seguito della riduzione della pena nei confronti di Galletti Maurizio da 16 a 6 anni e del proscioglimento di Antonio Saraco all’esito del processo di Appello, la famiglia Saraco avrebbe eseguito i pagamenti promessi al giudice Petrini. Non solo. Nel mese di febbraio-marzo 2018, Schiavone avrebbe consegnato al giudice Petrini, su incarico di Francesco Saraco, 10mila euro alla presenza di Emilio Santoro. La somma doveva servire a far sì che Petrini, quale Presidente del collegio della sezione feriale della Corte di Appello di Catanzaro, emettesse una ordinanza di revoca parziale del sequestro di immobili di beni dei Saraco sottoposti a confisca.
INQUINAMENTO PROBATORIO Secondo il gip: «Il rischio di dispersione/inquinamento probatorio appare viepiù concreto, tenuto conto anche delle entrature e dei contatti che l’indagato ha dimostrato di saper instaurare e mantenere, à mezzo dei quali egli potrebbe agevolmente stabilire rapide comunicazioni, sia con i coindagati, sia con altre persone informate sui fatti (e quindi idonee a riferire circostanze investigativamente utili agli inquirenti)». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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