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OVERTURE | Il "sistema" Cosenza per la pace criminale e la spartizione dei profitti

I collaboratori di giustizia raccontano come funzionasse la rete dello spaccio e delle estorsioni nella città dei Bruzi. Droga, armi e divise dei carabinieri. Ma anche intimidazioni e botte. «L’abb…

Pubblicato il: 26/06/2020 – 10:07
OVERTURE | Il "sistema" Cosenza per la pace criminale e la spartizione dei profitti

di Michele Presta
COSENZA  
Ogni annotazione, controllo, rivelazione adesso trova la sua collocazione all’interno della storia. Lo scacco ai gruppi criminali di “San Vito” , quartiere nel cuore popolare di Cosenza, è il frutto di anni di indagine, pedinamenti e interrogatori ai collaboratori di giustizia. Le gole profonde dei nuovi pentiti hanno permesso ai magistrati dell’antimafia di ricostruire la nuova geografia criminale dei gruppi che facevano riferimento in modo particolare a Falbo Alfonsino e Gianfranco Scanga. Sarebbero loro i nuovi colonnelli di quello che in origine fu il gruppo “Perna-Pranno” e che vide nel corso della sua storia avvicendarsi anche Domenico Cicero.
IL SISTEMA COSENZA E’ così che si è arrivati alla definizione del “sistema” Cosenza. Quello in cui possono operare solo i gruppi criminali riconosciuti. Pace e affari per tutti e soldi che ingrossano le tasche della malavita grazie alle estorsioni e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Di come operi il “sistema” parlano soprattutto i pentiti di nuova generazione come Luca Pellicori, Francesco Noblea, Celestino Abbruzzese, Giuseppe Zaffonte e Luciano Impieri. Sono loro a riferire, come nel caso dello spaccio delle sostanze stupefacenti, come tutto dovesse passare da Alfonsino Falbo. Dalle carte dell’inchiesta emerge la struttura organizzativa in forma piramidale con i vertici che gestivano i fornitori, i clienti e le reti di vendita. «Se commetti reati fuori dal “sistema”, senza autorizzazione vieni picchiato o sparato – dichiara Anna Palmieri -. Devi pagare per il cosiddetto disturbo». È la collaboratrice di giustizia che racconta di come una persona facesse lo sgarro con lo spaccio della cocaina. «Ci dissero che (nome omissato ndr) faceva il sottobanco con l’eroina. Vendeva l’eroina acquistata da altri canali, quella pura; l’eroina rosa che rischiava di fare morti. Saputa questa cosa andarono da lui a cercarlo, aveva una casa, dove trovarono un marocchino che smerciava l’eroina per lui e lo massacrarono di botte. Per non fargli del male, decise di intervenire il fratello e pagare il disturbo».
LO SPACCIO DELLA DROGA Il gip che valuta le richieste arrivate dagli uffici guidati da Nicola Gratteri, ritiene che «Falbo Alfonsino sia il promotore dell’organizzazione», al pari di lui Gianfranco Scanga (qui il nostro approfondimento), che «si serve dei suoi fedelissimi Massimo Imbrogno e Vincenzo Laurato per svolgere la sua attività di spaccio». Ma oltre ad Alfonsino Falbo, secondo gli investigatori a rifornire la città di sostanza stupefacente, ci pensa anche Sergio Raimondo. «Non v’è dubbio che sia al vertice di un gruppo autonomo criminale che si occupa di acquistare e vendere sostanza stupefacente». È da lui ce si rifornisce Riccardo Gaglianese, indicato dal collaboratore Alberto Novello come «persona autonoma» capace di «provvedere in  via autonoma al rifornimento di cocaina costituendo un canale di vendita alternativo rispetto a quello di Falbo Alfonsino». I nomi non sono inediti alle cronache. Quanto avvenne in seno al gruppo guidato da Marco Perna, così come gli attriti interni al gruppo, gli allontanamenti di Falbo Alfonsino e la capillare rete di spaccio, furono al centro del processo “Apocalisse” dove vennero sviscerati gli atteggiamenti della Cosenza criminale di San Vito. Spesso, i quantitativi di droga che vengono ceduti dai pusher non vengono quantificati, in altri casi si. In due distinti episodi si fa riferimento a svariati chili. La cessione di 4,4 chili di hashish viene contestata ad Alfonsino Falbo e Massimo Imbrogno . Lo stupefacente veniva occultato in un magazzino della città di proprietà di Falbo, che fungeva da base operativa. Ma c’è anche un altro episodio, in cui i carabinieri intercettano un carico da 10 chili di hashish Veniva occultato a casa di Giuseppina Carbone. «Vedi che ne ho una ventina di chili» dice Falvo al telefono con Imbrogno. Gli inquirenti, ritengono che nella casa della donna ce ne fossero molti di più dei 10 chili recuperati. «Ho accettato un pacco che non dovevo accettare – confessa la donna al telefono con la sorella-. Perché presa dalla disperazione dovevo far mangiare mio figlio… Per cento euro!».
LE DIVISE DEI CARABINIERI E LE MUNIZIONI Pistole, munizioni, un Kalashnikov, bilancini di precisione, cocaina e poi un borsone con dentro divise e porta divise in uso all’arma dei carabinieri. Le forze dell’ordine trovano tutto in una macchina che si ritiene riconducibile ad Alberto Novello e Riccardo Gaglianese. «Riccardo Gaglianese, aveva acquistato la Fiat Stilo da Alfonsino Falbo, gliel’hanno portato sotto casa sua, gliel’ha portata Vincenzo Laurato». Ma se la droga veniva depositata nella Stilo, così non era per le armi. Quanto ritrovato nella Athos secondo il gip è da ricondurre ad Alberto Novello, al quale, considerata la provenienza illecita dell’armamentario viene contestato anche il reato di ricettazione. Così come evidenziò la polizia nel marzo del 2018, anche oggi, il procuratore Gratteri ha sottolineato la gravità del rinvenimento di divise in uso alle forze dell’ordine.
LA “CORTESIA” AL FERROVIERE Gianfranco Scanga, Emanuele Apuzzo, Ottavio Mignolo, Pietro Mazzei ed Alfredo Fusaro, sono ritenuti responsabili di una serie di azioni violente e minacciose nei confronti di un dipendente delle ferrovie. Il tutto sarebbe finalizzato, si legge negli atti d’indagine, a «impedire le denuncie di alcune irregolarità». Mentre si discute che tipo di punizione infliggere i carabinieri captano la conversazione: «Ho detto gli dovete menare due schiaffi a  questo». Detto fatto. Apuzzo e Mazzei attendono in auto e Mignolo nella ricostruzione contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare, va a compiere il pestaggio. Tornato in auto dice: «Madonna fratello mio.. ho preso l’osso..mi sono fatto male al dito». «Mi sono fatto male al dito, però gli ho rotto pure gli occhiali». E Apuzzo con modo soddisfatto replica: «L’ho visto… l’abbiamo visto in diretta… pom pom pom gli hai fatto». Il dipendente, da quanto emerso dalle indagini, sarebbe stato vittima dei pestaggi perché ha segnalato alcuni periodi di malattia goduti da Alfredo Fusaro. «Non v’è dubbio – scrive il gip – che le aggressioni sono collegate al suo comportamento relativo alla vicenda delle ferie godute dal Fusaro, avendo l’aggressore, atto espresso riferimento alla stessa. E cnon v’è dubbio che le due aggressioni, seppure a distanza di mesi siano collegate alla stessa vicenda, dal momento che è lo stesso Apuzzo a fare riferimento ad una precedente aggressione da lui direttamente eseguita». (m.presta@corrierecal.it)

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