di Pablo Petrasso
VIBO VALENTIA «Hanno una banca». Senza scomodare la famigerata intercettazione di Piero Fassino («ma abbiamo una banca?») ai tempi del tentativo di scalata a Bnl da parte di Unipol, le parole di Giovanni Giamborino, considerato dai magistrati della Dda di Catanzaro vicino al boss Luigi Mancuso, spiegherebbero – a suo dire – il bacino di consensi sul quale può contare Vito Pitaro, oggi consigliere regionale di centrodestra e, all’epoca delle intercettazioni contenute nel faldone della maxi inchiesta Rinascita Scott, uno dei maggiorenti del Pd a Vibo Valentia. La banca di cui si parla è la Bcc di San Calogero e Maierato, nella quale Pitaro ha ricoperto un importante ruolo (era membro del consiglio d’amministrazione) fino all’estate del 2016. L’istituto di credito è finito al centro di un’ispezione di Bankitalia dalla quale è nata un’inchiesta della Procura di Vibo con 14 indagati. Il tema è comune a tanti crediti cooperativi: la concessione “allegra” di mutui e agevolazioni. Pitaro, comunque, non è indagato (né in Rinascita né per il “crac” della banca).
DAL CENTROSINISTRA AL CENTRODESTRA Il suo (relativamente recente) cambio di casacca – un passaggio dal centrosinistra al centrodestra – fu definito da tutti gli osservatori politici uno di quei fattori capaci di influire sul risultato finale delle ultime elezioni comunali a Vibo Valentia. E che Vito Pitaro potesse contare su un cospicuo numero di voti è apparso evidente il 27 gennaio 2020. Eletto consigliere regionale con 5.024 preferenze, ha trascinato a Vibo la lista “Jole Santelli presidente”, titolare nel capoluogo del 17,28% dei consensi (quasi il doppio di Forza Italia, più del doppio della lanciatissima Lega). Per lui è ritorno a Palazzo Campanella, che ha già frequentato come segretario particolare del consigliere dem Michele Mirabello. Questa volta, però, entra dalla porta principale. È la storia di una scalata alla politica, quella di Vito Pitaro, avvenuta per step: dirigente del Partito democratico, membro del consiglio di amministrazione del Banco di credito cooperativo di San Calogero e Maierato, “capo” dello staff di Mirabello dal maggio 2016 al novembre 2019, quando era già passato al centrodestra, per il quale ha allestito una lista a sostegno di Maria Limardo, sindaco di Vibo Valentia. Infine l’ambitissimo scranno a Palazzo Campanella dopo l’adesione al progetto di Jole Santelli e l’asse consolidato con il parlamentare forzista Giuseppe Mangialavori.
«PERSONE AD ALTO RISCHIO» Quando gli investigatori indagano su Pietro Giamborino, ex consigliere regionale arrestato nell’operazione Rinascita Scott della Dda di Catanzaro, Pitaro – impegnato nella campagna elettorale delle Politiche 2018 per Bruno Censore (Pd) – appare spesso nelle conversazioni del politico. Giamborino – che non può certo dirsi un paladino dell’antimafia, visti i suoi stretti rapporti con esponenti del clan dei Piscopisani – commenta l’impegno del futuro consigliere regionale che, a suo dire, in quella campagna elettorale, si sarebbe avvalso «dell’appoggio di persone ad alto rischio, esponenti della criminalità organizzata locale».
Il tutto allo scopo di «garantirsi il bacino di voti». Per Giamborino – che non nasconde di essere «contrario a questo Censore» – la campagna elettorale è un’occasione per far valere la propria residua forza politica, per dimostrare che un suo “dispetto” al centrosinistra è in grado di sovvertire i destini dei candidati nel collegio di Vibo Valentia (in una intercettazione spiega che «Forza Italia vince perché noi gli abbiamo dirottato cinquemila voti del Pd»). E anche per “contarsi” in vista delle Regionali 2020. Intanto guarda a ciò che accade nel campo del centrosinistra.
VENTI SEGNALAZIONI TRA IL 2002 E IL 2018 Lo fa anche suo cugino Giovanni Giamborino, un altro degli arrestati nella maxi operazione. Dal “secondo” Giamborino, per i magistrati un luogotenente del boss Luigi Mancuso, arrivano considerazioni pesanti sulle frequentazioni di Vito Pitaro. Sono parole tratte da una conversazione registrata nel primo semestre del 2017. Si inizia con un “rimprovero”, cioè «l’assenza di qualunque precauzione nella frequentazione di soggetti pregiudicati». Affermazione alla quale gli investigatori legano una nota a fondo pagina. Nella quale sottolineano che «in effetti, la lettura della banca dati delle forze di polizia restituisce diversi controlli con pregiudicati della zona e pregiudicati della famiglia “Lo Bianco-Barba” di Vibo Valentia». Segue un elenco di venti segnalazioni che inizia nel 2002 e arriva fino al 2018. Sarebbero queste e altre le “amicizie pericolose” di Vito Pitaro secondo Giamborino. In una telefonata con Francesco Ferdinando Basile (un altro degli indagati in Rinascita Scott), il cugino dell’ex consigliere regionale di Margherita e Pd rincara la dose: «’Sto Vito – dice – è uno spregiudicato… di nessuna cosa si guarda… fa compari, comparaggi con tutto». Altra osservazione: ci sarebbe stata (all’epoca del colloquio intercettato) una «stretta frequentazione tra Vito Pitaro e Gregorio Gasparro». Gasparro, indagato in Rinascita Scott, è il nipote di Saverio Razionale, boss di San Gregorio d’Ippona, e gli inquirenti lo considerano il referente del “capo” per le gli affari di famiglia nel Vibonese (Razionale ha ormai la propria “base” economica a Roma, secondo le accuse della Dda di Catanzaro). «Lui (Vito Pitaro, ndr) se ne va a mangiare tutte le sere con “Ruzzo” (è il soprannome di Gasparro, ndr). Con Vito Pitaro tutte le sere mangiano con “Ruzzo” – dice Giamborino –, “Ruzzo” lo sanno chi è, non è che non lo sanno chi è, hai capito?».
«HANNO UNA BANCA» Nel dialogo, Giamborino (che conosce bene le dinamiche e i personaggi dell’ambiente criminale) ipotizza anche una ragione per il “successo” politico di Pitaro. «I voti – racconta – perché li hanno presi pure nonostante tutto, hanno una banca, avere una banca dietro, la banca poi dà i soldi, se dà i soldi me ne fotto di tutti a me… “me lo dai un mutuo a me e me ne fotto di tutti”». Per i magistrati della Dda di Catanzaro, Giamborino «attribuisce il bacino elettorale di Pitaro all’incarico ricoperto presso il consiglio di amministrazione della Banca dì Credito Cooperativo di San Calogero-Maierato, grazie al quale aveva facoltà dì erogare prestiti a soggetti vibonesi a forte rischio di insolvenza. Questa manovra che aveva messo l’istituto di credito in grave sofferenza – sono sempre gli inquirenti che “traducono” le espressioni nella telefonata captata – era finalizzata ad ottenere, da parte di Pitaro, il consenso elettorale dei clienti della banca». Le valutazioni si fanno più colorite: «Voglio vedere chi va… a Piscopio tutti avevano fidi di cinquemila, carte di credito, diecimila e cazzi vari. Vito ha fatto l’operazione grossa che doveva fare, ha fatto l’operazione per prendersi i soldi… ai ragazzi i 5mila, i 3mila, li accontentava per farsi dare i voti. Per portare i voti». Quello del bacino elettorale costruito grazie alla facilità di erogare credito è un concetto che Giamborino ribadisce in altre occasioni: «Se tu pensi che a Piscopio, Vito Pitaro, ci sono cinquanta ragazzi che hanno il conto corrente, tutti con cinquemila euro di scoperto, con la carta di credito… ragazzi che non l’hanno mai vista… Tutti lui! Eh allora, per questo gli davano i voti».
I RAPPORTI CON FIORILLO E I FAMILIARI DI MANTELLA Per quanto piccola e certamente periferica, Piscopio pareva essere diventata il centro (o il buco nero) della politica regionale. Non solo per gli incroci pericolosi dell’inchiesta Rinascita Scott. Anche negli atti dell’indagine Rimpiazzo emergono contatti tra la politica e il clan dei Piscopisani, ‘ndrina emergente e feroce. E, di nuovo, sotto i riflettori, per una serie di intercettazioni che risalgono alla fine del 2014, finisce Vito Pitaro, che non è indagato neppure in questa inchiesta. Con lui – così appuntano gli inquirenti in una informativa – Rosario Fiorillo, considerato ai vertici del clan, «ha mostrato un particolare interesse e una particolare vicinanza a tale Vito Pitaro, politico locale, in passato eletto per ben tre volte nel consiglio comunale di Vibo Valentia ricoprendo anche la carica di assessore. Pitaro – è la sintesi degli investigatori – si dimostra molto ben disposto nell’intrattenere rapporti con Rosario Fiorillo che non perde l’occasione di far recapitare all’uomo regali di vario genere». Gli investigatori sottolineano la familiarità nella conversazione. «Amichevole» è definita anche una chiacchierata che gli inquirenti riportano a verbale (anch’esso nel procedimento Rimpiazzo) tra i famigliari del boss pentito Andrea Mantella e Pitaro, ai tempi (i colloqui sono del febbraio 2007) assessore alle Politiche sociali del Comune di Vibo Valentia.
I (TANTI) CONTATTI CON L’IMPRENDITORE LEGATO AL CLAN RAZIONALE Sul filo dei rapporti personali (tra un «Vituzzo mio» e un «compare bello») e d’affari si gioca anche un’altra delle relazioni che – alla luce degli esiti dell’inchiesta Rinascita Scott – potrebbero risultare imbarazzanti per il consigliere regionale. È quella che lo lega a Mario Lo Riggio, imprenditore ritenuto dagli inquirenti «alle dirette dipendenze di Gregorio Gasparro». Lo Riggio, secondo i magistrati della Dda di Catanzaro, avrebbe messo «a disposizione della cosca Fiarè-Gasparro-Razionale, nonché di quella collegata Lo Bianco-Barba le sue imprese e i suoi rapporti nel settore imprenditoriale e finanziario». Sarebbe, in sostanza, un «finanziatore delle consorterie di ‘ndrangheta operanti a Vibo Valentia, attività condotta in nome e per conto di Saverio Razionale e Gregorio Gasparro». Note integrative e informative descrivono in dettaglio le presunte attività di Lo Riggio. E sottolineano il suo ruolo come «personaggio di riferimento per gli elementi apicali delle cosche». Tra l’imprenditore legato al clan di San Gregorio d’Ippona e Vito Pitaro – che, ribadiamo, non è indagato – i contatti si susseguono. E riguardano una pratica a cui Lo Riggio tiene molto: un suo contatto vorrebbe mette in piedi un’azienda agricola e si preoccupa, visti i «suoi pregressi problemi giudiziari», di ottenere un canale preferenziale per aprire un conto corrente con relativo fido. Per questo Lo Riggio si rivolge a Pitaro, «avvocato nonché già membro del consiglio di amministrazione della Bcc di San Calogero e Maierato, in virtù del rapporti di amicizia che li legava». A ordire la trama, secondo gli investigatori, sarebbe il nipote del boss Razionale, lo stesso Gregorio Gasparro che – a detta di Giovanni Giamborino – sarebbe stato visto in compagnia dell’attuale consigliere regionale negli anni scorsi. Sono molti i contatti telefonici tra Lo Riggio e Pitaro, considerato il punto di riferimento per questa “pratica” bancaria da avviare a cavallo dell’estate 2017, anche se le sue dimissioni dal consiglio d’amministrazione della Bcc risalgono a circa un anno prima. I colloqui sono estremamente amichevoli. E Lo Riggio sottolinea che Pitaro «combatte (per risolvere la questione del conto corrente, ndr) senza denari, senza niente, ma combatte ugualmente». Secondo gli investigatori, peraltro, «non sono emersi elementi dai quali poter desumere che Vito Pitaro abbia risolto il problema». L’unico dato certo è che la madre del contatto di Lo Riggio ha effettivamente aperto una ditta, ma resta da verificare se abbia acceso conti correnti presso la Bcc di San Calogero e Maierato, la banca nella quale Pitaro ha ricoperto un ruolo di primo piano. E che, per alcuni indagati in Rinascita Scott, costituirebbe il fulcro del suo consenso. (p.petrasso@corrierecal.it)
x
x