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«I crediti commerciali non sono un bottino di guerra»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 08/07/2020 – 11:09
«I crediti commerciali non sono un bottino di guerra»

Rien ne va plus. Ieri, 7 luglio, è scaduto il termine per accedere alla «piattaforma dei crediti commerciali» (PCC) vantati verso la PA territoriale, di cui al D.L. 34/2020 (artt. 115 e 116).
Tutto è accaduto come se non ci riguardasse
In occasione delle ricorrenti messe a disposizione di fiumi di danaro pubblico destinati ad anticipazione di liquidità del sistema autonomistico territoriale (ma anche di quello sanitario) per saldare i debiti pregressi, sorgono strane sensazioni. Soprattutto quella di trovarsi di fronte ad una generosa distribuzione di moneta contante altrui. Come se le risorse miliardarie utilizzate ad hoc non ci appartenessero. Come se fossero quattrini caduti per miracolo dal cielo e, in quanto tali, senza conseguente onere a carico del bilancio della Repubblica, se non solo finanziariamente.
Una siffatta logica ha fatto sì che si ingenerasse l’ingenua supposizione che, nell’ipotesi di più o meno incoscienti errori eventualmente commessi nel pagare anche l’indebito, non si realizzerebbe alcun danno per la collettività. Un assurdo. Una sorte di incauta e colpevole irragionevolezza che ha fatto sì che si «abbeverassero» via via, anche abbondantemente, a tali «fonti miracolose» aziende e professionisti abituati a nuotare nelle solite «acque torbide» della contabilità pubblica, arrivando a rivendicare crediti velleitari ovvero gonfiati, sino a consentirne il godimento a fornitori di beni e servizi in odore di mafia e/o organici ad essa.
Condoni e anticipazioni di liquidità sono i sintomi di una malattia cronica
Sul piano del risultato, le anticipazioni di liquidità hanno una sorta di similitudine con i ricorrenti condoni, fiscali ed edilizi, nel senso che anche esse vengono percepite non come l’occasione unica per pagare pegno sugli errori commessi, bensì come l’ultima chance per adempiere, alla quale tuttavia ne succederà verosimilmente un’altra, che potrebbe essere addirittura più conveniente. Una condizione che favorisce – così come fa la ricorrenza dei condoni fiscali nell’incidere favorevolmente sulla continuazione dell’evasione del dovuto in attesa del condono successivo – la generazione di credito indebito nei confronti della PA. Ciò sulla base del naturale convincimento che tanto ci sarà la successiva anticipazione di liquidità, attraverso la quale godere di maggiore generosità da parte di chi è chiamato a pagare, solitamente impunito, senza che ai cittadini venga (in apparenza) tolto un solo quattrino dalle loro tasche.
Dunque, «piatto ricco mi ci ficco», tanto il «chi dà le carte» (il decisore territoriale) sarà come al solito più attento alla fase di accaparramento delle risorse della distribuzione del danaro che a controllare la veracità dei creditori da soddisfare, anche perché spesso raccomandati da qualcuno.
Le tirate di orecchie della Consulta
Questo è quanto accaduto da poco più di un settennio fa con le ricadute dei D.L. 35/2013, 66/2014 e 78/2015, che hanno consentito di fare quasi ovunque «carne di macello». Questo è quanto accaduto per «difendere d’ufficio» i comuni in crisi, rei di avere speso molto di più di quanto potessero e riscosso molto meno di quanto dovessero fare. Una «soluzione non soluzione» così sancita (ma anche oltre) dalla Corte costituzionale con le sue recenti sentenze riguardanti rispettivamente i comuni di Napoli, Pozzallo e Reggio Calabria (si veda Quotidiano EELL&PA del 25 giugno 2020).
Non solo. E’ accaduto, ancora prima, con il sistema sanitario nazionale, a cominciare dagli atti liquidatori degli anni ’80 delle allora Saub anticipatrici della introduzione a regime delle Usl (legge 349/1977), per finire alla previsione (legge finanziaria per il 2010) di mutui trentennali finalizzati ad estinguere i debiti contratti dai Ssr a tutto il 31 dicembre 2005.
A sostegno di una tale tesi sarebbe sufficiente constatare quella parte di destinazione dei fondi goduti, sia a titolo di anticipazione che di mutui veri e propri, assicurata nel tempo al pagamento di indebiti, determinatosi a causa dalla solita trascuratezza, nell’accertare da parte della PA interessata la validità dei titoli del dovuto a terzi, che ha caratterizzato i comportamenti dei decisori, politici e dirigenziali, tenuti in occasione dei siffatti ricorrenti introiti straordinari. Basti pensare ai doppi e tripli pagamenti (venuti fuori nella sanità calabrese) – molti dei quali passati esenti dai controlli «doganali» che ricordano più la groviera che l’immagine di severità delle dogane che ne avevano i nostri nonni emigrati – eseguiti a fronte di un’unica causa creditoria. Così come all’extrabudget corrisposto indebitamente in alcune regioni, per decine di milioni di euro, in favore di case di cura private, nonostante le dichiarazioni di non dovutezza riportate in apposite sentenze, di diverso grado, superate da strumentali lodi voluti dalle Asl sui quali nessuno ha pagato, sino ad oggi, quantomeno in termini di responsabilità erariale.
Lo scenario delle responsabilità
A proposito di responsabilità, su quelle che potrebbero essere rinvenibili a seguito di «cattivi» inserimenti in PCC e di eventuali successivi pagamenti di debiti, non riconoscibili come commerciali, è appena il caso di sottolineare quelle più probabili.
Per intanto, occorre escludere da ogni tipologia di responsabilità degli istanti in relazione alla pretesa dell’ente se ben suffragata da idoneo documento fiscale di attribuzione dell’origine di credito del terzo, giustificato peraltro da «somministrazioni, forniture, appalti e a obbligazioni per prestazioni professionali», tale da assumere la corrispondente caratteristica di debito commerciale dell’ente territoriale.
Diversamente accade per il c.d. «documento equivalente» ovvero per la documentazione posta a supporto di un debito che lo renda tale a tal punto da farlo considerare equiparato, sotto il profilo civilistico e fiscale, ad una fattura da annotare in contabilità.
Le domande più ricorrenti che si sono poste in questi giorni i soggetti tenuti al facoltativo adempimento hanno riguardato, infatti, le potenziali responsabilità derivanti da richieste di anticipazioni di liquidità indebite, ovverosia riferibili a debiti non rientranti nella tipologia “commerciale” (si veda NT+ Enti Locali & Edilizia del 3 luglio).
Al riguardo, sono da ritenersi decisori suscettibili di essere chiamati a rispondere di responsabilità specifica sia chi ha indotto, spesso da sedicenti postazioni istituzionali, gli enti locali a comportamenti errati, nel senso di spronarli a richiedere di tutto e di più, sia chi ha materialmente fatto ricorso ad anticipazione di liquidità riferibile a debiti non pienamente rientranti nella canonica categoria di quelli ammessi. Tra questi, quelli sollecitati dai creditori istituzionali medesimi per aggiustare i propri bilanci, così come è successo – per esempio – in Calabria da parte della Regione per i crediti verso i comuni per trattamento dei rifiuti, non affatto commerciali o equivalenti, pesantemente stigmatizzati dalla Corte dei conti di Catanzaro in sede di parificazione del rendiconto dell’esercizio regionale 2018.
Allo stesso modo sarà ovviamente responsabile chi non controllerà seriamente l’appartenenza delle singole poste delle richieste alla tipologia, legislativamente pretesa. Ciò nella fase di ammissione, attribuzione ed erogazione del quantum dell’anticipazione di liquidità in favore degli enti istanti.
Non se ne può più
Insomma, occorre finirla di utilizzare siffatte occasioni agevolative, sia nel pretendere che nel rendere disponibili le risorse pubbliche, come se si trattasse di un bottino di guerra, piuttosto che di una occasione per ridare fiato alle economia di imprese/professionisti creditori, altrimenti in crisi, e nel contempo a dare inizio ad una nuova era gestoria degli enti locali, sì da renderli più parsimoniosi nell’esercitare la spesa corrente e più attenti alla riscossione dei tributi e delle tariffe.
La finanza pubblica è cosa seria e come tale occorre trattarla e non già utilizzarla per apparire ciò che non si è attraverso il ricorso a continue anticipazioni di liquidità e a strumenti che hanno il solo scopo di generare indebitamenti delle generazioni future (Consulta dixit). E ancora, per voce della stessa Corte costituzionale, che le anticipazioni non siano strumenti cui si ricorre per finanziare nuova spesa corrente bensì solo per sopperire convenientemente a difetti di liquidità (si veda NT+Enti Locali & Edilizia del 6 luglio).

*docente Unical

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