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PEDIGREE | Nessuno sfuggiva alla legge dei clan

Dall’inchiesta portata avanti dalla Distrettuale antimafia di Reggio emergono particolari sul metodo spietato utilizzato dalle cosche Serraino e Libri per il controllo del territorio. Minacce e dan…

Pubblicato il: 09/07/2020 – 11:18
PEDIGREE | Nessuno sfuggiva alla legge dei clan

REGGIO CALABRIA Un controllo spietato e capillare del territorio esercitato con intimidazioni, danneggiamenti e minacce personali. Un sistema che la cosca Serraino e Libri portava avanti in modo asfissiante nei confronti di chiunque aveva intenzione di aprire un esercizio commerciale nell’area ritenuta di “loro stretta pertinenza”. L’inchiesta “Pedegree” della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ha portato esecuzione di 12 ordinanze di custodia cautelare (11 in carcere e 1 agli arresti domiciliari) ha portato alla luce questo metodo svelando un dinamismo sempre più accentuato nel sistematico ricorso ad attività estorsive nei confronti di imprenditori e commercianti che operano nei territori in cui essa esercita l’egemonia mafiosa.
Le vittime designate erano appunto imprenditori e commercianti a cui gli sgherri delle ‘ndrine imponevano in modo diretto o indiretto il pagamento di un scotto per poter esercitare la loro attività.
MINACCE E IMPOSIZIONI Dalle indagini è emerso, ad esempio, che con l’intimidazione mafiosa Cortese ha costretto un rivenditore ad acquistare pane – che in gran parte sarebbe rimasto invenduto e non reso al fornitore – presso l’esercizio abusivo della moglie Stefania Pitasi che utilizzava un forno a legna fatto in casa. In un’altra occasione gli inquirenti hanno potuto ricostruire che le pressioni estorsive messe in atto sempre da Cortese, avvalendosi di Antonino Filocamo, nei confronti del titolare di un bar di San Sperato, per ottenere il pagamento di una mazzetta di 2.500 euro e di fronte alle difficoltà palesate dall’esercente, ha ordinato a Sebastiano Massara di danneggiare l’esercizio commerciale. Un evento poi scongiurato grazie all’intervento della Squadra Mobile che, sotto le direttive della Dda ha perquisito l’abitazione del soggetto incaricato di eseguire l’azione delittuosa.
Ed ancora, sempre da quanto ricostruito dagli inquirenti, una ditta impegnata nella ristrutturazione di un immobile è stata costretta da Maurizio Cortese, dalla moglie e dal suocero, a corrispondere una “tassa” sull’importo dei lavori pari a mille euro.
Minacce che riguardavano non soltanto l’imposizione del “pizzo”. In un caso, infatti, diversi creditori di Salvatore Paolo De Lorenzo, affiliato alla cosca, sono stati costretti da Maurizio Cortese a rinunciare ai crediti, tra cui uno di 105mila euro vantato a titolo di corrispettivo per alcuni lavori di edilizia dallo stesso commissionati. Maurizio Cortese, ha intimato alle persone offese di non avanzare richieste di pagamento, avvertendole del suo personale interesse alla rimessione dei debiti del correo. Tutti i proventi di queste azioni servivano, secondo quanto emerso dalle indagini, a finanziare l’attività degli uomini del clan e a garantire il “welfare” parallelo della cosca che con quei soldi sporchi sostenevano economicamente i detenuti e i loro familiari.
NESSUNO SFUGGIVA ALLE INTIMDAZIONI Dalle indagini è emerso anche che Maurizio Cortese non abbia esitato ad ordinare la distruzione del bar di un “suo” uomo Domenico Morabito) al fine di avvantaggiarne un altro (Antonino Filocamo) che lavorava nella stessa zona di Viale Calabria, e dal quale avrebbe ottenuto maggiori utili. In particolare è emerso che Domenico Morabito, gestore di fatto del bar “Mary Kate” sul Viale Calabria, pagava Cortese per essere stato autorizzato ad aprire l’esercizio commerciale nella zona notoriamente controllata dai Labate. Tuttavia il capo cosca, ritenendosi non soddisfatto dalle prestazioni dell’uomo – che, peraltro, avrebbe riferito di aver aperto l’esercizio commerciale senza il placet di alcuno – ha preferito ampliare i suoi guadagni accettando offerte più cospicue dal rivale, titolare del “Royal Cafè”, ubicato nelle vicinanze del “Mary Kate” che il Cortese ha deciso quindi di far chiudere con due gravi danneggiamenti eseguiti mediante incendio con il concorso di Filocamo.
E così, nella serata del 12 aprile 2019, il bar “Mary Kate” subiva un grave danneggiamento causato da un incendio doloso. Filocamo e Cortese avevano concordato che se Morabito avesse riaperto il bar, essi avrebbero posto in essere ulteriori danneggiamenti. Una eventualità poi verificatasi.
Il 13 maggio 2019, Morabito avviava i lavori di ristrutturazione dell’esercizio commerciale. Ed esattamente 5 giorni dopo l’inizio dei lavori, i1 “Mary Kate” subiva un nuovo danneggiamento mediante incendio. Solo dopo un’intesa tra i tre hanno infine permesso all’uomo di riaprire il bar. (rds)

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