di Fabio Papalia
REGGIO CALABRIA «Una cosca storica della ‘ndrangheta, che “viene dalla montagna”, eredi di un soggetto (Francesco Serraino, nda) indicato come il “boss della montagna”». Con queste parole il Questore Maurizio Vallone ha introdotto, nella sala “Nicola Calipari” della Questura, la conferenza stampa per illustrare i risultati dell’operazione Pedigree.
Il procuratore capo Giovanni Bombardieri ha tratteggiato a lungo il ruolo di Maurizio Cortese, il quale era già detenuto e ciononostante è la figura chiave dell’indagine.
Considerato attuale vertice della cosca Serraino, dal carcere di Torino continuava a impartire ordini. «Siamo riusciti a monitorare Maurizio Cortese – ha spiegato Bombardieri – che dal carcere forniva indicazioni sulle attività criminose da sviluppare attraverso l’uso di telefoni cellulari che erano stati illegalmente introdotti nella struttura penitenziaria». Le indagini sono scattate dalla cattura di Cortese, avvenuta tre anni fa: «Nel 2017 viene arrestato da latitante – ha ricordato Bombardieri – e già in quel momento in sede di arresto viene rinvenuta una missiva che gli era stata indirizzata da un altro soggetto e in cui gli si riconosceva un ruolo di primo piano nel panorama criminale e ‘ndranghetista cittadino. C’era scritto: “Mi hanno detto che da oggi in poi rappresenti noi, non farci fare brutte figure perché le fai fare a tutti”.
«Queste poche parole – ha commentato Bombardieri – sono estremamente significative dell’appartenenza al gruppo, della rappresentanza del gruppo di cui veniva investito».
Oltre alla lettera, a inchiodare Cortese vi sono anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Liuzzo, in merito alle quali Bombardieri ha riferito che «Liuzzo ci dice che sicuramente era un soggetto di primo piano intraneo alla cosca Serraino e aveva creato una sua cellula che vedeva come partecipi i soggetti che sono stati tratti in arresto con lui».
Primo fra questi il suocero, Cortese infatti è il genero di Paolo Pitasi, indicato come il braccio destro del defunto don Ciccio Serraino. Bombardieri ha raccontato che nelle intercettazioni si parla di Pitasi spiegando che «non è che don Paolo è quello che è per riflesso di suo genero, suo genero è arrivato dopo».
Come un puzzle di cui a poco a poco si individuano le tessere, il procuratore ha rivelato che anche nel corso di questa indagine sono risuonati i tamburi di guerra a causa della pescheria aperta senza preventiva comunicazione da Gino Molinetti, arrestato nell’ambito della recente operazione Malefix: «Anche in questa indagine troviamo traccia di quell’apertura che viene considerata come elemento che avrebbe potuto far scoppiare una guerra, anche loro commentando questa attività di Gino Molinetti facevano riferimento alla fibrillazione che in quel momento vi era all’interno della criminalità cittadina».
La volontà di Cortese – celata da un linguaggio criptico utilizzato per mandare messaggi tramite la moglie – sarebbe alla base dei due danneggiamenti del bar “Mary Kate” sul viale Calabria. «L’anno scorso – ha affermato Bombardieri – ci fu un grande allarme in città per questi attentati del bar “Mary Kate”, l’importanza di questa attività è di aver fatto chiarezza su questi attentati. Si sono trovati gli autori e le ragioni di questi attentati per i quali a distanza di un anno si è fatta piena luce». (redazione@corrierecal.it)
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