REGGIO CALABRIA Due clan preparati a controllare tutto, anche grazie ai rapporti con altre cosche di Reggio Calabria. Accordi “commerciali”, permessi per chiedere l’apertura di nuove attività nelle aree di competenza di altre ‘ndrine, contatti per evitare screzi e offrire “protezione” a professionisti e negozianti. Lo spaccato che viene fuori dall’inchiesta “Pedigree” è quello di una serie quartieri nei quali il controllo mafioso è pervasivo e capillare.
Dodici sono gli arresti disposti dal gip di Reggio Calabria ed eseguiti dalla Squadra mobile a seguito dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri. L’operazione Pedigree, contro le cosche Serraino e Libri, è scattata alle prime ore della mattinata odierna. E ha portato in carcere, a vario titolo, dodici persone per estorsione, intestazione fittizia di beni, danneggiamento, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, illecita concorrenza con violenza o minaccia, incendio. Per tutti, tranne che per Paolo Pitasi, agli arresti domiciliari per ragioni di salute, i reati sono aggravati dalla circostanza del metodo e dell’agevolazione mafiosa.
GLI ARRESTI Questi i nomi degli arrestati:
Maurizio Cortese, nato a Reggio Calabria il 18.4.1980, ivi residente [già detenuto per altra causa];
Domenico Sconti, nato a Reggio Calabria il 20.1.1957 e residente in Santo Stefano d’Aspromonte [RC] – Località Gambarie [genero di Francesco, inteso don Ciccio Serraino, “boss della montagna”];
Domenico Morabito, nato a Cardeto [RC] il 14.11.1975, residente a Reggio Calabria;
Salvatore Paolo De Lorenzo, nato a Reggio Calabria il 28.10.1971, ivi residente;
Antonino Filocamo, nato a Reggio Calabria 1’11.2.1988, ivi residente;
Antonino Barbaro, nato a Reggio Calabria il 26.12.1986, ivi residente;
Sebastiano Massara, nato a Palmi [RC] il 7.10.1986, residente a Reggio Calabria;
Stefania Maria Pitasi, nata a Reggio Calabria l’1.1.1983, ivi residente [moglie di Cortese Maurizio];
Paolo Pitasi, nato a Reggio Calabria il 26.5.1952, ivi residente [suocero di Cortese Maurizio e padre di Pitasi Stefania Maria, destinatario della misura della custodia degli arresti domiciliari].
Carmelo Leonardo, nato a Reggio Calabria il 7.7.1963, ivi residente;
Bruno Nucera, nato a Reggio Calabria 1’11.10.1968, ivi residente;
Sebastiano Morabito, nato a Cardeto [RC] il 18.8.1966, residente a Reggio Calabria – località Gallina.
LE IMPRESE SEQUESTRATE Non solo arresti: sono state eseguite perquisizioni personali e domiciliari e il sequestro preventivo delle seguenti imprese, disposto dal Gip su richiesta della Dda:
– ditta individuale denominata “Un Mondo di Frutta Vip di Nucera Bruno”, esercente l’attività di commercio di prodotti alimentari, con sede a Reggio Calabria;
– ditta individuale denominata “Le Primizie di Leone Massimo” esercente l’attività di commercio di prodotti alimentari, con sede in Reggio Calabria;
– bar “Mary Kate” riconducibile all’impresa individuale “Morabito Bruno”, con sede a Reggio Calabria;
– impresa individuale “Royal Cafe di Filocamo Antonino” con sede a Reggio Calabria.
È stato inoltre eseguito il sequestro preventivo della seguente impresa, disposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia: ditta individuale denominata “Un Mondo di Frutta Vip di Scaramozzino Fabio” esercente l’attività di commercio di prodotti alimentari, con sede a Reggio Calabria.
ESTORSIONI DA REGGIO A CARDETO E GAMBARIE Le indagini svolte dalla Squadra Mobile – sotto le direttive dei Sostituti Procuratori della Dda di Reggio Calabria Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Paola D’Ambrosio e Diego Capece Minutolo – documentano l’esistenza e l’operatività delle potenti cosche Serraino e Libri e offrono uno spaccato estremamente chiaro delle dinamiche criminali delle predette cosche di ‘ndrangheta operanti, attraverso le loro articolazioni territoriali, nel quartiere di San Sperato e nella frazione Gallina, nonché nel comune di Cardeto e in Gambarie d’Aspromonte, soprattutto nel settore delle estorsioni a imprenditori e commercianti locali, nell’imposizione con violenza e minaccia di beni e servizi e nell’impiego dei proventi delle attività delittuose in esercizi commerciali nel campo della ristorazione (bar) e della vendita di frutta, intestati a compiacenti prestanomi allo scopo di eludere l’applicazione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e il sequestro delle imprese ai sensi della normativa antimafia.
L’ARRESTO DEL LATITANTE CORTESE L’inchiesta ha avuto inizio l’1 settembre 2017 quando gli investigatori della Squadra mobile di Reggio Calabria hanno catturato (unitamente ai colleghi dell’Arma dei Carabinieri), all’interno di un immobile di Reggio Calabria, il latitante Maurizio Cortese, sottrattosi all’esecuzione di un provvedimento di residuo pena (7 anni ed 1 mese di reclusione) di precedenti condanne riportate per i delitti di associazione mafiosa, tentata rapina, tentata estorsione in concorso e violazione della normativa in materia di armi.
I reati per i quali il Cortese era stato condannato erano, per gli inquirenti, rappresentativi della sua caratura criminale e denotavano la sua piena appartenenza alla ‘ndrangheta ed in particolare alla sua articolazione territoriale riconducibile alla cosca Serraino.
IL FEUDO DEI SERRAINO Sono state le indagini, e soprattutto le intercettazioni, a confermare la piena operatività della cosca Serraino e ad accertare: come sia penetrante ed attuale il controllo criminale esercitato dagli appartenenti all’associazione mafiosa in argomento sul territorio di competenza (comprendente i quartieri cittadini di San Sperato, Modena, Arangea, Cataforio, Mosorrofa e dei comuni di Cardeto e Santo Stefano d’Aspromonte); come la cosca abbia in sé tutti gli elementi caratterizzanti un sodalizio di stampo mafioso, ovvero un’organizzazione stabile ed efficiente, in virtù della quale è in grado di porre in essere quel controllo criminale di cui al punto che precede, mediante la propria, specifica, forza di intimidazione e la conseguente condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva; l’attuale pericolosità del clan e la sua capacità di diversificare i propri interessi illeciti, in quanto in grado di perpetrare, attraverso i suoi esponenti, delitti di diversa specie e natura, tutti però da considerarsi finalizzati a realizzare i suoi scopi.
CORTESE AL VERTICE DEL CLAN Il vertice della cosca è oggi rappresentato da Maurizio Cortese, genero di Paolo Pitasi [don Paolo Pitasi] che era stato uno dei principali collaboratori di Francesco Serraino, noto come il “boss della montagna”, assassinato durante la seconda guerra di ‘ndrangheta. Nel corso degli anni, Cortese ha acquisito una sempre maggiore importanza nell’ambito dei gruppi mafiosi, riuscendo ad arrivare ai vertici del clan, con specifica competenza territoriale nel quartiere di San Sperato, grazie anche ai rapporti che ha saputo coltivare, durante la sua carcerazione con alcuni rappresentanti carismatici di altre consorterie della ‘ndrangheta reggina.
IL LEGAME CON I LABATE Lo strettissimo legame del gruppo Cortese con la cosca Labate (i cosiddetti “Ti Mangiu”) è stato al centro delle dichiarazioni del collaboratore di Giustizia Giuseppe Stefano Tito Liuzzo ma emerge anche dagli scambi epistolari tra i detenuti Maurizio Cortese e Pietro Labate, capi della due consorterie criminali, nonché dalle parole di stima ed ammirazione che, nei confronti di Cortese, spendeva Antonino Labato, intercettato nell’ambito dell’indagine coordinata dalla Dda che agli inizi di quest’anno ha portato all’esecuzione dell’operazione Heliantus ad opera della Squadra Mobile.
Inoltre la stessa presenza di alcuni esercizi commerciali riconducibili a soggetti affiliati al sodalizio criminale guidato da Maurizio Cortese come il “Lotus Cafe” e “Royal Cafe” di Antonino Filocamo e il bar “Mary Kate” ascrivibile a Domenico Morabito (detto “Belli capelli”) sul viale Calabria (in piena zona Labate) ne è la chiara dimostrazione.
Ed ancora i contatti tra Cortese e il suo affiliato Antonino Filocamo confermano lo stretto vincolo esistente con la ‘ndrina Labate e, in particolare, con uno dei suoi colonnelli individuato in Orazio Assumma. Proprio a quest’ultimo faceva riferimento Filocamo quando chiedeva a Maurizio Cortese di interessare Orazio Assumma al fine di riferirgli di far spostare, dal viale Calabria, il bar “Mary Kate” di Domenico Morabito, a suo tempo aperto con il benestare della famiglia Labate – sulla base di un rapporto di solida amicizia e di un legame di proficua collaborazione tra le rispettive “famiglie” – proprio perché quell’esercizio commerciale era un’attività di diretto interesse di Cortese.
LETTERE TRA BOSS Il rapporto di collaborazione tra la cosca Serraino e quella dei Labate è inoltre evidenziato dai contatti tra Stefania Pitasi e Benito “Chicco” Labate, figlio di Antonino Labate e nipote del boss Pietro. La Pitasi infatti, adempiendo alle sue consuete funzioni di “postina”, consegnava al rampollo dei “Ti mangiu” una lettera proveniente da Maurizio Cortese, concernente alcuni “lavori” di interesse del detenuto. Nel corso delle intercettazioni, per di più, i sodali rievocavano una cena cui avevano partecipato Maurizio Cortese, suo suocero Paolo Pitasi e “compare Pietro”, ovvero il boss di Gebbione Pietro Labate.
ACCORDO CON LA COSCA LIBRI Quanto alla cosca Libri di Cannavò, occorre evidenziare che taluni dissidi (manifestati, in particolare, da Paolo Pitasi) non hanno impedito un fattivo e proficuo dialogo ogni qual volta si è posta l’esigenza di risolvere problematiche comuni.
In tal senso appare emblematica, innanzitutto, la vicenda relativa all’intervento del Pitasi in favore di un dentista, destinatario di richieste estorsive nella frazione Gallina. Nella circostanza Pitasi (coadiuvato da Antonino Barbaro, Salvatore Paolo De Lorenzo e Bruno Nucera, esponenti della cosca Serraino) ha incontrato l’indagato Sebastiano Morabito (“compare Bastiano”), nella sua qualità di esponente di vertice del gruppo mafioso dei Libri a Gallina in modo da perorare la causa del professionista assicurandogli la protezione della cosca.
Estremamente significativi sono, per gli inquirenti, i contatti intrattenuti da Antonino Barbaro con due esponenti apicali della cosca Libri: Giuseppe Serranò (detto Peppe di Ceddi), apprezzato per la sua straordinaria affidabilità criminale, e Antonio (Totò) Libri. Circostanza emersa quando – a seguito del danneggiamento subito da una pizzeria di proprietà di un soggetto vicino al gruppo Cortese, i sodali si attivavano per cercare di identificare gli autori dell’intimidazione. Trattandosi di un esercizio commerciale ricadente nella zona di influenza dei Libri, Antonino Barbaro affermava di essersi già confrontato con Totò Libri, da lui conosciuto come l’attuale reggente di quella cosca e con il quale vantava un rapporto di costante e rispettosa collaborazione.
I CONTATTI CON MOLINETTI Sarebbero stati accertati, inoltre, rilevanti contatti con la famiglia De Stefano-Tegano. In particolare appaiono documentate le relazioni con Luigi (Gino) Molinetti, storico esponente del potente clan di Archi. Nell’ottobre 2018, Stefania Pitasi parlava con Salvatore Paolo De Lorenzo di una lettera che le era stata inviata dal carcere dal marito Maurizio Cortese. Al riguardo, De Lorenzo le riferiva di essersi già attivato per organizzare un incontro con un soggetto di Archi, secondo le direttive ricevute del boss detenuto. Nel successivo mese di novembre 2018, De Lorenzo discuteva con Stefania Pitasi dell’imminente apertura del bar “Shine” e della necessità di stipulare un contratto di fornitura di acqua minerale con una ditta di Molinetti. In quella circostanza Pitasi, però, mostrava qualche perplessità, non avendo ancora ricevuto il nulla osta del coniuge, né del padre, ma De Lorenzo le riferiva che era stato proprio Cortese a richiedere il contatto con Gino Molinetti, indicato, cripticamente, solo con alcune sillabe [“Mo-Li”] del suo “ingombrante” cognome, inviandogli alcune “imbasciate” che egli stesso aveva recapitato al noto ‘ndranghetista di Archi.
ACCORDI COMMERCIALI Il primo contatto con Molinetti, su mandato di Cortese, era stato avviato quando era stata aperta la panetteria “Da Nonna Lavinia Pane e Fantasia” a Reggio Calabria. Trattandosi di un esercizio commerciale insistente in una zona non sottoposta al controllo della cosca dei Serraino, bensì sotto il dominio della cosca De Stefano-Tegano, nel rispetto delle regole della `Ndrangheta, De Lorenzo, per ordine di Cortese, aveva allertato Luigi Molinetti, sia per ottenere il necessario nulla osta all’apertura, sia per ricevere aiuto nell’accaparramento di clienti. Un’ulteriore “imbasciata” era stata recapitata a Molinetti affinché si interessasse, in ragione dei buoni rapporti con Cortese, al reperimento di macchinari aziendali necessari per l’apertura di un esercizio commerciale.
Ancora, nel maggio 2019, all’atto dell’apertura del nuovo negozio di frutta e verdura intestato a Bruno Nucera, Salvatore Paolo De Lorenzo – che di fatto lo gestiva – aveva ricevuto la visita di un fornitore di formaggi, accompagnato da Gino Molinetti. Quest’ultimo, che si era portato nel negozio per “presentarsi”, aveva cambiato atteggiamento trovandosi di fronte il De Lorenzo, che evidentemente conosceva come esponente della cosca Serraino. De Lorenzo aveva quindi spiegato di avere iniziato la gestione della rivendita di frutta e verdura per fare un favore a “suo compare”, ovvero al detenuto Maurizio Cortese. Di fronte a tale osservazione, Molinetti aveva ostentato solidarietà nei confronti del boss di San Sperato, imprecando e dolendosi per la sua perdurante condizione detentiva.
I buoni rapporti della cosca Serraino con il gruppo di Gino Molinetti si colgono anche da un’ulteriore vicenda relativa ad alcuni investimenti nel settore della distribuzione del caffè, su richiesta del solito Cortese. In questo contesto si registrava l’alacre operatività di Antonino Barbaro che si poneva alla ricerca di preventivi per l’acquisto delle auspicate forniture. Barbaro parlava a Stefania Pitasi dell’opportunità di acquistare il caffè commercializzato da Tonino Foti, operante nei pressi di piazza Carmine di Reggio Calabria. Il prezzo praticato da Foti si rivelava particolarmente vantaggioso grazie all’intermediazione di esponenti delle cosche di Archi e Barbaro si era presentato dal commerciante insieme a dei soggetti appartenenti all’entourage criminale del Molinetti, inducendo il venditore ad applicare un forte sconto sul prezzo di mercato (senza alcun rincaro rispetto al prezzo che era praticato al commerciante dal suo fornitore).
Di sicuro rilievo risultano poi i contatti con Gaetano Chirico nipote del defunti boss Paolo e Giorgio De Stefano, storici capi della più temibile cosca di Archi, nonché figlio di Francesco Chirico, coinvolto nell’operazione Mammasantissima. Gaetano Chirico si recava presso l’abitazione di Paolo e Stefania Pitasi, per discutere di alcune incomprensioni con Bruno Iaria, classe 1977, cognato di Maurizio Cortese. Prima di affrontare Iaria, Chirico aveva sentito l’esigenza di avvisare i Pitasi e, per il loro tramite, lo stesso Cortese, visti i rapporti di “fraterna amicizia” che legavano i due.
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