di Michele Presta
COSENZA Pena dell’ergastolo per tutti gli imputati con isolamento diurno per 18 mesi. È questa la richiesta avanzata dal pubblico ministero Vito Valerio, sostituto procuratore della Dda di Catanzaro applicato al distretto di Cosenza, al termine della requisitoria per il processo a carico di Antonio Abbruzzese alias “Strusciatappine”, Fiore Abbruzzese detto “Ninuzzo” Luigi Berlingieri noto come “Occhi di ghiaccio”, Saverio Madio e Celestino “Ciccio” Bevilacqua. Tutti sono accusati del duplice omicidio di Aldo Benito Chiodo e Francesco Tucci, uccisi su a via Popilia, nella città di Cosenza, il 9 novembre del 2000. Il pubblico ministero, nell’avanzare richiesta di condanna al fine pena mai, dinnanzi alla Corte d’Assise del Tribunale di Cosenza presieduta dal giudice Paola Lucente con a latere il collega Giovanni Garofalo ha chiesto che per gli imputati vengano riconosciute tutte le circostanze aggravanti. Al solo Saverio Madio, il pm antimafia, ha chiesto di non riconoscere l’aggravante della premeditazione poichè «non ha partecipato alla deliberazione dell’omicidio ma solo alla staffetta».
IL PROCESSO Benito Chiodo e Francesco Tucci vennero uccisi a colpi d’arma da fuco nel tardo pomeriggio del 9 novembre del 2000. Sono passati vent’anni dall’assassinio dei due. Il fascicolo d’inchiesta riaperto dalla Dda di Catanzaro ha preso corpo grazie al filotto di pentiti che in questi venti anni hanno deciso di raccontare tutto quello che sapevano relativamente al duplice omicidio. E così, a diciotto anni esatti dal giorno in cui i due persero la vita, la magistratura riuscì a chiudere il cerchio indicando i presunti responsabili che avrebbero agito su mandato di Francesco Bevilacqua (già condannato per questo delitto), oggi collaboratore di giustizia, all’epoca reggente invece del clan degli “Zingari” (qui la notizia). Le sue rivelazioni fecero finire in manette gli odierni imputati e non a caso, durante la requisitoria, il pubblico ministero ha portato all’attenzione dei giudici quei verbali (qui l’udienza ). “Franchino i Mafarda” spiegò come avvenne l’omicidio consumatosi negli anni in cui gli “Zingari” si stavano ritagliando un loro spazio all’interno del crimine della città cosentina dove l’egemonia del gruppo Perna-Pranno e Ruà-Lanzino era forte, al punto tale che come emerso nel corso del processo, per i nomadi c’era spazio solo per i proventi della droga. Affari come le estorsioni sui cantieri della Salerno-Reggio Calabria erano degli “Italiani”. Una equilibrio comunque c’era, ma a romperlo secondo quanto raccontato in aula fu proprio Benito Chiodo e per questo avrebbe dovuto pagare con il sangue. Un primo tentativo falli perché la vittima designata si trovava in compagnia di due donne, il giorno dopo non gli lasciarono scampo. Chiodo morì insieme a Francesco Tucci mentre Mario Trinni (qui il suo racconto) rimase ferito. La tesi d’accusa è sostenuta dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che per il pm sono riscontrate da quanto poi successe negli anni: «Abbiamo ritrovato la macchina occultata nel cantiere dove si trovano i silos – ha spiegato Vito Valerio durante la requisitoria -. Abbiamo trovato la pistola e poi ci sono gli esami balistici e le autopsie sui corpi che confermano il racconto circa l’utilizzo di armi usate per l’agguato». Francesco Bevilacqua e Gianfranco Iannuzzi, due mandanti accomunati da un destino differente. Il primo avverte di avere i giorni contati e collabora con la giustizia, il secondo non ci riesce e viene ucciso. È Franco Bruzzese altro pentito e capo della “Nuova Famiglia” a raccontare il perché Iannuzzi insieme a Benincasa (qui la notizia) venne ucciso. Il 24 luglio toccherà alle difese procedere con le arringhe difensive nei confronti dei loro assistiti. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Maria Rosa Bugliari, Rossana Cribari, Filippo Cinnante, Cesare Badolato, Nicola Rendace, Francesco Tomeo e Gianfranco Giunta.(m.presta@corrierecal.it)
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