LAMEZIA TERME Diciotto anni per aver tentato di bruciare la ex moglie. A tanto ammonta la pena inflitta al 44enne Ciro Russo dopo i fatti accaduti a Reggio Calabria, lo scorso 13 novembre, quando davanti all’Istituto Frangipane tentò di uccidere Maria Antonietta Rositani che lo aveva lasciato.
Un caso «particolare», commentato dalla nostra editorialista, Antonella Grippo, su Rai Uno, durante la trasmissione “La vita in diretta Estate”.
«La vicenda Rositani – ha detto la Grippo – esige una lettura particolare, quasi meticolosa, perché non è facilmente riconducibile al femminicidio in senso più stretto, cioè quel regolamento di conti che si consuma nel perimetro domestico. Qui ci sono tutti i tratti distintivi che rilevano l’assoluta originalità. Il primo riguarda la simbologia squarciante e cupa del castigo. A lui non non basta ucciderla o tentare di farlo, vuole infliggere una punizione che abbia la caratteristica dell’eclatanza patibolare. Non a caso le dà fuoco in strada, in un luogo pubblico, assai frequentato, perché tutti sappiano, tutti vedano e tutti abbiamo accesso alla scena cruenta e tragica del delitto. Così – prosegue Antonella Grippo – la condanna al rogo, curandone dettagliatamente l’esecuzione, e risarcisce se stesso, davanti a tutti, del danno di essere stato abbandonato dalla sua donna. La condanna al rogo secondo una liturgia, un rito che punisce la donna in quanto colpevole, come nel Mediovevo, delle pestilenze. È una punizione esemplare che espone la stessa Maria Antonietta al pubblico ludibrio».
«Nel gesto dell’uomo c’è l’assoluta premeditazione. Dobbiamo considerare che lui evade dai domiciliari, percorre 500 chilometri, vive ad Ercolano, che come i centri e le cittadine della provincia italiana non è Chicago. Lì si esercita un controllo sociale incredibile, molecolare, ciascuno perlustra la vita dell’altro».
«Ma c’è un altro elemento caratterizzante, fortissimo, dirompente: lei sopravvive e cura le ustioni e i lividi dell’anima – prosegue l’editorialista del Corriere della Calabria – e lo fa da un letto d’ospedale. Condivide questa sua esperienza tragica non narrando il suo dolore ma trasfondendo nella vita delle altre donne il coraggio, l’ardimento, la forza per riaffermare la dignità e l’identità della vittima che non ci sta a giocare alla vittima».
«Lei chiede a Ciro perché abbia usato un metodo così crudele. Qui c’è la teatralizzazione, la spettacolarizzazione del castigo che lui ha cercato per affermare l’identità del predatore maschio che non può essere congedato senza il suo consenso».
Sulla pena inflitta all’uomo, diciotto anni di carcere, Antonella Grippo sottolinea come l’uomo abbia fatto ricorso «al rito abbreviato, che come sappiamo è alternativo a quello ordinario, in nome del quale l’imputato rinuncia alla fase dibattimentale, in cambio di un significativo sconto di pena. Qualcuno dice che diciotto anno siano pochi. Intanto c’è anche una riflessione tecnico-giurisprudenziale: la magistratura non può assecondare il sentimento polare, procede secondo tecniche formali ed ha le sue procedure, dopodiché il sentimento popolare anche a questo punto, attraverso una pulsione animale, esige il teatro sanguinario ma è giusto che la magistratura segua le procedure normali della giurisprudenza».
L’esperienza maturata dalla donna che dal suo letto d’ospedale ha curato i «lividi dell’anima» oltre a quelli corporei è servita a tante donne. «I miei colleghi del Corriere della Calabria – conclude Antonella Grippo davanti alle telecamere di Rai Uno – mi hanno riferito che tantissime donne scrivono al giornale, chiedendo di poter incontrare Maria Antonietta nella speranza di poter ricavare dal quell’incontro quella linfa propulsiva, quel coraggio, quell’ardimento che non tutte abbiamo».
x
x