La storia di un santo è storia di uomini. Si pensi a san Vitaliano, del VII secolo patrono della città di Catanzaro, di cui il 16 luglio si celebra la festa: Pastore della Chiesa di Capua, falsamente accusato di frequentazioni immorali, diventò oggetto di calunnie, di volgarità, di ludibrio. Ma aveva l’animo retto, era innocente e così resistette al Nemico, smascherando i cospiratori ed i denigratori. Però, poi, decise di lasciare Capua. Ma, poiché le sventure non vengono mai da sole, fu inseguito, catturato e legato in un sacco di cuoio, fu gettato nel Garigliano, affinché annegasse e si togliesse per sempre di mezzo. Ma Dio lo volle salvo, ed egli riuscì a scampare ai suoi aguzzini. Grazie alla protezione divina raggiunse Ostia, mentre Capua, come punizione divina per l’empietà dei suoi abitanti, veniva flagellata da siccità, peste e carestia. I cittadini onesti si misero in cerca di lui e, trovatolo, lo implorarono di tornare e di riprendere la cattedra vescovile. Si lasciò convincere ed al suo ritorno a Capua cadde un’abbondantissima pioggia. Però, rifiutò l’episcopato e si ritirò in eremitaggio sul monte Virgiliano (che poi fu chiamato Montevergine) dove poi sorgerà l’omonimo santuario. Qui si spense il 16 luglio 699.
Le sue reliquie furono donate nel 1122 da papa Callisto II, in occasione del trasferimento del vescovado di “Tres Tabernae” a Catanzaro. Che cosa sono per noi delle reliquie, se non un invito a ricordare? Quando Boris Pasternak pensava alla sua vita non vedeva altro che ricordi: «Memoria, non accaldarti! Diventa tutt’uno con me!/ Credi e convincimi che sono con te una sola cosa». Se Cartesio sosteneva che conosciamo quello che ricordiamo, anzi che siamo quello che ricordiamo, Gabriel Garcia Marquez ha scritto che la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda per poterla raccontare. Il ricordo è davvero una componente fondamentale dell’esistenza di un individuo, ma anche di un popolo -se infatti, una comunità- perdesse il ricordo e la memoria, quando non frequentasse e non coltivasse gli archivi e i libri di storia, rischierebbe un anonimo appiattimento sul presente.
Ecco l’attualità di un santo nella storia degli uomini: in questa pandemia, il divieto di accesso ad archivi e biblioteche e il ricorso alle sole fonti informatiche e massmediali per sapere, per parlarsi e per ricordare, è stato un grosso rischio per la nostra memoria individuale e collettiva. Chi non ricorda non sa, non può tramandarlo alle nuove generazioni, che rischiano di ritenere delle parole vuote quelli che un tempo erano stati princìpi e valori: ad esempio, la libertà. Per questo un santo come Vitaliano ha molto da dire e da dare. Dicono che sia in corso una guerra senz’armi. Può darsi. Però le sacre reliquie di Vitaliano stanno lì a ricordare il valore della memoria, cioè la possibilità di confronti, di parallelismi, di scambi di punti di vista.
Il compito di un Vescovo “muto”, quale san Vitaliano è nelle sue reliquie, è un monito a sorvegliare gli eventi, a tracciare bilanci e punti di vista nel confronto con le situazioni analoghe del passato, prefigurando gli scenari futuri. Nei mesi di pandemia acuta, i cristiani non si sono neppure potuti nutrire del pane eucaristico, ma della sola comunione spirituale e della Messa a distanza.
Riconosciamolo: i cento giorni della pandemia hanno causato alla nostra città una ferita profonda. Gli esperti ci dicono che ci vorrà molto tempo, molte risorse e molte energie. Saranno sufficienti il tempo, che ora scandiamo ancora in fasi in rapporto al decremento del contagio? Saranno sufficienti le risorse finanziarie ed economiche anche dell’Europa? Le risorse, senza idee e senza piani potrebbero non servire, così che anche le energie ne sarebbero frustrate se venisse a mancare una sana forza di cambiamento.
Oggi il patrocinio di Vitaliano ci occorre non soltanto per preservarci dal contagio, ma per avviare nuove economie, indirizzare in determinate direzioni i flussi finanziari (penso al Terzo settore, che tanto ha potuto fare nella gestione dell’emergenza, grazie alle associazioni che hanno curato la distribuzione di viveri e generi di prima necessità, attraverso le cooperative sociali che hanno garantito i servizi nei luoghi più esposti al contagio, e molto altro ancora). Parliamo del futuro che ci aspetta, delle nuove attività da sviluppare, dei nuovi posti di lavoro da inventare nel settore della cura e dell’assistenza, nel rafforzamento del sistema sanitario, soprattutto locale, nei servizi educativi e culturali, nella manutenzione del territorio e nella rivitalizzazione di centri minori e delle aree marginali, nella produzione in forma collettiva di energia da fonti alternative, nello sviluppo del turismo, e in molti altri ambiti presenti e futuri.
A san Vitaliano, grazie ai suoi valori ed al suo esempio, possiamo, dobbiamo chiedere di aiutarci a trovare il valore aggiunto della nostra Calabria e del Sud, terra a vocazione storico-culturale, filosofica, turistica, agroalimentare, ambientale. Possiamo pregare il santo Patrono di sollecitare chi ne ha i mezzi a ritrovare la propensione all’investimento, per un tenore di vita non da “fanalino di coda” perché noi stessi non ci possiamo permettere di continuare a pensare come prima della crisi. Come san Vitaliano, che decise di andare altrove dopo quanto gli era successo, bisogna dare un po’ di spazio alla fantasia creativa, per raccogliere senza filtri le istanze dei territori, costruire le priorità dei bisogni e gli ambiti più avvertiti di intervento, per comprendere le reali necessità della nostra Regione. Soprattutto, a lui chiediamo di continuare a starci vicino, come sempre in questi secoli, illuminando le nostre menti e rischiarando il nostro cammino.
*Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace
Presidente della Conferenza Episcopale Calabra
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