di Paola Militano e Pablo Petrasso
VIBO VALENTIA Affari e politica. Telefonate imbarazzanti con imprenditori rampanti e candidati da sponsorizzare su indicazione del Palazzo. È duro destreggiarsi in Calabria, anche per i tycoon più avveduti e radicati nel loro territorio. Capita dappertutto. Soprattutto a Vibo Valentia, dove certi rapporti possono diventare molto imbarazzanti.
Gli investigatori definiscono «significativi» i rapporti tra Mario Lo Riggio (a sinistra in basso nella foto) e Domenico Maduli (in alto nella foto). Il primo è ritenuto dalla Dda di Catanzaro un imprenditore in rapporti con i clan di Vibo Valentia ed è stato arrestato nella maxi inchiesta Rinascita Scott. Lo Riggio è accusato di essere alle dirette dipendenze di Gregorio Gasparro, e di aver messo le proprie imprese e i propri rapporti nel settore imprenditoriale e finanziario a disposizione della cosca Fiarè-Gasparro-Razionale, nonché di quella collegata dei Lo Bianco-Barba. Maduli, che non è indagato nell’inchiesta, era – all’epoca delle conversazioni intercettate, che risalgono al 2014 – il proprietario della Pubbliemme (nel corso degli anni diventata Diemmecom), società attiva nel campo dell’impiantistica e della cartellonistica e anche nell’editoria, dove controlla la rete tv LaC, il portale Lacnews24 e altri siti satelliti nelle province di Vibo e Reggio Calabria.
I due sono in contatto per reciproca convenienza. O, almeno, così spiega Lo Riggio a sua figlia, senza troppi giri di parole: «In che rapporti sei? Rapporti… di utilizzi e di sfruttamenti… se mi serve utilizzo a lui, se io gli servo a Mimmo, lui utilizza me… Solo questi sono i nostri rapporti». E, in effetti, nelle conversazioni confluite nell’inchiesta Rinascita, Lo Riggio e Maduli discutono di affari e reciproci favori. L’imprenditore arrestato, ritenuto un «finanziatore delle consorterie di ‘ndrangheta operanti a Vibo Valentia» cerca di risolvere con l’aiuto dell’“amico” la questione legata a un terreno.
Siamo a fine novembre 2014. Qualche mese dopo, per Lo Riggio arriva il momento di ricambiare il favore. Succede in quella che gli investigatori definiscono una «emblematica conversazione» con Domenico Maduli. Il modo in cui l’imprenditore ed editore viene “presentato” nel fascicolo non è dei migliori. Così appuntano gli inquirenti: «Imprenditore del settore pubblicitario e delle telecomunicazioni (ndr: presidente del consiglio di amministrazione delle imprese “Pubbliemme srl”, con sede in Roma, via di San Claudio numero 69 e “Rete Kalabria srl”, con sede in Vibo Valentia, località aeroporto) ritenuto “vicino” alla cosca Mancuso». Giova ricordare che da quell’annotazione sono passati cinque anni e che Maduli non è iscritto al registro degli indagati. Tuttavia, la conversazione che segue è esemplificativa dei rapporti molto stretti da imprenditoria (ed editoria) e politica. Il passaggio è sottolineato nelle carte di Rinascita Scott. Maduli «palesava chiaramente di sostenere in prima persona la candidatura di Pietro Giamborino (a destra in basso nella foto) quale sindaco, in quota Pd, alle prossime consultazioni comunali a Vibo Valentia».
Dal dicembre 2019, Giamborino è diventato l’uomo nero della politica vibonese (e calabrese, visto che è stato consigliere regionale per due legislature, una delle quali incompleta). I suoi presunti rapporti con le cosche di Piscopio, documentati in centinaia di pagine di intercettazioni, ne hanno fatto un paria. Giamborino è, oggi, un emarginato: ogni sua dichiarazione, ogni intercettazione è stata riletta in controluce, analizzata con il senno di poi. Come succede a chi passa dagli altari di uno scranno in consiglio regionale alle polveri di una indagine per ‘ndrangheta, i suoi amici si sono dileguati. Eppure c’è stata una fase in cui il politico vibonese era potente e considerato. Addirittura sponsorizzato da un imprenditore-editore come Maduli, pronto a sbilanciarsi, a esplicitare il proprio sostegno con l’amico Lo Riggio in quella «emblematica» conversazione. «Su Giamborino ne rispondo io… a Mario mio… due parole ti dico… questo deve fare il sindaco a Vibo… grazie Mario mio… sappi che dietro ci sono io qua… è dura… ma c’è un carro armato dietro a lui». Con gli anni si è scoperto che, forse, dietro a Giamborino non c’era soltanto «un carrarmato». Ma qui si parla di politica. E Lo Riggio, dopo aver parlato con Maduli, si mette a disposizione. Chiama Antonio Galati, direttore dell’Hotel 501, e impartisce direttive precise: «Qualunque cosa gli serve… discoteca, piscina, sauna… quello che gli serve, segnate tutto e gli date tutto… va be’… quindi ti chiama Pietro… tu prendi nota… prendi nota perché c’è il partito che paga per lui… quindi qualunque cosa gli serve gli ho detto di interfacciarsi con te».
La trascrizione integrale della telefonata tra Maduli e l’imprenditore considerato un «personaggio di riferimento per gli elementi apicali delle cosche» offre particolari più ricchi sul piano politico. E rivelatori dei rapporti molto espliciti tra potere ed editoria. È l’editore a introdurre la visita dell’allora “gradito” Giamborino: «Dovrebbe venire Pietro Giamborino – dice –. Lui, praticamente, sarà il nostro candidato, ora, alle Primarie, e roba varia». L’idea è quella di «organizzare un evento per sabato, insomma, tutto quello che c’è da fare… tutto! Che ce la vediamo noi come partito». Il Pd ha, dunque, uno sponsor importante a Vibo. All’epoca, infatti, i rapporti tra Maduli e la maggioranza dem che fa riferimento al governatore Mario Oliverio sono ottimi (si incrineranno verso la fine della legislatura). Tanto che il “capo” di Pubbliemme spiega: «Giamborino è il candidato di Mario Oliverio», prima di chiosare «su Giamborino ne rispondo io».
Nelle sue parole c’è un’analisi politica semplice ma efficace. «Se la gente lo vuole capire – dice Maduli – dobbiamo andare con… a Vibo, legati con la Regione… se la gente lo vuole capire… se non lo vogliono capire, se la prendono nel culo». «Vibo – chiarisce ancora meglio – in questo momento ha bisogno di essere governata dalla Regione… l’unico candidato che può praticamente fare un filo… cioè… un governo filo gove… cioè un’amministrazione filo-governativa, con l’attuale Regione, si chiama Pietro Giamborino a Vibo, non ce ne sono altri».
L’imprenditore parla anche di «una serie di operazioni… che vedrai a orologeria… a cominciare da oggi, che scattano a favore di Pietro… e lì capirai che si sta un po’ convergendo su di lui… a poco a poco le vedrai in questi giorni queste operazioni». «Grazie Mario mio, sappi che dietro, ci sono io qua…».
Tra una telefonata per risolvere i problemi di un suo dipendente attraverso i propri contatti con il clan Barba di Vibo Valentia e un giro di contatti per raccogliere voti a favore di Giamborino, Lo Riggio trova il modo di contattare ancora Maduli. Il quale non si fa problemi a raccontargli l genesi della candidatura del politico di Piscopio. Lo annotano gli investigatori il 21 febbraio 2015. La scelta era stata effettuata «in ossequio a una “linea politica” dettata dalla volontà dell’attuale governo regionale». Maduli a quell’epoca risponde all’asse Oliverio-Adamo ed è pronto a schierare la potenza di fuoco imprenditoriale di cui dispone («su Giamborino ne rispondo io») per eseguire i desiderata della maggioranza che all’epoca governa il Pd e la Regione. «Questa qua – spiega a Lo Riggio, riportiamo testualmente – è stata una cosa in cui mi sono trovato, perché c’è una volontà del governo regionale… quindi ho dovuto eseguire la linea che purtroppo Nicola Adamo s’è trovato costretto a Vibo, dato che Censore (l’ex parlamentare Bruno, ndr) è venuto meno a un impegno… perché l’impegno era, prima delle elezioni regionali, di convergere su Giamborino, dopo la vittoria di Mario Oliverio». Il motivo del sostegno? È «un disegno, non di carattere locale, di carattere… perché sinceramente… sì, mi interessa il sindaco di Vibo, per l’amor di Dio, però ho altri interessi». A quel tempo convergenti con quelli del centrosinistra al potere. Prima che qualcosa spostasse gli equilibri. (redazione@corrierecal.it)
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