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"Koleos", lo spaccio rende così tanti soldi che «la macchina li sta vomitando»

I dettagli dell’ultima inchiesta della Dda di Reggio Calabria permettono quanto poderoso possa essere il giro d’affari legato alla cessione di sostanza stupefacente. La droga veniva venduta anche i…

Pubblicato il: 22/07/2020 – 14:00
"Koleos", lo spaccio rende così tanti soldi che «la macchina li sta vomitando»

REGGIO CALABRIA Tutto è partito dalla cattura del latitante Rocco Mammoliti, arrestato in Olanda il 9 giugno del 2016. Da quel momento gli agenti del commissariato di Siderno sotto il coordinamento del procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo e dei sostituti Diego Capece Minutolo e Alessandro Moffa hanno accertato l’esistenza e l’operatività, dal mese di ottobre 2015 al mese di febbraio 2016, nell’area ricompresa tra Bovalino, Careri e altri comuni della Locride, di un’articolata organizzazione criminale, con sbocchi in Puglia e Sicilia, finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti in materia di sostanze stupefacenti, i cui principali esponenti, venivano individuati nei fratelli Domenico e Francesco Mammoliti oltre che di Giovanni Giorgi., aventi un ruolo centrale ed apicale nel sodalizio composto da più di dieci persone. È per questo motivo che sono state individuate svariate condotte di detenzione e spaccio di cocaina poste in essere dagli indagati che, valutate complessivamente nel quadro di una concatenazione logica degli eventi e con il ricorso a criteri interpretativi improntati a razionalità e logicità, assurgevano a circostanze idonee a dimostrare oltre il fatto delittuoso in sé, anche la sussistenza della contestata associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
L’OPERAZIONE KOLEOS In manette sono finiti Antonio Ferrinda, Giuseppe Ferrinda, Maria Filastro, Giovanni Giorgi, Giovanna Laganà, Vincenzo Luciano, Domenico Mammoliti, Francesco Parrelli, Antonio Pellegrino, Domenico Pellegrino e Vincenzo Scarfone. Le indagini hanno permesso di verificare che il sodalizio disponeva di efficienti basi logistiche individuate nella residenza di Antonio e Giuseppe Ferrinda a Rizziconi e nel capannone sito a Benestare di proprietà di Antonio, Domenico e Andrea Pellegrino dove, a seguito dell’arresto dei coniugi Pellegrino-Filastro avvenuto il 7 gennaio 2016 per trasporto di oltre 3 kg di cocaina, veniva rinvenuto un ulteriore quantitativo della medesima sostanza stupefacente, soldi ed armi. Non erano solo queste le basi logistiche operative. Le persone sottoposte a fermo potevano contate anche di un camping a Condofuri dove trattare gli affari illeciti della consorteria con alcuni narcotrafficanti colombiani e albanesi. Gli indagati adottavano delle accortezze sia nella fase di distribuzione della sostanza stupefacente confezionata in panetti sotto vuoto e trasportata a bordo di autovetture dentro vani segreti realizzati da meccanici di fiducia, muniti di telecomandi che azionavano i congegni elettronici di apertura. Tutti comunicavano tra di loro con telefoni codificati, ricorrendo all’uso di termini criptici e allusivi per indicare lo stupefacente, cambiando repentinamente e freneticamente schede telefoniche quasi sempre intestate a terze persone ed utilizzando sim card estere prive di intestatario e telefonini Blackberry. Nel corso delle indagini, come già ricordato furono arrestati Domenico Pellegrino e Maria Filastro perché intenti a trasportare oltre 3 chili di sostanza stupefacente. Ma nella stessa data sono state rinvenute e poste sotto sequestro: due involucri contenenti 1.502 grammi di cocaina; tre fucili semiautomatici 12; un revolver 357 magnum cal. 357; una pistola Beretta modello 92  cal. 9X19 priva di matricola; una pistola Beretta  modello 98  cal. 9X21 con matricola punzonata; 40 cartucce calibro 7,62 x 39; 44 cartucce  calibro 7,65; 18 cartucce calibro 357; 56 cartucce calibro 12  e 1 caricatore per una pistola cal. 7,65. Da quelle investigazioni, si riuscì a risalire a Vincenzo Scarfone, che venne arrestato per trasporto di un’ingente quantitativo di cocaina, pari a 49 kg, abilmente occultato all’interno della propria autovettura Renault “Koleos”.
I METODI Impressionante era la capacità dei fratelli Mammoliti e Giovanni Giorgi di movimentare quantità consistenti di cocaina da un giorno all’altro senza soluzione di continuità. Ad esempio, il 6 novembre 2015, dall’attività tecnica emergeva che i Mammoliti consegnavano 6 panetti di cocaina a Ferrinda Giuseppe per la successiva distribuzione allo staff dei corrieri. Due giorni prima gli stessi Mammoliti avevano dato ai Ferromda deputati allo stoccaggio della sostanza stupefacente, altri 12 panetti di cocaina. Erano sempre i fratelli Mammoliti  a gestire in prima persona – e con estrema professionalità – le trattative illecite occupandosi, in funzione del ruolo da loro ricoperto di organizzatori del sistema criminale, della consegna della droga attraverso i coniugi Domenico Pellegrino e Maria Filastro, nonché per mezzo di Vincenzo Scarfone, nella veste di fidatissimi sodali, tratti in arresto rispettivamente in data 07 gennaio 2016 e 20 febbraio 2016.Lo stesso va detto per i fratelli Giorgi  che in più occasioni venivano intercettati nel dare disposizioni ai coniugi Pellegrino sulla percentuale di taglio che dovevano applicare ad una determinata partita di cocaina. Questi ultimi si occupavano tanto del confezionamento sotto vuoto dello stupefacente che del trasporto – in qualità di corrieri al servizio dei Mammoliti e dei Giorgi – consegnando la cocaina in Sicilia e in Puglia e ricevendo la contropartita economica che veniva versata ai capi dell’organizzazione presso la macelleria di proprietà di Domenico Pellegrino. In una delle tante trasferte nelle province di Taranto, Lecce e Brindisi, in un solo pomeriggio Domenico Pellegrino, la moglie Maria Filastro e Giovanna Laganà, consegnavano per conto dei fratelli Giovanni e Giuseppe Giorgi, quantitativi di cocaina equivalenti all’importo di 340 mila euro in banconote di vario taglio, raccolte in “mazzette” – quali corrispettivo del narcotico venduto – e occultate all’interno del vano ricavato nell’autovettura in quantità tale da far dire all’associata Maria Filastro che «la macchina le sta vomitando» ovvero che erano così tante da non essere contenute nel nascondiglio. Deputati allo stoccaggio dello stupefacente erano i Ferrinda (Giuseppe e Antonio) padre e figlio che godevano della più ampia fiducia da parte dei vertici del sodalizio a cui erano risultati organici, all’interno della loro proprietà, sita a Rizziconi, che di volta in volta veniva messa a disposizione dei corrieri  La figura di Vincenzo Scarfone  emergeva nel 2015 quando incontrava i germani Mammoliti ma assumeva un ruolo attivo all’interno dell’organizzazione criminale all’indomani dell’arresto dei coniugi Pellegrino, avvenuto il 7 gennaio 2016. Dalle attività tecniche emergeva che lo Scarfone predisponeva un vano nascosto all’interno della propria autovettura Renault “Koleos” per il trasporto della sostanza stupefacente per conto dei Mammoliti. Era quindi del tutto evidente che Scarfone Vincenzo fosse entrato a far parte dello staff dei corrieri del sodalizio criminale effettuando, nel mese di febbraio 2016 e sino al suo arresto, diversi viaggi per la consegna della cocaina necessaria ad approvvigionare le piazze di spaccio messinesi e catanesi.Dalle emergenze in atti si evince che il sodalizio criminale è riuscito a movimentare, nel periodo compreso tra ottobre 2015 e febbraio 2016, circa 160 kg di cocaina per un valore all’ingrosso di 7 milioni di euro circa.

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