PIACENZA L’ipotesi è al vaglio della Direzione distrettuale antimafia di Milano da settimane. Da quando, cioè, la Procura di Piacenza ha stralciato un pezzo dell’inchiesta sui carabinieri infedeli e lo ha inviato ai magistrati che si occupano delle infiltrazioni della criminalità organizzata. Una storiaccia di carabinieri infedeli, spaccio e torture commesse da alcune divise “sporche” assume così contorni più inquietanti. Perché quando si parla di cocaina è quasi impossibile non intrattenere rapporti con il (quasi) monopolista del mercato. E dunque, per tornare all’ipotesi, ci sarebbero stati rapporti tra i militari arrestati nei giorni scorsi e la ‘ndrangheta. Questo filone dell’inchiesta viene raccontato oggi da Repubblica. «Ci sono i calabresi, i pezzi grossi», dice l’appuntato Giuseppe Montella. E questa frase apre la questione dei canali di rifornimento attivati dagli infedeli della caserma.
Le informative ricostruiscono gli spostamenti e i traffici tra Montella e Daniele Giardino, il fornitore. E individuano il canale di approvvigionamento; un deposito nell’hinterland milanese che, secondo gli investigatori, sarebbe gestito da persone molto vicine ai clan della Locride. Repubblica fa riferimento a «un calabrese di Platì».
Ci sarebbe un passaggio, nelle carte degli inquirenti, che fa riferimento al 23 febbraio scorso. Montella e Giardino sono in auto e hanno comprato 35mila euro di droga dai calabresi senza ancora aver pagato. L’amico dell’appuntato è preoccupato: «Abbiamo preso roba e non l’abbiamo mica pagata», dice, conoscendo la caratura criminale dei venditori.
Qualche tempo dopo, quando il gruppo dei carabinieri scopre una microspia nell’auto di Giardino, la preoccupazione è quella di cambiare l’intermediario per l’acquisto. «Montella – scrivono i pm – aveva proposto a Giardino di ingaggiare un corriere di sua conoscenza per inviarlo a ritirare la droga dai calabresi». Niente da fare: i calabresi non accettano altri referenti.
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