di Pablo Petrasso
LAMEZIA TERME L’ultimo pentito a parlarne, in ordine di tempo, è Bartolomeo Arena, il 29 novembre 2019. «Ho saputo da Francesco e Giuseppe Fortuna di Sant’Onofrio che tutti i villaggi turistici presenti nella zona Colamaio a Pizzo, compresi quelli dei fratelli Stillitani, sono sotto l’influenza criminale di Rocco Anello, questo per quanto riguarda sia le forniture che il servizio lavanderia e l’assunzione di personale». Gli imprenditori Stillitani, per il collaboratore di giustizia, «sono persone che si fanno “avvicinare” dagli amici anche per necessità, avendo la disponibilità di numerosi terreni, questo lo so da tanto tempo perché anni fa erano in rapporti con mio zio Giovanni Arena (detto “Ninuzzo”) che all’epoca aveva una certa influenza nella zona di Pizzo, dove ora però spadroneggiano gli Anello».
Il livello di penetrazione mafiosa nel settore dei resort di lusso è uno degli aspetti che l’indagine Imponimento della Dda di Catanzaro indaga più in profondità. Il quadro descritto è quello di una vera e propria filiera: la ‘ndrangheta avrebbe avuto un ruolo «nella costruzione e nella gestione» dei villaggi turistici di proprietà del gruppo che fa capo all’ex assessore regionale Francescantonio Stillitani.
La ricostruzione affidata alle parole dei collaboratori di giustizia e riassunta dai magistrati antimafia rappresenta una vera e propria lottizzazione. Non politica ma criminale. Per il resort Napitia di Pizzo, ad esempio, la costruzione sarebbe spettata a «imprese “contigue” alle organizzazioni criminali Mancuso, facente capo a Pantaleone Mancuso detto “Luni u Biondo” o “Scarpuni”, e Accorinti, facente capo a Nino Accorinti di Briatico». Lo riferiscono i pentiti Franco Michienzi e Giuseppe Comito. Comito, in particolare, avrebbe individuato sei ditte vicine dalle cosche per ciascuno step della costruzione: la realizzazione delle opere edili; la realizzazione degli impianti elettrici; per gli impianti idraulici e di condizionamento; per le opere di sbancamento; per il taglio degli alberi». Gli stessi collaboratori ripropongono uno schema simile per i servizi e le forniture, suddivisi ancora una volta tra i clan di Luni Mancuso e Nino Accorinti. Un fornitore per ogni ambito: prodotti ittici; frutta e verdura; pane; servizi di facchinaggio e trasporto con navetta; pulizie; impianti elettrici; impianti idraulici e manutenzione; lavanderia industriale; infissi; falegnameria; trasporto dei turisti». Giuseppe Comito, poi, può parlare con cognizione di causa di un altro degli aspetti chiave dell’infiltrazione della ‘ndrangheta nei resort: il servizio di guardiania e l’assunzione di personale. Può farlo perché lui stesso era un dipendente della struttura turistica. Nel descrivere il compito dei guardiani, che sarebbero tutti appartenenti all’organizzazione Accorinti di Briatico, Comito dice che «presso il villaggio di Curinga, del resto, vi erano una serie di guardiani, che ho già riconosciuto in foto, tutti appartenenti al clan degli Anello, i quali svolgevano una funzione del tutto eguale a quella che svolgevo io e gli altri guardiani presso il villaggio degli Stillitani di Pizzo. Cioè, più che evitare fastidi di vario genere, i guardiani controllavano la gestione, verificavano quanto guadagnavano i fornitori, le imprese che erogavano i servizi ed esigevano il pagamento del pizzo».
Il ritmo di un ipotetico soggiorno con vista sul Tirreno è scandito dalla presenza dei clan. Dall’arrivo dei turisti, con la società scelta dai Mancuso per il trasporto dall’aeroporto al resort, al cambio delle lenzuola, dalla cena a base di pesce ai lavoretti di manutenzione. Come finanziare inconsapevolmente la ‘ndrangheta con i risparmi di un anno.
La società di gestione e le imprese ammesse alla filiera criminale – racconta ancora Comito – «corrispondevano ogni anno un contributo a Nino Accorinti, il quale puntualmente provvedeva a spartire il denaro con Pantaleone Mancuso. Mentre la società di gestione corrispondeva il denaro (15mila euro) a fronte dell’emissione di una fattura falsa emessa a turno dalle imprese di servizi e fornitura, queste ultime potevano optare, in alternativa alla corresponsione di denaro (5mila euro), per la prestazione gratuita dei loro servizi a favore dell’organizzazione criminale».
I pochi chilometri che separano il Napitia dal Garden Resort Calabria di Curinga modificano i nomi delle cosche chiamate a spartisti la torta ma non i metodi di gestione. La costruzione dell’enorme struttura sarebbe avvenuta «ad opera di un cartello d’imprese individuate in seguito ad un accordo tra i Mancuso, gli Anello-Fruci e Iannazzo di Lamezia Terme». Un accordo al ribasso per Rocco Anello che, prima di finire in carcere nell’operazione Prima, aveva programmato «di ottenere l’ingerenza esclusiva sui lavori». Progetto fallito, come conferma il pentito Andrea Mantella, che evidenzia «l’ingerenza dei Mancuso» attraverso «la presenza di “Barba Franco” tra le imprese edili “selezionate”».
Servizi e forniture, al solito, finiscono ad altre ditte «“contigue” alle famiglie di ‘ndrangheta facenti capo alla cosca Anello-Fruci e Bonavota». Lo schema si estende anche alla guardiania e all’assunzione di personale. Questa volta è Franco Michienzi a spiegare la faccenda dall’interno. Era, infatti, uno dei guardiani del Garden. «I guardiani – spiega –, qualsiasi fosse il villaggio ove venivano imposti, e quindi, per quanto mi risulta direttamente, sia per le mie esperienze presso il Bravo Club che presso il Garden di Curinga, non svolgono nessun servizio di guardiania, sono poco presenti presso il villaggio. Infatti la mera loro presenza vale a scongiurare qualsiasi genere di fastidio per il villaggio, che nessuno osa “disturbare”. Il mio compito, come quello degli altri guardiani, è stato sempre quello di provocare appuntamenti presso il villaggio e controllare l’identità dei fornitori di beni e servizi e le quantità dei beni e dei servizi resi così da provocare le ingerenze impositive della nostra consorteria». (p.petrasso@corrierecal.it)
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