di Roberto De Santo
LAMEZIA TERME Nella fase più acuta dell’emergenza Coronavirus in Calabria e soprattutto dopo la crisi economica scatenata dai lunghi mesi di chiusura delle attività produttive nella regione dettate dall’incalzare della diffusione dell’epidemia è emerso in maniera preponderante il ruolo del volontariato. Iniziative di solidarietà nei confronti di una popolazione letteralmente chiusa nelle proprie case, assistenza alle fasce più deboli, aiuto concreto ad anziani e portatori di handicap e tanto altro ancora che sono giunte ai calabresi rapidamente e che hanno sostituito così di fatto lo Stato. Troppo lento e farraginoso nel rispondere al grido di sostegno invocato da una sempre maggiore fetta di popolazione. Una rete di aiuto che si concretizza in una miriade di realtà che compongono la costellazione del Terzo settore. Un comparto cresciuto negli anni che da tempo garantisce anche nella regione occupazione e sviluppo. Oltre ad essere appunto il centro pulsante di sostegno ai bisogni delle fasce più deboli di popolazione calabrese. Una platea che la crisi economica scatenata dall’emergenza sanitaria ha ampiamente allargato.
Ad essere sconvolti da questo tsunami economico-sociale però sono state anche le stesse imprese del Terzo settore che a loro volta hanno risentito i contraccolpi della crisi. Mettendo a rischio il futuro di centinaia di lavoratori oltre che la capacità di fornire risposte ai territori delle tantissime realtà che lavorano da tempo in Calabria. L’ultimo censimento effettuato dall’Istat, riporta che in Calabria risultano attivi 9.370 enti no profit che hanno generato 11.422 occupati. Un dato che segnala una crescita rispetto all’anno precedente all’analisi del censimento di ben 3,3 punti percentuali. Dunque un comparto che era in piena espansione prima dell’esplosione dell’epidemia nella regione e che raccoglie dalle attività tradizionali del non profit (dall’assistenza sociale alla sanità passando dall’istruzione e alla difesa dell’ambiente) a quelle nuove: agricoltura sociale, commercio equo, lotta alla criminalità organizzata e ripristino della legalità fino all’housing sociale. Una rete di servizi divenuti sempre più essenziali per una gran parte di popolazione – come quella calabrese già strutturalmente fragile – che ha invocato maggiore aiuto a partire dalla prima fase del lockdown. Come ci conferma Gianni Pensabene, portavoce del Terzo Settore in Calabria.
Quali sono state le principali richieste da parte della popolazione calabrese nella fase 1 dell’emergenza Covid?
«Le notizie e le immagini provenienti da alcune delle provincie più colpite dall’emergenza Covid 19, la paura che dai focolai presenti in varie zone della Calabria potesse propagarsi una ondata di contagi ha prodotto una grande accortezza e senso di disciplina nei cittadini calabresi che si sono dimostrati, come non mai, attenti nel rispettare le regole imposte dalla emergenza. Ciò ha contribuito a contenere fino al momento la diffusione del virus e la sua circolazione in Calabria. Le richieste, che sin da subito sono state indirizzate agli organismi sanitari ed alla regione, e che via via si sono fatte sempre più pressanti, sono state quelle di poter disporre dei dispositivi di sicurezza, in particolare di mascherine, sin dal primo momento introvabili ma necessarie per evitare contagi tra chi per ragioni di lavoro o per altro non poteva osservare il distanziamento necessario. Già dalle prime settimane, piccole realtà associative, cooperative sociali formate da donne (lavoratrici di ex polo tessile e coop. “Sole Insieme” ed altre ancora), hanno iniziato a produrle anche nella nostra regione seppure ovviamente in quantità non industriale».
Avete notato se si è creata una nuova sacca di povertà in Calabria legata agli effetti della crisi economica dopo i lunghi mesi di lockdown?
«Già prima della esplosione della infezione Covid, la Calabria era purtroppo ai primi posti nelle classifiche sulla povertà relative ed assoluta. Ad onor del vero, la crisi sociale in Calabria non ha mai subito battute d’arresto; ovviamente con la tempesta Covid essa si è drammaticamente accentuata. La situazione di molte famiglie è ulteriormente peggiorata a causa della perdita di lavoro, non di rado già precario, di entrambi i genitori. A fronte di una situazione che andava di giorno in giorno peggiorando a causa del perdurare del lockdown, va rilevato un dato positivo di cui si può essere orgogliosi. Le mense gestite da organismi religiosi (suore, parrocchie, associazioni di volontariato) in tutta la Calabria hanno dato una risposta di grande solidarietà triplicando i pasti giornalieri per far fronte alle lunghe code che quotidianamente si presentavano alle porte delle mense. Contemporaneamente e spontaneamente si è ancor più sviluppato quel senso di prossimità nei confronti di chi versava in difficoltà che ha consentito di attutire al massimo quegli effetti che avrebbero potuto portare a gravi forme di disgregazione sociali. Si sono distinti in questo senso molti Forum Territoriali del Terzo Settore della Calabria che si son fatti carico di distribuire i buoni pasto concessi dai comuni, il Banco alimentare attraverso tutte le sue sedi, e molte organizzazioni di volontariato che per settimane si sono prodigati in questo tipo di servizio».
Anche le aziende del terzo settore hanno risentito della crisi economica. Quale è la situazione calabrese?
«L’emergenza Covid-19 ha colpito le realtà del Terzo Settore della Calabria che offrono servizi socio-assistenziali proprio nel momento di passaggio delle competenze dalla Regione ai Comuni così come hanno disposto la legge nazionale 328 del 2000 e quella regionale del 2003. L’attuazione della Riforma del Welfare si sta infatti attuando in Calabria a ben 20 anni di distanza dalla promulgazione della legge nazionale. Ciò sta producendo ritardi nei pagamenti dei servizi assolutamente inaccettabili e devastanti per le economie delle strutture socio-assistenziali. Oggi molte strutture sono al collasso nonostante le continue sollecitazioni del Forum del Terzo Settore e le pressioni delle stesse strutture che accogliendo tante persone fragili e vulnerabili debbono purtroppo lottare per la loro sopravvivenza. La continuità dei servizi si deve all’enorme spirito di sacrificio degli operatori dei servizi stessi che soffrono con le loro famiglie un forte senso di precariato. Il loro senso di abnegazione ha fatto sì che la totalità delle case famiglia per minori, anziani, disabili ecc., non venisse toccata dalla pandemia».
Avete riscontrato una crescita del senso di solidarietà tra cittadini? In Calabria il sistema del crowdfunding funziona?
«La situazione di difficoltà della Calabria è ancor di più accentuata, rispetto alle altre regioni, per una problematica che sarebbe ora venisse affrontata dai rappresentanti calabresi che siedono in Parlamento. Infatti, mentre nelle altre regioni, soprattutto del Centro-nord, si può fare ricorso nei casi di emergenza al crowdfunding, in Calabria è molto più difficile se non impossibile. Nelle accennate situazioni, spesso sono le Fondazioni bancarie a dare ossigeno alle organizzazioni sociali. Seppure le banche rastrellino risparmi in tutta Italia, attraverso le loro fondazioni elargiscono i fondi nelle regioni in cui hanno sede. Si pensi per un istante alle grandi fondazioni, come Cariplo o Compagnia San Paolo, che hanno fondi per qualche centinaio di milioni di euro, di cui beneficiano – tranne rare eccezioni – le organizzazioni del Terzo settore di Piemonte e Lombardia. In Calabria esiste una piccola fondazione che dovrebbe far fronte alle esigenze di Calabria e Basilicata. Eppure la Carical ha inviato per l’emergenza Covid agli ospedali delle sopra citate regioni 500.000 euro per l’acquisto di ventilatori ed altri dispositivi e necessari».
Il terzo settore calabrese cosa chiede alle istituzioni locali e centrali?
«Il grande patrimonio di solidarietà e la capacita di tessere coesione sociale rappresentata dalle reti del Terzo settore, ha contribuito a superare quella che si spera sia l’unica ondata dell’infezione. Questo tesoro va curato e protetto, e perché è il primo baluardo contro la disgregazione sociale e perché, tra l’altro, costituisce complessivamente una forza in grado di intervenire con grande generosità e immediatezza nelle situazioni di sofferenza e di dolore. Sul terzo settore è necessario dunque investire con convinzione, perché è un sistema che produce migliore qualità della vita e una diffusa occupazione nei grandi e piccoli comuni della nostra regione, essendo fortemente ancorato a quei valori in grado di agire da collante e stimolo alla coesione sociale. È un Terzo settore che nelle non poche contraddizioni che si vivono in Calabria, mette in risalto gli importanti aspetti delle relazioni sociali e del capitale umano. Occorre dunque produrre uno sforzo per potenziare un settore che può permettere a tanti giovani di rimanere ancorati alla loro terra, anziché migrare in grandi città dove la qualità complessiva della vita non è certo migliore». (r.desanto@corrierecal.it)
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