CATANZARO È bravo Vinicio Marchioni, attore di grande talento e sangue calabrese (la sua famiglia è originaria di Torre di Melissa in provincia di Crotone). E nel raccontare la genesi della sua partecipazione al nuovo film di Donato Carrisi, “L’uomo del labirinto”, in gara questa sera per la quinta giornata del Magna Graecia Film Festival alla sua 17esettesima, sudatissima e non scontata, edizione, dimostra di saper maneggiare con cura l’emotività e le difficoltà di un mestiere che va ben oltre l’apparenza della notorietà. Studio, fatica, impegno: cose che Vinicio – che ha studiato con Ronconi ed è salito sul un palco per la prima volta a vent’anni, e dice sempre che “il teatro lo ha salvato” – conosce bene.
«Sia nel teatro che nel cinema, la ricchezza vera non sono i soldi ma il tempo – dice sollecitato dalle domande del giornalista Antonio Capellupo nella conferenza di mezzogiorno all’Hote Perla del Porto -. Per me teatro tutta la vita, vengo da lì. Ma il cinema ha un’altra espressività, altro modo per fare il mestiere dell’attore: è affascinante per chi fa questo mestiere poter alternare». «Sono un attore molto emotivo – confessa raccontando del giorno del provino e dell’incontro con Carrisi -. Mi disse: sto cercando una voce. E fortunatamente, con la voce ci lavoro da un po’ e da qualche anno. Mi disse subito che ero stato preso». Ad interpretare i personaggi nati dalla penna dello scrittore un cast ricchissimo: Marchioni ha potuto lavorare accanto ai monumentali Toni Servillo e Dustin Hoffman,
Parla del suo personaggio come di un «traghettatore» e del fatto che nel film «ci sono 5 finali uno è aperto, gli altri chiusi». Del resto, Carrisi sa come agganciare il lettore, operazione che gestisce bene anche con le immagini perché, come ha spiegato lui stesso, tutti i suoi libri sono pensati per lo schermo, perché è il suo modo di scrivere. E così è stato anche con L’uomo del labirinto: mentre lo scriveva già pensava a Toni Servillo e a Dustin Hoffman per i ruoli dei due protagonisti, Bruno Genko e il dottor Green. Sono loro, un detective in fin di vita e un profiler, a dare la caccia all’uomo che ha tenuto segregata la giovane Samantha, riapparsa dopo quindici anni senza neanche sapere come. Proprio Marchioni racconta bene come il personaggio dell’investigatore Genko, interpretato da Servillo, è un uomo malato prossimo alla morte e, sebbene la sua speranza di vita sia di due mesi, ma allo scadere del tempo non accade nulla. L’uomo decide reimpiega quel supplemento di tempo per indagare sulla ragazza scomparsa. La sua diventa così una discesa negli Inferi e infatti nel film sono tantissimi i richiami all’opera dantesca. A partire dal Limbo fino al Labirinto, emblema dell’ottavo cerchio, quello dei fraudolenti. E che per raccontare questa storia, Donato Carrisi ha voluto che gli ambienti filmici fossero ricostruiti in un teatro di posa per dare la sensazione di un mondo a parte, fuori dall’ordinario.
Tutta la storia è svolta come una sfida tra l’investigatore privato e il profiler, l’uno la nemesi perfetta dell’altro. E se del suo rapporto con il personaggio della serie che lo ha reso maggiormente conosciuto al grande pubblico, “Romanzo Criminale”, non parla con troppo entusiasmo – «per me parlare del Freddo è come parlare di un cugino molto da anni», racconta con trasporto ed emozione del rapporto con Servillo, «un attore talmente grande che quando lo incontri non lo saluti per vergogna, e rischi di passare per stronzo». E con Dustin Hoffaman con il quale ha lavorato con grande serenità: «Ha fatto di tutto per mettermi a mio agio, ed è finita che il suo assistente a Roma mi ha voluto conoscere perché amava il mio personaggio in Romanzo Criminale, e mi considerava veramente bravo».
Appuntamento, quindi, all’arena del dopo film, questa sera. Ma prima, alle 18 al Complesso Monumentale San Giovanni la masterclass con l’attrice libanese Laëtitia Eïdo che riceverà il premio “Colonna d’Oro” per la serie TV “Fauda”. (mari.ga)
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