CATANZARO Tra redenzione e tormento. Abel Ferrara, leggendario regista americano di “Il re di New York”, “Cattivo Tenente”, “Fratelli”, “Pasolini” e, buon ultimo, “Siberia”, si è raccontato in una masterclass dai contenuti intensi e profondi che ha rappresentato il clou della 17esima edizione del Magna Graecia Film Festival, in corso nel quartiere marinaro di Catanzaro. Ieri sera, dopo il partecipato incontro nel Complesso Monumentale San Giovanni – tra il pubblico anche il regista Peter Webber, i componenti della giuria Alessandro Haber e Antonio Catania, la madrina Barbara Chichiarelli e l’attore Vinicio Marchioni – Ferrara ha ricevuto la “Colonna d’oro”.
Il Ferrara che non ti aspetti è quello che nel pieno di una masterclass, animata con la consueta professionalità e competenza dal giornalista Antonio Capellupo, risponde al cellulare che squilla. «Scusatemi – si rivolge poi al pubblico – ma il mio nome inizia per A, è il primo della rubrica, e ogni volta che uno si siede sopra al cellulare, per errore mi chiama». Ed è solo l’inizio di una full immersion in 50 anni di carriera, oltre 50 opere tra cortometraggi, documentari, film di finzione, presentati nei festival più importanti di tutto il mondo. Tra arte e vita, controverso come sempre, Ferrara sa essere anche profondo e tenero. Abel Ferrara è la guest star della 17esina edizione del “Magna Graecia Film Festival”: ha attraversato oltre 40 anni di una carriera passata a stravolgere i generi cinematografici e quasi 70 anni di una vita tempestosa e problematica, culminata con la conversione al buddismo. «Ero un’anima persa, tra alcol e droghe, e poi – ha confidato Abel Ferrara – finalmente ho smesso tutto, sono buddista da 8 anni, da quando mia moglie mi ha detto che non si può essere buddista se si beve o ci si droga. Sono 8 anni che non prendo niente, è un miracolo: mia moglie e mia figlia sono un miracolo».
«E come se fossi rinato», ha poi aggiunto Abel Ferrara riannodando il filo del racconto con il passato, i suoi film intrisi di religione e violenza e di un rapporto chiaramente complicato con il cattolicesimo. «La Bibbia – ha spiegato il regista americano – è qualcosa di rivoluzionario. Era nel mio sangue essere cattolico, anche se volevo negarlo era dentro di me, poi ho capito che una cosa era la parola di Gesù un’altra era la Chiesa come istituzione, molto opprimente. I miei film sono un conflitto con la spiritualità». Il tema della religione in Ferrara si è sempre intrecciato con la violenza: «Quando ho iniziato – ha poi spiegato – il solo modo di fare un film era puntare su sesso e violenza, era perfetto per me perché eravamo ribelli e così potevamo anche guadagnare dei soldi. Oggi non possiamo fare i film che facevamo da giovani».
La carrellata all’indietro diventa il cuore della masterclass, i suoi film in una New York notturna e tra Little Italy e Chinatown, delineati in “China Girl” del 1987: «In quegli anni giravamo di notte – ha ricordato Ferrara – perché vivevamo di notte, tra personaggi che esprimevano ribellione come i gangster. È bello girare di giorno se lo sai fare bene, ma di notte è come se inizi da zero, di notte crei il tuo mondo. In “China Girl” abbiamo girato in mezzo ai mafiosi siciliani, napoletani, calabresi, ma era un mondo magico, del resto mio padre era come un gangster, avevano tutti la pistola ma non permettevano la violenza. Un mondo che non c’è più”. Un passaggio della masterclass è stato dedicato al suo ultimo film, “Siberia”, un viaggio nell’inconscio, con Willem Dafoe, suo attore “feticcio” che – ha rivelato Ferrara – «non è mai stato in terapia ma per entrare nel personaggio è entrato in terapia, noi abbiamo fatto dei video e lui è diventato il personaggio».
Il rapporto speciale con l’Italia, quel legame straordinario con il nonno di origini napoletane, anche se Ferrara si è detto «meravigliato del fatto che qui da voi si lavora con un ministero, con il governo, e questo purtroppo fa perdere tempo, in America al mio governo non importa nulla se faccio un film».
Infine, da Abel Ferrara anche pillole di saggezza: «I film sono l’estensione di quello che si sta vivendo, e in generale bisogna reinventare, perché non possiamo rifare lo stesso film due volte. Oggi si fa tutto velocemente, quando ho iniziato a girare ho fatto film prendendomi anche tempo perché si imparava facendo film. E i soldi – ha concluso Abel Ferrara – non hanno effetto sul lavoro». (mari.ga)
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