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La cura-shock di Sbarra per il Sud: «Sia no tax area per almeno dieci anni»

Il segretario generale aggiunto della Cisl riflette sul rilancio post Covid. «Cogliere tutte le occasioni che arrivano dall’Europa. La questione degli under 40 va riportata in cima all’agenda. E se…

Pubblicato il: 07/08/2020 – 7:02
La cura-shock di Sbarra per il Sud: «Sia no tax area per almeno dieci anni»

LAMEZIA TERME «Il Governo si affretti ad approvare il decreto agosto per sostenere in particolare il lavoro, il reddito delle persone e il blocco dei licenziamenti sino a fine anno. Apra subito un confronto con le parti sociali su sviluppo, rilancio degli investimenti pubblici e privati, riforma fiscale e Mezzogiorno. In attesa di leggere il testo del provvedimento la nostra mobilitazione nazionale del 18 settembre resta confermata». Parola di Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto Cisl. Che al Corriere della Calabria indica la via di una rinascita incentrata «sul lavoro, integrazione e concertazione».
Segretario, il 2020 è stato un anno durissimo e l’autunno si preannuncia altrettanto rovente. C’è luce in fondo al tunnel?
«La luce c’è, ma il tunnel è ancora lungo. Lo confermano i dati Bce e Istat su una decrescita economica ed occupazionale che non ha pari nella storia del nostro Paese. Il rimbalzo è lontano, e rischia di non arrivare in mancanza di interventi adeguati».
Che misure nell’immediato?
«Innanzitutto la proroga al 31 dicembre del divieto dei licenziamenti, di tutti gli ammortizzatori sociali, comprese le indennità Covid. E poi piena continuità a Naspi e DisColl, superamento dei vincoli del decreto dignità sui rinnovi a tempo determinato. Interventi che chiediamo da mesi, e che il Governo deve mettere in campo immediatamente nel decreto agosto».
Non si rischia un modello assistenzialista?
«Niente affatto: si tratta far rimanere le persone agganciate al lavoro costruendo un ponte che dia certezze non solo alle famiglie, ma anche alle stesse imprese. La desertificazione occupazionale distruggerebbe l’economia, azzerando definitivamente i consumi. Alle protezioni sociali bisogna poi affiancare una poderosa mobilitazione sul versante degli investimenti produttivi. L’Europa è il campo in cui si giocherà questa partita decisiva».
L’Unione sta dando segnali importanti.
«E’ così: finalmente si comincia a parlare una lingua comune e solidale. Bisogna cogliere tutte le opportunità che ci vengono dal Recovery Fund, dal Mes, dalla Bei, dal programma Sure. Complessivamente abbiamo circa 300 miliardi a disposizione. Ce n’è abbastanza per parlare di svolta, almeno a Bruxelles. Adesso è l’Italia che deve fare i compiti».
Il tempo stringe: il Governo dovrà presto presentare i primi progetti. Quali direttrici imboccare?
«Vero, e per far presto e bene c’è solo una bussola: quella del dialogo sociale. Serve una svolta sulle infrastrutture materiali, digitali e sociali, una strategia industriale ben innervata sui territori, con leve accessibili anche alle PMI meridionali che puntano su ricerca e innovazione, incentivi che accompagnino la riconversione alle economie verdi e digitali. Abbiamo bisogno di un grande piano di assunzioni su sanità, scuola e pubblica amministrazione, ci sono contratti pubblici e privati da rinnovare per oltre 14 milioni di persone. Ancora: servizi socio-assistenziali, politiche per la famiglia, sostegno alla non autosufficienza. Sono i contenuti per cui abbiamo manifestato unitariamente il 29 luglio nella “Notte del Lavoro”».
Guardando alle fasce sociali qual è secondo lei la massima priorità?
«
Esiste una questione giovani da portare subito in cima all’agenda nazionale. Gli under 40 rischiano di essere i più colpiti da questa tempesta. Per mettere un argine dobbiamo muoverci su tre versanti simultaneamente. Primo: sbloccare gli investimenti promuovendo nuova occupazione e sgravando le assunzioni stabili. Secondo: elevare le competenze costruendo una solida filiera della formazione e politiche attive degne di questo nome. Terzo: potenziare, incentivare e semplificare l’ apprendistato con un percorso a forte intensità formativa che permetta ai giovani di entrare nel mercato del lavoro in maniera rapida e competitiva».
Il ministro Provenzano ha dato la linea su una defiscalizzazione al 30 per cento delle nuove assunzioni nel Mezzogiorno. Che ne pensa?
«E’ un’apertura significativa ma insufficiente per una svolta storica che oggi è finalmente alla nostra portata. L’Europa ha sospeso i vincoli che impedivano di finanziare la fiscalità di sviluppo con Fondi Ue. E’ un’occasione imperdibile per varare una cura-shock per il Mezzogiorno e di conseguenza per il Paese: non ci sarà data un’altra possibilità».
Cosa pensa si possa fare in concreto?
Pensiamo alla opportunità di trasformare il Mezzogiorno in una vera e propria no tax area per almeno 10 anni. Chi realizza investimenti al Sud deve vedere garantito il taglio totale delle imposte, e fruire di una decontribuzione incrementale per un quinquennio sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato. Agevolazioni che renderebbero veramente appetibile il Sud, frenando la fuga dei giovani e attraendo aziende e investimenti dal resto del Paese e dall’estero.
Sarebbe sufficiente?
«Sarebbe importantissimo, ma non ancora sufficiente. La spinta a una poderosa fiscalità di vantaggio è un passo fondamentale di una strategia meridionalista che deve contemplare anche un impegno senza precedenti sulle infrastrutture. La Calabria, con le sue enormi potenzialità e le sue occasioni perse, è un caso emblematico. Servono forti investimenti su aeroporti, ferrovie, strade e autostrade, portualità e l’intermodalità, digitalizzazione, banda larga e reti di connessione ultraveloci. Bisogna incoraggiare il trasferimento tecnologico, semplificare la burocrazia, agevolare l’accesso al credito, combattere la povertà cognitiva. C’è da garantire il rilancio delle reti ospedaliere e socio-sanitarie, l’esercizio dei diritti di cittadinanza, il presidio per la sicurezza e la legalità».
L’Italia è pronta a questo esercizio di responsabilità?
«Io penso di sì, e soprattutto me lo auguro, perché altrimenti ricadremo nelle inerzie di sempre. Serve una nuova e concertata stagione costituente, fatta di condivisione e corresponsabilità. La grammatica dello sviluppo non può essere scritta solo dal Governo: sindacato e mondo dell’impresa devono contribuire al rilancio, anche attraverso relazioni sindacali partecipative, innovative e responsabili. La grande sfida è riunire il Paese su un progetto che non escluda l’impegno di nessuno». (redazione@corrierecal.it)

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