di Pablo Petrasso
CATANZARO Se non si trattasse di ‘ndrangheta e di uno dei più feroci boss del Vibonese, la battuta verrebbe facile. A Zungri Giovannino Guareschi non avrebbe potuto inventarsi lo scontro tra don Camillo e Peppone. Perché Peppone, in questo caso il capoclan Accorinti, aveva l’ambizione di rappresentare il potere temporale e quello spirituale. Di governare sulle attività del piccolo Comune e di pensare alle anime dei propri compaesani.
A parte il celebre episodio della processione della Madonna della Neve interrotta dai carabinieri nel 2018 perché tra i portatori dell’effige c’era il boss, l’inchiesta Rinascita Scott si incarica di raccontare intercettazioni e commenti nei quali Accorinti si fregia quasi del ruolo di pastore della comunità, in una commistione tra il sacro della Chiesa e il (molto) profano della ‘ndrangheta: materia antropologica oltre che giudiziaria.
«Il prete deve solo venire a dire messa». Il capo riassume così il ruolo che, secondo la sua visione, avrebbe dovuto avere il sacerdote nella comunità di Zungri.
Nelle conversazioni in cui si rivolge a Nicola Fusca, che i magistrati della Dda di Catanzaro considerano un affiliato al clan, Accorinti racconta «con enfasi i suoi rapporti con il parroco dell’epoca, don Felice La Rosa», evidenziando il proprio «ruolo di superiorità» rispetto al prete «nelle decisioni inerenti la comunità religiosa, nonché le ingerenze sull’organizzazione dei comitati per le organizzazioni dei festeggiamenti e le spartizioni degli utili ricavati» dalle processioni. Anche La Rosa ha precedenti: accusato di induzione alla prostituzione minorile, è stato arrestato nel settembre 2019 a fronte di un residuo di pena di un anno e un mese.
Il capoclan non lesina aneddoti: in una occasione avrebbe «aizzato l’intera comunità religiosa contro il parroco» invitandolo «a riferire in merito al motivo per cui l’oro dello stendardo della Madonna della Neve era custodito all’interno dell’abitazione» di una fedele e non in Chiesa.
I magistrati segnalano parole «particolarmente significative e pregne di carisma criminale e misticismo religioso». Sono quelle che il boss avrebbe usato per “convincere” il sacerdote: «Maria che vuole?! Maria vuole l’unione! Maria ci vuole un popolo unito! Noi siamo il popolo di Maria, il popolo di Zungri e Maria vuole le armi vicino tutto!». Nella concezione ‘ndranghetistica, la Fede è una delle chiavi per porsi al centro della propria comunità.
Il comportamento di Accorinti è un esempio lampante di questo approccio. È lui stesso, secondo quanto riportano i magistrati antimafia ad autoaccusarsi «di essere a capo di tutti i comitati e di essere lui a impartire le disposizioni su come e quanto dividere i ricavi ottenuti nel corso delle celebrazioni, nonché del fatto che era stata invitata a prendere parte del comitato anche la “moglie” (cioè la convivente, ndr) e che quest’ultima, per motivi di inopportunità abbia declinato l’invito».
Dalla viva voce di Accorinti: «Ogni comitato che c’era praticamente io ero in contatto e quando facevano la festa gli dicevo: digli a quello di lasciarti tanto, digli a quello di lasciarti un tot e di lasciarlo per la madonna capito? ora ti dico io ho preso 1000 euro e glieli ho portati alla madonna no?». Discutendo con Fusca, il boss si descrive come un moralizzatore davanti al malcostume introdotto in paese dall’ex parroco. «Lui a Zungri se vuole deve fare il prete – dice –, ma non se ne deve prendere dei soldi della Madonna». In una cena, Accorinti rivela alla comunità religiosa che una fedele scelta da don La Rosa avrebbe avuto «700 grammi d’oro a casa», avvertendo tutti di non fidarsi delle parole del religioso. Il prete, da parte sua, avrebbe mandato al capomafia «l’imbasciata che vuole parlare con me, dice che io praticamente non posso parlare con lui perché sono io mafioso, che dopo lo dicono in giro avanti e indietro, io non posso parlare con lui, che lui sa con chi parlare, che ci sono i fedeli». In realtà anche il boss parlava, e spesso, con i fedeli. Lo racconta egli stesso nei suoi resoconti “mistici”. Spesso interrotti dalle bestemmie. (p.petrasso@corrierecal.it)
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