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'Ndrangheta, dal quartiere rom alla cosca Libri: l'ascesa criminale del "Pappagallo" Cosimo Bevilacqua

Figura di spicco nel quartiere Arghillà di Reggio e uomo “rispettabile” all’interno della ‘ndrangheta locale ma non solo. Il “Pappagallo” era un elemento affidabile per gli esponenti della cosca pe…

Pubblicato il: 15/08/2020 – 13:27
'Ndrangheta, dal quartiere rom alla cosca Libri: l'ascesa criminale del "Pappagallo" Cosimo Bevilacqua

di Giorgio Curcio
REGGIO CALABRIA
Negli anni è riuscito a ritagliarsi un ruolo di primo piano nei giochi di potere e nell’ambito di quelle dinamiche che hanno segnato il predominio delle ‘ndrine nel territorio di Reggio Calabria e dell’hinterland. Cosimo Bevilacqua, noto anche come “il Pappagallo”, è diventato una figura di spicco all’interno della comunità rom di Arghillà, alla periferia di Reggio,  ma soprattutto il referente della cosca Libri della ‘ndrangheta reggina.Una figura temuta e rispettata e che aveva potuto elevarsi ad un rango criminale di più alto livello, smettendo i panni dello “zingaro” (così come raccontano i pentiti ai pm) per assumere quelli dell’uomo di rispetto. Il suo nome peraltro era già saltato fuori nel corso dell’operazione “Casco” (in cui è stato assolto) e nell’operazione “Teorema” del luglio del 2016. Ma, nel 2018, il gip del Tribunale di Reggio Calabria aveva comunque rigettato il suo arresto «non ritenendo stabile il suo ruolo all’interno della cosca Libri». Tesi smentita, invece, nel corso dell’operazione “Malefix” della Dda di Reggio, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri, che ha visto tra i fermati anche il “Pappagallo”.
LE DICHIARAZIONI DEL COLLABORATORE LIUZZO A definire i contorni di Cosimo Bevilacqua e il suo ruolo all’interno della famiglia Libri sono invece le dichiarazioni rese al pm dal collaboratore di giustizia Giuseppe Liuzzo che ha conosciuto Cosimo durante la detenzione nel carcere di Reggio Calabria: «lui è con i Libri, cosa principale (…) appartenente alla cosca Libri (…) me l’ha detto lui… (…) “Pappagallo” fa parte alla cosca Libri, sponsorizzato anche da Nino Caridi, (…) Cosimo viene sponsorizzato da tutti loro e viene… viene inserito (…) nella loro cosca, viene accettato. Rubava… nei capannoni, motopale…. (…) faceva spaccio, faceva un po’ di tutto… faceva rapine… Cosimo Pappagallo (…) è un grande rapinatore… faceva i blindati».
I FAVORI DELLA COMUNITÀ ROM Ma al “Pappagallo” Bevilacqua, e alla sua posizione di rilievo all’interno della cosca Libri, affiliato da Francesco Zindato, avevano fatto riferimento altri due collaboratori di giustizia. Il primo è Carlo Mesiamo, nel 2007, il secondo è invece Enrico De Rosa: «(…)anche se appartenevano alla comunità nomadi – racconta ai pm – questi soggetti che ho menzionato avevano dei rapporti privilegiati con la ndrangheta soprattutto “il pappagallo” perché essendo compare di Checco (Zindato ndr) ed essendo Checco definito un azionista, cioè una persona capace di fare azioni di fuoco, era tenuto molto in considerazione».
Per gli inquirenti la presenza tra gli affiliati di un rappresentante della comunità rom, rappresenta un forte elemento di prestigio ed autorevolezza criminale «favorisce la sua infiltrazione nel tessuto sociale e ne incrementa il proselitismo». E questo è dato dalla possibilità di recuperare e restituire ai legittimi proprietari – tramite la rete di contatti di Bevilacqua – autovetture e altri beni rubati restituendo alla comunità l’immagine di una cosca autorevole e prestigiosa.
LE SOMME DI DENARO PER  I DETENUTI Quella con il “Pappagallo”, dunque, è una sinergia strategica ma anche funzionale. È lui, infatti, ad impegnarsi in prima persona per recuperare somme di denaro da destinare agli associati detenuti ed ai loro familiari. Come nel caso del detenuto Antonino Sinicropi: è Cosimo Bevilacqua, infatti, a cercare di convincere il fratello Pietro ad ottemperare i suoi obblighi di solidarietà nei confronti del fratello, ricordandogli che, se non avesse agito in tal senso, avrebbe rischiato di non ricevere solidarietà nel caso fosse stato lui, invece, a finire in carcere: « Ho detto, vedi gli ho detto io che io lo so, gli detto, vedi che se noi abbiamo dieci euro gli ho detto io ce li dividiamo» – racconta poi in una conversazione captata dagli inquirenti lo stesso Pietro a Bruno Scordo «Ha detto ti devi cacciare il vizio ha detto, ha detto se cadi tu ha detto disgrazia ha detto, voglio vedere chi ti pensa…». Ma al “Pappagallo” era stato affidato anche l’incarico di contattare soggetti presso cui riscuotere somme di denaro utili al sostentamento dei familiari del detenuto Domenico Ventura. Un impegno di fatto simile a quello assunto nei confronti dei familiari di Antonino Sinicropi. Figura chiave in questo compito era direttamente la figlia di Domenico Ventura, Maria Teresa, già condannata a 10 anni e 8 mesi di reclusione, in quanto ritenuta responsabile del reato di partecipazione alla cosca Libri. La giovane, si legge nelle carte dell’inchiesta, interloquiva con i vertici della cosca come Pasquale Libri e Filippo Chirico, ma anche con lo stesso Bevilacqua e Demetrio Morabito.
LA COPPIA BEVILACQUA-VENTURA Il “Pappagallo” e la figlia di Mico “pala” Ventura si muovevano insieme sul territorio per riscuotere somme di denaro, con metodi pesantemente intimidatori. È il settembre 2014 quando proprio Maria Teresa Ventura telefona la figlia del “Pappagallo”, Maria Diamante Bevilacqua, per assicurarsi che il padre abbia assolto il compito assegnatogli, ovvero di avvicinare una terza persona che le doveva consegnare una somma di denaro. «Ha parlato mio padre con il fratello – spiega al telefono – e gli ha detto quando si paga te li da lui i soldi. Altrimenti li busca pure lui per suo fratello».
L’INTIMIDAZIONE Il legame di Cosimo Bevilacqua con la cosca Libri era tanto forte che il “Pappagallo” agiva, di fatto, alle dirette dipendenze del “capo società” Filippo Chirico. È lui, infatti, ad avergli affidato il compito di rintracciare un imprenditore con alcuni cantieri attivi a Reggio Calabria e nell’hinterland, con un unico obiettivo: metterlo alle strette con i consueti metodi intimidatori e capire, in un secondo momento, come doversi comportare nei confronti dell’imprenditore.

IL FURTO DI GIOIELLI E IL PESTAGGIO Il ruolo di spicco di Cosimo Bevilacqua era già emerso nel corso dell’inchiesta “Teorema”. Le intercettazioni captate dagli inquirenti, infatti, avevano già permesso di ricostruire il tentativo di recuperare dei gioielli rubati da alcuni ladri ignoti. Un tentativo che si è poi concretizzato, in parte, anche con un violento pestaggio. Un blitz quello di Bevilacqua orchestrato insieme a Filippo Chirico, genero del boss Pasquale Libri e, fino al suo arresto avvenuto nel 2016, reggente dell’omonima cosca di ‘ndrangheta. Una vicenda ricostruita dal fratello del “Pappagallo”, Massimo Bevilacqua, e Pietro Sinicropi, fratello quest’ultimo di Antonino “Antonello” Sinicropi. L’intervento di Cosimo doveva permettere di ottenere da un gruppo di soggetti – aggrediti e malmenati – che avevano effettuato un furto, una parte del bottino da spartire tra di loro. Ma, nonostante il pestaggio cui erano stati sottoposti gli autori del furto, i sodali non erano riusciti ad ottenere la restituzione della refurtiva: «tutti quegli urli e tutte quelle cose? Loro non gliene hanno tornato oro, pietre non gliene hanno tornate». «Le “timpulate” sono rimaste e quello Vincenzo non mi saluta, che ca**o me ne fotto». Espressioni che indicano una certa delusione di Pietro Sinicropi per non essere riusciti a recuperare la refurtiva e per descrivere la delusione di un tale Vincenzo, coinvolto nell’episodio e che, evidentemente, gli aveva tolto il saluto.
IL PESTAGGIO DELL’IMPRENDITORE È in una conversazione captata dagli inquirenti il 25 agosto del 2019 che spunta ancora una volta il nome di Cosimo “Pappagallo” Bevilacqua. I protagonisti sono Alfonso Molinetti e Giorgio De Stefano, entrambi fermati nel corso dell’operazione “Malefix” mentre parlano dell’indignazione per il pestaggio subito dall’imprenditore Carmelo Crucitti da parte di un gruppo di cittadini di etnia rom. Vicenda che si inserisce nella questione sorta proprio nell’estate del 2019 sulla questione della mancata spartizione dei profitti, provenienti dallo stesso e le gravi fibrillazioni all’interno della cosca e nei suoi rapporti con le altre. «È stata fatta una cosa… per far fare brutta figura a mio fratello… va… a noi… cioè, sono arrivati gli zingari e gli hanno alzato le mani a questo nel locale suo… non è mai successo nella storia di Reggio Calabria una cosa del genere… e adesso… ora… stiamo… sto vedendo un attimo di capire com’è questo discorso». Chiarissimo, dunque, il sospetto che Cosimo Bevilacqua, e la sua “squadretta” di cittadini Rom avessero agito su mandato di una cosca, probabilmente individuata proprio in quella Libri e nel suo boss, Antonio. Una vicenda che – si legge nelle carte – aveva messo in agitazione Luigi “Gino” Molinetti. Il boss, infatti, pensava che il “Pappagallo” potesse pensare che anche i Molinetti, legati ai De Stefano da un tradizionale vincolo di affiliazione, si fossero schierati contro di lui dopo il pestaggio dell’imprenditore.
A rasserenare l’animo di Gino ci pensa il figlio, Giuseppe, secondo il quale il “Pappagallo” era persona arguta e, visti i suoi rapporti con Totò Libri (all’epoca reggente della cosca di cui faceva parte), aveva certamente colto la distanza che negli ultimi tempi si era frapposta tra i Molinetti ed il gruppo capitanato da Carmine De Stefano «”U Pappagallu” no … lo sa che non “imu a bonu” …“U Pappagallu” . Ah, ti pare che è scemo Cosimo».
IL TENTATIVO DI RUBARE L’AUTO DELLA MOGLIE DEL BOSS È infine nel corso di un colloquio carcerario che Stefania Saturno racconta al marito Domenico Ventura di aver subìto un tentativo di furto della propria autovettura, rimasta seriamente danneggiata. Circostanza confermata anche dalla figlia di Ventura, Maria Teresa, che racconta padre di come gli autori del tentativo di furto fossero stati costretti a rimettere in moto l’autovettura e quindi a ripararla integralmente «Gliel’hanno aggiustata subito, se la sono portati nel garage e l’hanno aggiustata tutta, l’hanno portata in garage e l’hanno aggiustata». A portare al cospetto della figlia del boss i ladri era stato proprio Cosimo Bevilacqua. Uno dei responsabili ha cercato di giustificarsi, affermando di ignorare che l’autovettura appartenesse proprio alla famiglia Ventura «sai chi è questa? La figlia di Mico “pala”, non vedi che lei è tutta suo padre!». (redazione@corrierecal.it)

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