di Alessia Truzzolillo
LAMEZIA TERME Terzo incendio in meno di due mesi in un capannone adibito allo smaltimento dei rifiuti nell’area ex-Sir a Lamezia Terme. L’ultimo si è verificato lunedì sera in una struttura di proprietà della Logica scarl, consorzio di imprese subentrato alla Daneco nella gestione dell’impianto di trattamento meccanico biologico dei rifiuti.
Il consorzio è un frutto misto di imprese lametine (Ecosistem srl ed Ecotec Srl), imprese crotonesi del noto gruppo Vrenna (Salvaguardia Ambientale spa e Waste Srl) e la tarantina Progeva srl. A godere della maggior parte delle quote societarie sono la Ecosistem (con il 41,72% della proprietà) e la Salvaguardia ambientale spa (con il 39, 76%).
Sul posto sono intervenuti i Vigili del fuoco e gli agenti del commissariato di Lamezia Terme che stanno indagando sulle cause del rogo.
Da una prima analisi pare che l’incendio sia partito dal vano motore di una macchina operatrice “ragno” all’interno di un capannone. Il fuoco non ha fatto in tempo a propagarsi ai rifiuti presenti nella struttura.
Il fascicolo, comunque, c’è anche se attualmente è contro ignoti. Così come altri fascicoli sono stati aperti anche sugli altri due roghi che hanno incendiato i rifiuti presenti nelle strutture.
Il 15 luglio la stessa sorte, nella ex Sir (che conta sette impianti di riciclo sparsi per tutta l’area) era toccata a un altro capannone e ancora prima, il 25 giugno, i Vigili del fuoco avevano domato un grosso incendio che ha divorato plastica legno e metallo contenuti nel capannone della Econet Srl. La guardia, da parte degli inquirenti, resta alta.
Ma i problemi ambientali per Lamezia non si fermano qui.
TERRA DEI FUOCHI Il termine è abusato e ridondante ma per Lamezia Teme potrebbe calzare a pennello. Perché la città della Piana di Sant’Eufemia non è lontana affatto dall’essere designata quale “terra dei fuochi”. Sulla questione ambiente, d’altronde, i riflettori da parte della Procura di Lamezia Terme e della Dda di Catanzaro sono ormai accesi. Rifiuti pericolosi interrati malamente (taluni anche in terreno demaniale), inquinamento di corsi d’acqua e falde acquifere, capannoni adibiti al trattamento dei rifiuti che vanno in fiamme, roghi tossici provenienti dal ghetto rom di Scordovillo. Cosa manca ancora perché Lamezia riceva la patente di “terra dei fuochi” e, soprattutto, perché il pericoloso baratro del disastro ambientale sul quale la città cammina, scuota le coscienze di governanti di ogni ordine e grado e l’apatia che avvolge la stragrande maggioranza della popolazione?
LE INCHIESTE I fascicoli sulla questione ambientale si sommano sulla scrivania del procuratore di Lamezia Terme, Salvatore Curcio. L’ultima inchiesta, “Zona Franca” risale al 20 giugno scorso e ha come teatro il campo rom di Scordovillo, tra i più grandi del Sud Italia. Cinque arresti da parte dei carabinieri del Gruppo di Lamezia Terme e accuse tra le quali traffico illecito di rifiuti, discarica non autorizzata, inquinamento ambientale. L’accampamento, inamovibile nonostante i numerosi proclami delle amministrazioni che si sono succedute, adiacente all’ospedale e in piena zona residenziale, è una vera e propria bomba ecologica.
Qualche mese prima dell’operazione “Zona Franca”, il 9 marzo, i militari del Nucleo operativo del gruppo della Guardia di finanza di Lamezia Terme, del Comando carabinieri tutela ambiente, Noe di Catanzaro e della capitaneria di porto, Guardia costiera di Vibo Valentia – coordinati dalla Procura di Lamezia Terme – hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo dal valore di oltre 135 milioni di euro. Indagati per gestione illecita di rifiuti Giovanni De Ninno ex direttore tecnico dell’Ilsap srl e Roberto Martena. L’Ilsap, sempre nell’ex area Sir, produce 15mila litri di bio-diesel al giorno. L’accusa è che lo scarto industriale sia stato interrato, e poi maldestramente coperto. Una terribile moria di pesci nel 2018 ha fatto scattare l’allarme. «Gli accertamenti hanno consentito, inoltre, di ricostruire come la società, attraverso l’allestimento di attività collaudate, poste in essere in modo abituale e continuativo, abbia nel tempo cagionato un potenziale e significativo deterioramento del suolo e dell’ecosistema, con alto rischio di contaminazione delle matrici ambientali, che allo stato potrebbero essere già intaccate», scrivono in una nota gli investigatori.
I carotaggi e le successive indagini non disdegnano l’ipotesi dell’inquinamento ambientale.
Il 6 dicembre 2019, la Polizia di Stato, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catanzaro e della Procura di Lamezia Terme ha tratto in arresto 20 persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti ed inquinamento ambientale. Un vero e proprio sistema criminale attraverso la costituzione e il controllo di fatto della Ecologa, società con sede a Gizzeria e la Crm, con sede a Dozza (Bologna), entrambe destinatarie di un provvedimento di sequestro preventivo, gestivano in modo illecito la filiera del recupero e dello smaltimento dei rifiuti, che sono stati sversati sia all’interno della discarica abusiva di località Bagni, sia in un ulteriore sito individuato in località San Sidero a Lamezia Terme, prossimi ad alcuni corsi d’acqua che attraversano il Lametino. Tra i rifiuti interrati senza alcun criterio, anche farmaci scaduti.
A fine luglio il gup ha condannato in abbreviato di tutti gli imputati che hanno scelto il rito alternativo con pene dai 4 anni a un anno e 9 mesi di reclusione e multe fino a 42mila euro.
Dalle indagini delle procure calabresi aveva preso le mosse anche la Dda di Milano che, con l’inchiesta “Feudo”, è arrivata a lambire anche il territorio lametino. Sono quattro i siti del Lametino citati nelle carte dell’inchiesta: innanzitutto quello della società Eco.lo.da a Gizzeria, quindi la “Cava Parisi” in località Caronte, la vicina “Cava Liparota” e l’impianto Eco Power, sempre a Lamezia. Secondo l’accusa i rifiuti indifferenziati provenienti dalla Campania e arrivati in Calabria – tramite un traffico gestito dalla Lombardia – venivano scaricati e smaltiti “tal quali”, cioè senza nessun trattamento. In questo caso gli inquirenti rilevano contatti con la ‘ndrangheta, in particolare con la cosca Iannazzo.
LA TERZA VASCA Come se non bastasse, in un territorio che ha urgente e vitale bisogno di essere bonificato, la questione politica sulla quale si concentra l’attenzione del governo regionale e comunale riguarda la costituzione della terza vasca per l’interramento di rifiuti in località Stretto. L’ordinanza numero 45 del 20 maggio scorso, vergata dalla governatrice Jole Santelli, prevede la realizzazione di una terza vasca (volumetria pari a circa 600mila metri cubi) in località Stretto del Comune di Lamezia Terme. Già prima della Santelli, l’ex governatore Mario Oliverio aveva nominato un commissario ad acta «affinché, in sostituzione del Comune di Lamezia Terme, presenti all’autorità competente,… il progetto della terza vasca in località Stretto…». Una vasca per l’interramento dei rifiuti che fa gola perché le royalties dovrebbero risollevare le cattive sorti economiche in cui versano la municipalizzata Lamezia Multiservizi e il Comune. Un progetto al quale si sono opposti non solo consiglieri comunali come Rosario Piccioni ma, soprattutto, gli attivisti della rete Rete Civica No Discariche i quali hanno voluto incontrare l’assessore all’Ambiente – Capitano Ultimo – mettendolo a conoscenza di tutte le problematiche ambientali del territorio. Adesso il braccio di ferro pare sia concentrato tra la Santelli e il proprio assessore, il cui motto è «discariche zero entro due anni». Nelle more Lamezia affoga nei rifiuti e nell’incuria, trogolo di interessi (sovente illeciti) altrui. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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