REGGIO CALABRIA Da poco più di un ventennio Giuseppe Mantella si occupa del restauro e della valorizzazione delle opere d’arte sul territorio calabrese e non solo. In stretta collaborazione con le Soprintendenze ai beni culturali, ancora oggi in proprio e attraverso il mondo accademico, dell’Università e di tanti giovani accomunati da Nord a Sud dalla passione per il restauro. Negli ultimi anni ha promosso diversi fortunati progetti tra i quali spicca il più celebre “Arte e Fede”.
Le opere restaurate e le storie ritrovate sono centinaia e fanno di Mantella uno dei più stimati rappresentanti del suo settore.
LA TESTA DI BASILEA Tra queste la così detta “Testa di Basilea”, originale greco in stile “tardo-severo” del sec. V a.C., trovata nel relitto di Porticello. In origine ne esistevano due, delle quali una venne trafugata quindi venduta al museo di Basilea da cui prende il nome. Dopo diversi anni, anche grazie all’apporto dello stesso Mantella, la testa è tornata in Calabria, al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio dove oggi è esposta.
«La storia di questo reperto è complicatissima e nasce da un identikit», racconta Mantella al Corriere della Calabria. Nella sua restaurazione è stata impiegata una vera e propria equipe di archeologi e restauratori che hanno lavorato affinché le originarie fattezze dell’opera potessero riaffiorare: «Inizialmente non era l’unico esemplare, ma ve ne erano due: una era proprio la testa del filosofo, che poi venne trafugata e venduta in Svizzera. Grazie al lavoro dei restauratori siamo riusciti a risalire al soggetto rappresentato. L’identikit ci ha permesso di ricostruirne storia ed origini, che sono state di ispirazione per i sovrintendenti andati a Basilea per chiedere la “restituzione” dei manufatti. Richiesta ben accolta dalla città, che con un atto di liberalità li ha donati all’Italia, e negli anni 70 sono tornati a Reggio».
Il restauro è stato in parte voluto e finanziato da Banca Intesa, nello specifico dal direttore Malacrino. «Gli sono molto grato perché aver avuto la possibilità di restaurare quest’opera per me è stato un onore». Durante il processo di restaurazione ci si è serviti «delle metodologie affinate negli ultimi anni siamo che hanno permesso di riportare l’opera alla condizione quasi originale».
Secondo Mantella, una delle più impellenti necessità è che in Calabria «un restauro avvenga quanto più possibile in maniera scientifica e condivisa. «C’è sempre una percentuale di scelte del restauratore che però condivide tutti i passaggi con l’equipe. In questa regione succede sempre più spesso e questo è importante per una terra che non ha tantissimi capolavori e per questo deve valorizzare il più possibile quelli presenti finanche nella più minuscola chiesetta del borgo».
IL MONASTERO DI SAN GIOVANNI THERISTIS Nella Locride, costellata di capolavori dell’epoca bizantina, e più esattamente nelle campagne del Comune di Bivongi sorge quello che lo stesso Mantella definisce «un capolavoro importantissimo». Risale agli anni venti del 900 la scoperta accreditata all’archeologo Paolo Orsi, che a riguardo disse: «A cavallo del valico che collegai due bacini e che dovette essere attraversato da una mulattiera assai malagevole ma altrettanto frequentata nei tempi di mezzo, sorgono le ruine di S. Giovanni vecchio, quasi all’altezza di Stilo, emergenti in mezzo a macchie di neri elci e di verdi querce, e cosÌ segregate dal mondo per la profonda vallata che ben pochi degli Stiletani le conoscono, e nessuno studioso dell’arte le aveva visitate. In questa chiusa e quasi mistica solitudine assai prima del sec. X sorse un umile monastero basiliano».
Il lavoro sul manufatto, racconta Mantella, è stato minuzioso ed ha permesso di utilizzare una metodologia scientifica. Quello che è venuto fuori è stato un grande risultato: «Nel momento in cui avviene un intervento di restauro – racconta – i risultati devono essere messi a disposizione della comunità scientifica. Il monastero di San Giovanni Theristis è importantissimo anche se gli affreschi sono poco accessibili e possono vedersi poco».
IL LEGAME CON LA MALTA DI MATTIA PRETI «Arrivai a Malta assieme ad un mio collega nel 95 per restaurare un grande reliquiario, molto importante per i cavalieri di Malta, tanto che campeggiava sullo stesso altare dove oggi sorge il Caravaggio».
La storia di quei luoghi e di quelle opere racconta però molto della Calabria: «L’incontro con l’arte e la storia di Mattia Preti e Gregorio Parata principe di Roccella ci ha fatto pensare che fossimo “tornati” a casa. Anche per questo motivo abbiamo avviato un dialogo col Ministero degli Esteri dicendoci che sarebbe stato necessario rendere fruibili quelle opere una volta restaurate».
Un punto rimarcato a più riprese dallo stesso Mantella è l’attenzione alla comunità scientifica da parte della Calabria (e non solo): «Manca mettere in comunione gli studi scientifici. Attraverso la scoperta della tecnica esecutiva, ad esempio, è stato possibile risalire al luogo dov’è stata realizzata l’opera. Da alcune si capiva ad esempio che i materiali utilizzati non erano più colla e terra, ma la pietra di Malta. Quelle che prima erano delle ipotesi diventano elementi determinanti per capire dove è stato realizzato il dipinto. E Preti a Malta ne ha realizzati circa 400».
PROGETTO “ARTE E FEDE” Conoscenza, restauro e valorizzazione dei beni storici e culturali presenti in Calabria sono alla base di un progetto lanciato proprio da Giuseppe Mantella che coinvolge oggi tantissimi ragazzi provenienti sia dal Sud che dal Nord del paese: «Questo progetto è nato in maniera un po’ folle perché cinque anni fa sono entrato con degli amici nella Cattedrale di Gerace dove sono accantonati diversi frammenti di manoscritti storici che nel tempo vengono distrutti o utilizzati per altri scopi. Con Don Angelo e Don Fabrizio siamo andati dal Vescovo ritenendo che potessero essere recuperati in qualche modo. Il Vescovo della diocesi di Locri Gerace ha risposto fornendo vitto e alloggio ai partecipanti al progetto ed abbiamo quindi sviluppato prima un bando e poi un protocollo con l’Università di Reggio Calabria per chiamare a raccolta i giovani interessati. Abbiamo recuperato anche opere in condizioni disperate perché la cultura non ha confini. Grazie al restauro stiamo cercando di conoscere i nostri artisti in maniera scientifica. E non c’è modo più bello che valorizzare la storia attraverso i giovani». (f.d.)
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