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Nel carcere Panzera la sezione "Cariddi" predominio dei "riggitani"

Il racconto dei tre collaboratori di giustizia sulle dinamiche all’interno della struttura penitenziaria di Reggio Calabria gestita dall’allora direttore Maria Carmela Longo, ai domiciliari con l’a…

Pubblicato il: 27/08/2020 – 7:04
Nel carcere Panzera la sezione "Cariddi" predominio dei "riggitani"

di Fabio Papalia
REGGIO CALABRIA «Uno spaccato allarmante in ordine alla gestione direttiva-amministrativa dei due istituti penitenziari della città di Reggio Calabria, Panzera e Arghillà, ad opera dell’allora direttrice Maria Carmela Longo». Così i pm antimafia della procura di Reggio Calabria, Stefano Musolino e Sabrina Fornaro, hanno argomentato nel richiedere al gip (che ha concesso gli arresti domiciliari) l’emissione della misura cautelare per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo l’accusa si sarebbe trattato di «un regime di favore che veniva loro garantita per il tramite non già di una gestione che potremmo definire elastica, bensì di una consapevole e permanente agevolazione della vita dei detenuti e dei nuclei familiari di appartenenza, così integrando la fattispecie del concorso esterno in associazione di stampo mafioso».
A fondamento dell’indagine vi sono anche le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia: Mario Gennaro, Francesco Trunfio e Stefano Tito Liuzzo.
MARIO GENNARO Gennaro ha raccontato che il giorno del suo arresto (nell’ambito dell’operazione Gambling), il 31 luglio 2015, quando venne condotto nel carcere Panzera di Reggio Calabria chiese e ottenne di essere collocato nella cella insieme a Totò Polimeni (detto Troio) dal quale avrebbe appreso che insieme ad altri detenuti appartenenti alla criminalità organizzata regina era stato deciso di dedicare la sezione A1 (denominata Cariddi) a tutti gli ‘ndranghetisti delle cosche reggine, mentre la sezione M (denominata Scilla) ai detenuti alta sicurezza organici alle cosche della provincia reggina. Gennaro così decise di seguire i suoi e presentò un’istanza che, grazie all’interessamento di un brigadiere rimasto non identificato, venne accolta. Secondo il collaboratore era un trattamento di favore che non veniva concesso a qualsiasi detenuto. Insomma secondo il racconto di Gennaro i trasferimenti da e per la sezione erano appannaggio della ‘ndrangheta cittadina, e non dell’amministrazione carceraria.
IL REGALO DI BENVENUTO Gennaro ricorda di avere ricevuto un regalo di benvenuto da parte di Demetrio Condello, tramite un infermiere (che il collaboratore ha riconosciuto in foto), che gli avrebbe consegnato una bustina contenente una collanina, che il collaboratore ha consegnato agli inquirenti nel corso dell’interrogatorio. Lo stesso infermiere che un’altra sera sarebbe andato a trovarlo in cella portandogli i saluti ancora di Condello.
FRANCESCO TRUNFIO Anche Trunfio racconta agli inquirenti che nel carcere Panzera vige “un patto non scritto” con l’amministrazione carceraria. La Sezione Scilla è destinata agli ‘ndranghetisti della Piana, mentre – spiega – la sezione Cariddi «l’abbiamo sempre chiamata dei riggitani». Il collaboratore di giustizia racconta dello strapotere di Michele Crudo (genero del boss Giovanni Tegano), che si manifesta anche nella scelta dei lavoranti, tutti di estrazione reggina, prassi talmente consolidata che soltanto i detenuti reggini formulano le istanze per lavorare nella struttura, il tutto con l’avallo della direzione del carcere: «per esempio il cuoco è ovviamente reggino. Le istanze per lavorare nel reparto Cariddi se non sei detenuto reggino non le fai proprio». Una gestione che sarebbe stata condivisa dall’amministrazione che, secondo il collaboratore di giustizia, aveva interesse a mantenere il “quieto vivere” all’interno della struttura.
STEFANO TITO LIUZZO Il terzo collaboratore di giustizia riferisce agli inquirenti dei dolcetti che gli portava in carcere un ispettore e la presenza tra le fila del personale della polizia penitenziaria in servizio presso il carcere Panzera di alcuni poliziotti penitenziari infedeli. Anche Liuzzo afferma che i lavoranti la cui individuazione era appannaggio delle cosche reggine. Secondo Liuzzo la Longo avrebbe avallato tale modus operandi potendo contare sulla collaborazione di una parte della polizia penitenziaria, ma c’era anche chi si contraddistingueva per serietà, rigore morale e senso del dovere come il vice comandante Floresta e il comandante Lacava.
LA COSCA TERRITORIALE HA IL PREDOMINIO NEL CARCERE Liuzzo racconta anche le logiche di spartizione del potere all’interno del carcere, che erano soggette anche alla ripartizione del territorio della città da parte delle cosche. Il carcere infatti, spiega il collaboratore di giustizia, insiste sul territorio della cosca Labate e ciò determinava un riconoscimento del predominio di quella famiglia mafiosa all’interno della struttura carceraria.

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