di Fabio Papalia
REGGIO CALABRIA «… Vai subito dai Carabinieri e denuncia il fatto perché il prossimo giovedì non mi trovi… perché hanno incaricato già tre elementi … che mi ha dato dei nomi … eee… per ammazzarmi». Era questa la disperata richiesta d’aiuto di un figlio detenuto al padre.
Una delle contestazioni mosse dalla Procura alla ex direttrice del carcere di Reggio Calabria, Maria Carmela Longo, è il reato di “omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale”. Si tratta di una contestazione in merito alla quale il gip ha rilevato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ma non anche la sussistenza di esigenze cautelari, infatti ha disposto gli arresti domiciliari per la Longo per uno solo dei tre reati che le vengono contestati: il concorso esterno in associazione mafiosa.
LA CONTESTAZIONE La contestazione di omessa denuncia le viene mossa perché “in qualità di pubblico ufficiale, ometteva di denunciare all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che alla prima abbia obbligo di riferire, un reato di cui aveva avuto notizia nell’esercizio della sua funzione di direttrice della casa circondariale di Reggio Calabria “G. Panzera”, comprensivo dei due plessi “S. Pietro” e “Arghillà”, durante l’interlocuzione con Vincenzo Morabito, padre dell’ex detenuto Maurilio Pio Massimiliano Morabito, deceduto presso la casa circondariale di Paola; costui infatti dopo essere stato ricevuto presso l’ufficio della Longo, le rappresentava una serie di circostanze allarmanti, indicative della possibile simulazione, da parte di detenuti di provenienza reggina (al momento del fatto ristretti presso la casa circondariale di Paola) che avevano minacciato il figlio durante la co-detenzione al Panzera, di un gesto di autolesionismo”.
IL DETENUTO MORABITO L’allora 46enne Maurilio Pio Massimiliano Morabito viene arrestato il primo marzo 2016 e associato alla casa circondariale di Arghillà. Durante il primo periodo di permanente viene “alloggiato” in una cella multipla, la cella n. 18 del reparto Apollo, con altri 5 detenuti.
Il 29 marzo dello stesso anno viene spostato in una camera singola fino al primo aprile, quando viene trasferito al carcere di Paola, dove il 29 aprile si toglie la vita.
Il 3 maggio, pochi giorni dopo il suicidio, nell’ufficio della Longo viene registrata una conversazione della direttrice con uno dei dipendenti, incentrata sulla vicenda di Morabito. L’uomo era stato trasferito da Arghillà perché aveva dichiarato problemi di incolumità personale, la direttrice ricorda che al detenuto mancavano pochi giorni alla liberazione per cui ritiene che l’ipotesi del suicidio sia remota. I due fanno riferimento al contenuto di una lettera di Morabito in cui egli stesso aveva scritto «… se mi trovano morto non mi sono suicidato…».
IL COLLOQUIO COL PADRE Il 19 settembre nell’ufficio della direttrice si presenta il padre dell’ex detenuto. L’uomo, tra l’emozione, espone alla direttrice che «l’hanno ammazzato… lì a… Paola» ma che «i fatti iniziarono qui.. ad Arghillà». La direttrice ricorda la vicenda: «ha dichiarato che aveva problemi e temeva per la sua incolumità» – aggiunge – «tant’è che l’avevamo messo da solo… in questi casi è automatico che si chiede l’allontanamento perché lui dichiarò che temeva per… da detenuti reggini… ma questo modo di fare non è che è stato solo con lui… è per tutti se uno ha dichiarato di avere problemi.. si sposta…».
L’uomo prosegue il racconto: «Durante l’ora del colloquio mi ha raccontato che hanno iniziato a fargli “il cappotto”», e spiega «per ammazzarlo» e ancora «dice .. .che è… erano in sei nella cella», e che «quattro hanno aspettato che il quinto andasse in… permesso».
Poi racconta del disperato colloquio col figlio nel carcere: «… vai subito dai Carabinieri e denuncia il fatto perché il prossimo giovedì non mi trovi… perché hanno incaricato già tre elementi … che mi ha dato dei nomi … eee… per ammazzarmi».
PESTAGGIO AD ARGHILLÀ Durante la permanenza al carcere di Arghillà, Morabito sarebbe stato oggetto di un pestaggio da parte di altri detenuti della cella perché lui, secondo il racconto del padre, si sarebbe rifiutato di fargli un favore, affermando che doveva scontare solo 2 mesi di carcere. Secondo la procura sembrerebbe che l’uomo avesse avuto problemi con due detenuti originari di Paola, per il rifiuto di quella “cortesia”. In seguito Morabito avrebbe rilasciato dichiarazioni ai responsabili del carcere di Arghillà, a seguito delle quali è stato spostato nella cella singola fino al trasferimento a Paola. L’allontanamento richiesto dalla direzione del carcere però non farebbe menzione dell’eventualità che il detenuto possa avere problemi con i detenuti di Paola. «Orbene – sostiene la Procura – se fosse vero che il Morabito Maurilio, abbia dichiarato di avere problemi con due detenuti di Paola, appare quantomeno inopportuno che lo stesso, proprio all’istituto penitenziario di Paola, doveva essere trasferito».
MOVENTE, TENTATO OMICIDIO E RESPONSABILI Secondo l’accusa dal racconto col padre dell’ex detenuto la direttrice sarebbe stata posta nelle condizioni di individuare gli elementi del reato in danno di Morabito e acquisire ogni altro dato utile per la formazione della relativa denuncia. Il padre avrebbe riferito il movente (il favore chiesto e che il figlio si era rifiutato di fare), il primo tentativo di ucciderlo, indicando anche l’identità dei responsabili della morte del figlio (tra gli occupanti la cella). Una volta appresi questi elementi – si legge nell’ordinanza – la Longo avrebbe dovuto notiziare immediatamente l’autorità giudiziaria. E’ pur vero – scrive il gip – che dalla conversazione emerge che un procedimento penale sulla vicenda era stato già instaurato, o comunque vi era stato un intervento dell’autorità giudiziaria (i due fanno riferimento a un esame autoptico e al magistrato di turno) ma quanto riferito alla donna dal padre di Morabito sono elementi nuovi e ulteriori (movente, dinamica del primo tentativo di omicidio, identità dei responsabili), elementi che senza dubbio avrebbero dovuto essere riversati in un’apposita segnalazione all’autorità giudiziaria».
Stamani, nelle cinque ore di interrogatorio di garanzia, secondo quanto riferito dal legale, avvocato Giacomo Iaria, la Longo ha risposto alle domande anche su questa vicenda, respingendo l’accusa anche su questo capo d’accusa e spiegando di avere inteso le parole del padre dell’ex detenuto solo come uno sfogo. (redazione@corrierecal.it)
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