di Francesco Donnici
AFRICO I cattivi e i buoni, la partenza e il ritorno, il fuoco e la montagna, sono spesso questioni di prospettiva. O meglio, forse, di narrativa. Nel tempo, un racconto stereotipato che in pochi si sono sentiti di contraddire, è divenuto la disgrazia di alcuni luoghi.
Anche per questo c’è qualcosa di rivoluzionario nell’idea di piantare i germogli della rinascita proprio in quelle terre a lungo percepite come «luoghi del male». E se in Aspromonte e nella sperduta Africo è possibile pensare una rivoluzione, allora la speranza si spargerà ovunque.
Da circa dodici anni quest’idea anima un gruppo di persone che attraverso appelli ed iniziative ha chiamato a raccolta da tutta la regione quanti volessero avere una conoscenza diretta delle terre di Aspromonte, per produrne la propria narrazione, senza alcun filtro. Sono questi i ragazzi dell’associazione “Insieme per Africo” e prima ancora i componenti di un gruppo molto più vasto ed eterogeneo, che ai riflettori luminosi ha preferito le idee illuminanti.
Tra questi Gioacchino Criaco, scrittore e volto noto dell’iniziativa, che al Corriere della Calabria ha raccontato della «resistenza aspromontana» e di come «Africo stia cercando di mostrare le vie della rivoluzione».
CONOSCERE I LUOGHI PER PRODURRE E NON PER CONSOLARE «Il nostro è da tempo un lavoro sotterraneo, fatto di amici, giornalisti, scrittori e attori che negli anni abbiamo portato in Aspromonte affinché potessero vedere coi loro occhi questa terra e raccontarla dopo averla conosciuta». L’Aspromonte, per Gioacchino Criaco, è la metafora perfetta di una Calabria «spesso raccontata attraverso una narrazione che corrisponde allo stereotipo». E una terra, quale che sia, nell’impossibilità di essere visitata, si riduce al racconto che ne viene fatto.
Secondo Criaco «”giusta narrazione” non significa edulcorare la realtà o fare una cartolina della propria terra. Giusta narrazione è dire le cose come stanno, anche con verità spietate; con un racconto che spesso può risultare addirittura più duro rispetto alla realtà».
La Calabria è un quadro che va raccontato in tutte le sfaccettature dei suoi chiaroscuri. «Se non omettiamo parti del racconto, conosceremo davvero questa terra e scopriremo che c’è chi la tradisce, ma anche chi lotta, come noi». Un’operazione che non permette di fermarsi alla superficie: «Conoscere davvero un posto significa conoscere un popolo, la sua cultura, e da lì progettare il futuro. La conoscenza serve per produrre e non per consolare». Così è nato il progetto.
AFRICO MOSTRA LE VIE DELLA RIVOLUZIONE L’Aspromonte è oggi scenario di scritti, film e produzioni in molti casi partiti da quest’iniziativa giunta alla sua terza edizione. Anche quest’anno l’appello è stato in grado di riunire quanti volessero condividere con altri la loro idea di “rinascita”.
«La rivoluzione vera – continua Criaco – è stata partire da un posto come Africo, che nell’immaginario di molti rappresenta qualcosa di oscuro. Se dimostri che anche nella parte all’apparenza più incancrenita di questo territorio si può fare qualcosa, allora anche le altre zone avranno speranza».
Da qui l’idea di eventi ed incontri «ai quali non partecipano gli africoti, ma tante persone da tutte le parti della Calabria». Nessun invito e nessun proclama, solo una scelta: «Venire ad Africo significa guadagnare l’Aspromonte con fatica, dopo lunghi viaggi alimentati dalla volontà di confrontarsi e mettere le proprie idee a disposizione degli altri».
E una rivoluzione che si rispetti, non può partire dalle nostalgie dei tempi andati o di quello che poteva essere: «Qui si viene per parlare della visione della Calabria futura. C’erano persone che sognavano, ma anche persone in grado di trasformare quei sogni in realtà».
Criaco si definisce «solo uno dei partecipanti» rimarcando i meriti dei ragazzi dell’associazione “Insieme per Africo”: «Ogni anno curano la logistica e stanno sempre lì a disposizione di tutti. Grazie a loro, anche in questo periodo complesso abbiamo avuto l’opportunità di realizzare quello che penso sia stato l’evento socialmente e culturalmente più importante per questa regione nel 2020».
LA MONTAGNA, IL MARE E I BENI ARCHEOLOGICI Progettare il futuro significa ripensare le risorse di questa terra. I calabresi negli anni si sono dimostrati incapaci o poco lungimiranti in questo senso: «Il problema non è la mancanza di risorse, ma di idee».
Abbiamo la montagna, ma in realtà non l’abbiamo. «Se non siamo capaci di sfruttarla economicamente allora è come se non l’avessimo. La montagna – aggiunge – non è un giardino da vedere da una vetrata, ma un luogo da curare come fosse nostra madre; è una mammella da cui bisogna succhiare il latte perché la sua funzione è quella: dare la legna, l’acqua e il turismo. La montagna rivive se si ricostruiscono i borghi, ma se vogliamo che la gente resti ci devono essere le scuole, i presidi sanitari e una viabilità non invasiva, ma fruibile».
Intanto l’Aspromonte, la Sila e gli altopiani calabresi continuano a bruciare. «Non abbiamo il personale che se ne prende cura. Il sistema degli operatori forestali è stato un fallimento perché fondato su una serie di assunzioni clientelari. Più volte abbiamo detto che il Parco dell’Aspromonte dovrebbe avere un proprio corpo antincendio che potrebbe essere formato dagli operai di montagna a lavorare: faremmo davvero qualcosa di rivoluzionario».
Abbiamo il mare, ma in realtà non l’abbiamo. «In Calabria abbiamo un’acqua colore smeraldo dove all’improvviso arrivano delle chiazze di melma. I depuratori non funzionano e forse non hanno mai funzionato. I manufatti turistici come lidi, chioschi e ristoranti non funzionano e comunque manca un progetto di sviluppo turistico».
Abbiamo le risorse e i beni archeologici, ma non le abbiamo. «A Casignana abbiamo sopra la sabbia solo il 10% del patrimonio archeologico che quel sito potrebbe offrire. A Monasterace abbiamo dovuto fare una battaglia per avere almeno una parte degli scavi aperta al pubblico ad agosto, riuscendo ad ottenere una settimana. Sibari è coperta di fango. Abbiamo i draghi, i delfini e gli ippocampi ma li teniamo sotto la sabbia. Dobbiamo reimpossessarci di quelle risorse che adesso sono preda di qualche politico che fa gli eventi, ma non sono nostre, né del mondo».
E sempre a proposito di turismo, quest’anno la Calabria più che di se stessa ha fatto parlare in termini di marketing, ma i risultati non sono stati quelli sperati. La ripartenza è stata così caratterizzata dall’immagine di una terra Covid-free, costellata di spiagge esotiche e acque cristalline, frequentata da molti Vip. «Questa, per la Calabria, è una pubblicità terribile ed esiziale. Questa terra non ha bisogno di Vip demodé per sembrare più bella: è chi viene che è intelligente a godere delle sue bellezze». Dati alla mano, il settore turistico-alberghiero ha chiuso con un – 60% a luglio e potrebbe chiudere agosto con un -40%. «Il turismo è la principale risorsa di questa regione, ma è peggiorato rispetto agli anni passati e continuerà a peggiorare. Ci siamo raccontati chiacchiere facendo i fighi sotto l’ombrellone, ma la viabilità, la sanità e tanti altri servizi sono rimasti immutati».
LE AREE INTERNE, LO SPOPOLAMENTO E I GIOVANI Per un Vip che viene in vacanza, decine di giovani continuano ad emigrare. «Vedo a raffica passare i pullman che portano via i nostri ragazzi perché non hanno la possibilità di scegliere se rimanere o partire; sono costretti».
Criaco sottolinea però come la decisione di tornare o rimanere entro i confini della regione non possa ridursi ad uno slancio emozionale: bisogna creare le condizioni per permettere ai giovani di scegliere. «Non facciamo una narrativa del ritorno, ma ripensiamo questa regione. Il senso di Africo è questo. Lo dico in maniera priva di colore o pregiudizio politico: non possiamo continuare ad affidare la Calabria a chi non frega niente del suo futuro. I calabresi reali, non gli ologrammi, vorrebbero questo».
Una cattiva tendenza rispetto alla quale nessuno può dirsi privo di colpe: «I calabresi sono troppo avvezzi a chiedere il favore. Chi va ad Africo vuole una Calabria diversa, di resistenza e di lotta, perché non ci sta più a questo gioco. Se le cose non cambieranno subito, tra una decina d’anni la Calabria non esisterà più». Nel frattempo ci sono zone che già adesso rischiano di essere depennate dalla cartina. Sono le aree interne e i borghi “intrappolati” sugli altopiani della regione e sempre più pregiudicati da mancanze che producono spopolamento: «Negli anni, anche con l’aiuto dell’Università ed altri Enti, siamo riusciti a fare ad esempio una mappatura di Africo per giungere ad un progetto di fattibilità e capire quanto si può recuperare del paese e quanto no».
Per recuperare bisogna investire e una parte consistente potrebbe arrivare dal Recovery Fund: «Con queste risorse si può pensare a un ripopolamento, ma bisogna creare una lobby di pressione affinché i soldi arrivino per realizzare certi progetti e non finiscono nelle solite tasche. La nostra iniziativa non si rivolge solo a dare idee e progettare, ma anche a vigilare. Dobbiamo essere presenti altrimenti diventiamo complici di questi scempi, com’è già stato in passato. Questa è la resistenza». (redazione@corrierecal.it)
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