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La stagione del fuoco. Business dietro i roghi d’estate

In due mesi si sono registrati oltre 3.600 incendi in Calabria. Un rito che si ripete da tempo nella regione dove ogni anno vengono distrutti migliaia di ettari di boschi. A guadagnarci clan, specu…

Pubblicato il: 02/09/2020 – 7:26
La stagione del fuoco. Business dietro i roghi d’estate

di Roberto De Santo
CATANZARO Migliaia di ettari di boschi che vanno in fumo ogni anno. Fiamme che divorano alberi secolari accanto ad arbusti distruggendo lentamente il polmone verde che caratterizza la Calabria. Il bilancio di ogni giorno degli incendi che si susseguono sul territorio restituisce una quadro disarmante e se vogliamo fotocopia. Si perché il giorno successivo sicuramente si svilupperanno altri roghi simili in altre aree della regione. Sila, Pollino, Aspromonte, Serre o Appennino la linea del fuoco non risparmia nessuna zona montuosa che disegna la Calabria.
Ogni anno questa liturgia criminale – perché la regia per gran parte dei roghi è legata ad un intervento volontario dell’uomo a cui si somma il caldo torrido frutto dei cambiamenti climatici e l’azione del vento – si ripete inesorabilmente con l’arrivo della stagione estiva. La stagione del fuoco. Ed anche l’estate in corso – l’anno della pandemia – non si è sottratta a questa regola. Nonostante il dispiegamento di forze messo in campo per fronteggiare le fiamme. Un lavoro duro e costante garantito da vigili del fuoco, uomini della protezione civile e di Calabria Verde per contrastare questo vero e proprio assedio al territorio.

I DATI Dall’inizio di luglio ad oggi si sono registrati oltre cento incendi al giorno. Complessivamente, stando ai dati che arrivano dalle sale operative del Servizio antincendio boschivo di Calabria verde, i roghi che si sono sviluppati in questo lasso di tempo sono stati 3.600. Secondo l’ente in house della Regione (che ha tra i suoi compiti oltre che contrastare gli incendi quello di mapparne la situazione), le aree più colpite dai roghi dell’estate sono state quelle reggine. Le fiamme hanno volta dopo volta interessato le zone montane dell’Aspromonte: Bagaladi, Rogudi, Bova, Melito di Porto Salvo, Condofuri, Roccaforte del Greco. In questi comuni si sono contati più di ottanta focolai tra luglio ed agosto che hanno distrutto tutto. Lasciando dietro di sé una densa coltre di fumo e devastazione.
Un assedio che sta colpendo al cuore il Parco naturale dell’Aspromonte e che ha portato il suo presidente, Leo Auteliano, a lanciare nei giorni scorsi un grido disperato d’aiuto. Ma quello che sta accadendo in questi giorni in Calabria è una storia che si ripete, dicevamo, ogni anno. Ogni estate. Nel 2016, secondo uno degli ultimi report di Legambiente dedicato al fenomeno – “Dossier incendi” – sono stati 5.826 gli ettari di bosco interessati dalle fiamme in Calabria. Seconda regione più colpita in Italia dagli incendi. Dieci anni prima – nel 2006 – la superficie totale interessata dagli incendi era stata pari a 7.955 ettari. Anche in quell’anno la Calabria conquistò il non felice secondo posto nella classifica delle regioni devastate dalle fiamme e il primato per numero di incendi: 983.
LE MANI SUL BUSINESS DEI ROGHI Dunque, quello che si sta verificando in questa torrida estate del 2020 non è altro che uno dei tanti capitoli di una storia lunga fatta appunto di fiamme, fumo e tanto business.
Spesso in Calabria infatti le fiamme e il fumo tra i boschi delle proprie montagne fanno rima con l’odore non acre dei soldi.
È più di un’indagine della magistratura a fare luce su quello che si nasconde dietro quei roghi. Da qui il dubbio che anche dietro i roghi di quest’estate si nasconda la stessa regia. Una regia, dicevamo, criminale che spinge le mani di uomini fidati delle cosche – e non solo – ad appiccare il fuoco nei loro stessi territori. Una delle ultime inchieste della Distrettuale antimafia di Catanzaro – l’operazione Imponimento – racconta il sistema degli appalti boschivi che passa proprio attraverso il controllo strettissimo dei territori montani. A qualsiasi costo. Gli inquirenti hanno disvelato in quell’inchiesta gli interessi della cosca Anello – che stringe nelle sue mani Filadelfia, nelle Serre Vibonesi – per il business dei tagli boschivi. Quelli che spesso vengono autorizzati tra le montagne calabresi per bonificare le aree distrutte nel corso dell’estate dai roghi. Centrale nell’attività del clan Anello-Fruci lo sfruttamento del settore boschivo, «attraverso l’imprenditore di riferimento, Nicolas Monteleone, uomo di fiducia di Rocco Anello, che aveva creato un collaudato meccanismo collusivo di rotazione nell’aggiudicazione delle gare relative agli appalti boschivi, posto in essere attraverso turbative d’asta e illecita concorrenza sleale, grazie all’appoggio di amministratori e tecnici comunali».
C’è anche l’operazione “Luce nei boschi” che chiarisce quei sistemi e quella divisione del territorio in termini militari. Confini tra clan che si dividono le risorse verdi. «…Praticamente funziona così – racconta il collaboratore di giustizia Enzo Taverniti spiegando il meccanismo di divisione degli appalti – chi presenta per primo la busta, viene chiamato e non fanno presentare nessuno ad aprire la busta. Quindi automaticamente i boschi restano a queste persone qua».
C’è poi l’inchiesta condotta qualche anno addietro sempre dalla Dda del Capoluogo sulla gestione dei boschi del Cosentino. Soprattutto in Sila. L’operazione “Stinge” che nel 2018 disarticolò la cosca Farao-Marincola descrisse come l’intera filiera del legno in questo territorio fosse appannaggio dei clan.
Ma anche nell’azione dei piromani si svilupperebbe l’attività di controllo di quella filiera. Grazie appunto agli incendi i clan potevano poi partecipare e vincere appalti dedicati all’«imboschimento e creazioni di aree boscate», per la «prevenzione dei danni da incendi e calamità naturali», per il «ripristino delle foreste danneggiate», per gli «investimenti diretti ad accrescere il pregio ambientale degli ecosistemi forestali», nonché per gli «interventi in tecnologie forestali, trasformazione, mobilitazione e commercializzazione prodotti forestali».
Dunque fiamme che generano affari. Che i clan non si lasciano sfuggire.
Appunto il fuoco aiuta “qualcuno” con buona pace di quanti – i calabresi – viceversa hanno da perdere tantissimo: il futuro dell’oro verde delle loro montagne. (r.desanto@corrierecal.it)

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