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Storia di Mimmo “il fuorilegge”. «Dalla mia terra ho ereditato il sogno di riscatto»

In uscita il libro che racconta la storia di Riace attraverso gli occhi di Domenico Lucano. Il ragazzo cresciuto nella «Calabria dei preti, dei santi e dei mafiosi». Il sindaco che scelse di disobb…

Pubblicato il: 03/09/2020 – 7:04
Storia di Mimmo “il fuorilegge”. «Dalla mia terra ho ereditato il sogno di riscatto»

di Francesco Donnici
RIACE
«Ogni volta che ho guardato il mare tenendo i piedi nell’acqua, ho avuto una certezza: chiunque bussi alla nostra porta, che sia un miserabile, un profugo o un viaggiatore, rappresenta l’unica salvezza per il mondo intero, la sola speranza contro la violenza della storia».
Ci salvano gli altri, e gli altri ci condannano. Basta un attimo e tutto cambia: un giorno finisci su una delle più importanti riviste al mondo tra i 50 personaggi più potenti e il giorno dopo sei agli arresti domiciliari. Il paradosso è che le ragioni che ti incoronano e ti affossano sono pressoché le stesse.
«Tutto nasce con il vento», che soffia sulle vele delle navi conducendole chissà dove.
Mimmo Lucano decide di raccontare la sua storia in una versione quasi inedita. Non più la narrazione delle relazioni della Prefettura o delle requisitorie delle Procure; non più racconti o articoli sognanti che lo assumono come simbolo. “Il fuorilegge” è il libro edito da Feltrinelli e scritto in collaborazione con Marco Rizzo, per raccontare la storia dell’uomo, vissuta attraverso i suoi occhi, le emozioni e i sentimenti.
Da qui il sottotitolo: “la lunga battaglia di un uomo solo”, quasi a rappresentare il vuoto intorno al rumore creatosi in questi anni, mentre il “borgo dell’accoglienza” provava a rinascere. Una battaglia politica, sociale e poi giudiziaria, come si legge, riga dopo riga, già nelle prime battute del testo: «Prima di diventare sindaco, e molto prima che “la crisi migratoria globale” si rivelasse l’evento decisivo della nostra epoca, ho accolto il sogno di riscatto che ho ereditato dalla mia terra. Non conto più gli errori che ho commesso, ma so che non avrei potuto agire altrimenti. Non sono mai stato capace di guardare con gli occhi di chi esclude. Non sopporto i privilegi e le discriminazioni».
Il libro è un racconto di esperienze e persone, le tante che si sono avvicendate in questi anni. Alcune concluse, altre scomparse, altre ancora da iniziare in un contesto che «si spegne dall’interno, dove si emigra e c’è forte rassegnazione».
IL PROFESSORE CHE DIVENNE SINDACO Quel giorno di fine anni 90, Domenico Lucano, il professore di chimica, stava andando a scuola quando vide un veliero pieno di persone provenienti dal Kurdistan che si avvicinava alle spiagge della Locride. Ce l’aveva forse scritto nel destino, “Mimmo ‘u Curdu”, come lo chiamavano. Quello può essere identificato come l’inizio di tutto.
«Da essere umano ho pensato a cosa si potesse fare per dare una mano, per aiutarli». Il primo pensiero fu quello di accogliere gli immigrati negli alloggi abbandonati del paese. Abitazioni appartenenti agli emigranti calabresi, che a poco a poco stavano lasciando il borgo ormai prossimo al totale spopolamento. Già da prima, l’associazione “Città Futura” stava portando avanti l’idea di riqualificare quelle abitazioni per rilanciare il borgo attraverso il turismo. Quel veliero portò qualcosa di più: la possibilità di salvare vite umane si legò all’idea di far rinascere Riace attraverso un modello innovativo di accoglienza diffusa. Per la prima volta la Calabria non era terra di partenza ma di approdo.
Nelle mente di Mimmo Lucano prendeva forma «un’idea politica», ma non quella dei partiti e degli slogan: «Nella mia esperienza – si legge fin dalla prima pagina – ho capito una cosa: la politica che si trasforma in un puro esercizio di potere dimentica il sogno di emancipazione collettiva al quale il nostro diritto alla libertà ci chiama».
Così quella creatura inizia a crescere. Si istituzionalizza, prima con l’adesione del Comune al Pna (Piano nazionale asilo), poi con l’ingresso nei sistemi Sprar e Cas. Lucano nel frattempo è diventato sindaco: «Riace – racconta al Corriere della Calabria – era per me un esempio di orgoglio. Pensavo fosse così per chiunque, ma col tempo mi sono reso conto che non poteva esserlo per tutti». Inizia quindi un altro capitolo della storia.
IL SINDACO CHE DIVENNE “FUORILEGGE” A Riace è il 22 dicembre 2017. Le ispezioni della Prefettura di Reggio, guidata da Michele di Bari, si fanno sempre più fitte e impietose. Il Viminale minaccia la revoca totale dei contributi per l’accoglienza, cosa che decreterebbe la fine del modello e l’involuzione economica per un territorio dove anche i residenti ricominciavano a trovare opportunità economiche e lavorative.
Quel giorno, una ragazza di origine nigeriana che sta per affacciarsi alla maggiore età varca la soglia del municipio. Circa due anni prima era arrivata in Calabria a bordo di un gommone dopo essere scappata dal suo villaggio perché rifiutava di sposare un uomo che la sua famiglia voleva imporle. Dopo una serie di peripezie burocratiche era arrivata nel Cas di Riace. «A Riace, i Cas non erano grandi alberghi abbandonati e sfruttati dagli speculatori, né casermoni dove ogni senso di ospitalità veniva sacrificato a favore di asettici dormitori». Sognava di fare la parrucchiera. Stava imparando. Ma gli effetti dei decreti Minniti-Orlando si frapponevano tra lei ed il suo sogno. Dopo il terzo diniego di rinnovo del permesso di soggiorno avrebbe dovuto essere rimpatriata.
Era andata al Comune per rinnovare la carta d’identità. «Nel “Villaggio globale” – scrive Lucano – si era sparsa la voce che il progetto Cas stava per chiudere e lei, senza quel documento, avrebbe rischiato grosso, perché di lì a pochi giorni le sarebbe scaduto il permesso di soggiorno. Ai suoi occhi, quel pezzo di carta era la conferma di essere una persona, riconosceva la sua identità umana, non la qualificava come criminale, fantasma, clandestina». Il sindaco firmerà quel documento andando contro la legge: «Alcune cose – ci spiega – sono legate ad un atteggiamento istintivo, dell’anima. Non tutto può essere perfetto e inquadrabile. Io mi sono sempre impegnato per questi motivi, non per diventare un esperto di immigrazione».
Un atto di generosità comunque non bastato a Becky Moses per sottrarsi al suo destino. Costretta ad andar via da Riace viene ospitata in una delle baracche di San Ferdinando dove perderà la vita in un incendio. Vicino al corpo bruciato quella carta d’identità. San Ferdinando viene descritta da Lucano e molti altri come «una delle più grandi vergogne di questa regione» sulla quale alcuni interventi ci sono stati, «ma nessuno di questi era orientato a risolvere le cose».
Questa è la prima storia che viene raccontata nel libro e che di tutto il testo è anche la perfetta sintesi. Quell’incontro ispirerà Mimmo Lucano a prendere posizione nei confronti della Prefettura e del Viminale, arrivando nell’agosto 2018. «Quando Becky lasciò il mio ufficio, nel suo sorriso e nella sua disperazione trovai la forza per mandare una lettera molto dura al prefetto di Reggio Calabria. Scrissi che, dal quel giorno, il Comune di Riace non poteva più portare avanti le attività della gestione del Cas, perché mancavano le condizioni minime per garantire servizi essenziali e inderogabili».

DISOBBEDIRE ALLE LEGGI INGIUSTE: L’ARRESTO E LA RESISTENZA «La legge è legge e in quanto tale vincola. Ma può considerarsi legge una norma che supera un livello di ingiustizia tale da diventare intollerabile?» si chiedeva un celebre sociologo-politico tedesco nel 1946.
Nel 2018, ricostruendo quella ed altre condotte, la Procura di Locri apre il fascicolo dell’indagine “Xenia” che sfocerà nell’applicazione di una misura cautelare a Lucano insieme ad altre 26 persone. Nella requisitoria le accuse sono molteplici, ma le uniche resistite al vaglio del Gip sono “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” e “irregolarità nell’affidamento dell’appalto relativo al servizio per la raccolta dei rifiuti”. Lucano viene dapprima messo agli arresti domiciliari, revocati e convertiti in “divieto di dimora” dal Riesame dopo le richieste dei suoi avvocati difensori Antonio Mazzone e Andrea Daqua. Lascia Riace, il padre – che riuscirà ad abbracciare qualche settimana prima del suo ultimo saluto – ed assiste da lontano ed inerme alle “idi di Marzo” del borgo, sul piano sociale e su quello politico.
«Se in qualche modo Riace ha rappresentato un’avanguardia – scrive Lucano – è stato perché ha colto nelle contraddizioni di un sistema ingiusto un’occasione storica per la sua rinascita. Non abbiamo gestito i flussi, termine inaccettabile, non abbiamo pianificato modelli di sviluppo, perché non ne avevamo i mezzi, e non abbiamo risolto i nostri problemi. Abbiamo solo rivendicato l’appartenenza a un ideale, al fianco degli stranieri, dei nuovi cittadini, perché questa sfida riguarda tutti, e non può essere altrimenti. La globalizzazione delle migrazioni è un fenomeno inarrestabile e la politica dei campi di internamento, dei respingimenti, della stretta normativa non può trovare alcun esito positivo».
La sfida è ancora tutta in divenire e va combattuta insieme, trovando quella coesione che spesso in queste zone manca. «Riace non si è spenta. Era nata una storia, contaminato un luogo e il “Villaggio Globale” è rimasto e continua a rappresentare un’esperienza che è ancora realtà».
Il racconto della Riace di oggi è la fotografia dell’accanimento del potere e dei paradossi della legge.
L’ultimo capitolo è però anche trasposizione di una resistenza mai tradita da parte del «sindaco di sinistra senza partito», figlio di una terra spesso acerrima nemica di se stessa perché capace di amare, acclamare, odiare, arrestare e rimpiangere l’uomo, che rimane tale oltre ogni simbolo.
La prima presentazione del libro, che vedrà anche la partecipazione dello stesso Lucano e di Pietro Melia, si svolgerà all’anfiteatro del lungomare di Soverato nell’ambito della rassegna “Kalibri d’autore” il prossimo 5 settembre. (redazione@corrierecal.it)

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