A San Giovanni in Fiore si vota per il Comune il 20 e 21 settembre prossimi. Lì si registra un ritorno al nome e al simbolo del «fiore», presente in più liste di candidati alla carica di consigliere comunale. Non so quanto questo sia meditato, ma la scelta è intanto di marketing politico.
In un articolo pubblicato nel 1932 su Le Voile d’Isis, scrisse René Guénon: «Per quanto riguarda le nuove annotazioni fatte da Valli, e che aprono la possibilità di nuove ricerche, una di queste riguarda i rapporti fra Gioacchino da Fiore ed i “Fedeli d’Amore”: Fiore è uno dei simboli più usati, nella poesia di quest’ultimi, come sinonimo di Rosa, e con il titolo di Fiore è stato scritto un adattamento italiano del Roman de la Rose, da un fiorentino chiamato Durante, che quasi sicuramente è lo stesso Dante (…). D’altra parte, la denominazione del convento di San Giovanni in Fiore, da cui Gioacchino da Fiore prese il suo nome, non figurava in nessun posto prima di lui; fu lui stesso a dargliela? E perché scelse questo nome? Cosa notevole, Gioacchino da Fiore, nelle sue opere, parla di una “vedova” simbolica, esattamente come Francesco da Barberino e come Boccaccio, che appartenevano entrambi ai “Fedeli d’Amore”».
Qui bisogna dire dei «Fedeli d’Amore», posto che l’espressione ci porta a Dante Alighieri, che a costoro inviò, si legge nell’Enciclopedia Treccani, il sonetto “di programma” «A ciascun’alma». Secondo Luigi Valli, critico letterario e docente universitario vissuto tra il 1878 e il 1931, la formula «Fedeli d’Amore», «è stata assunta – precisa la Treccani – come nome di un’associazione segreta, di cui sarebbero partecipi tutti o quasi tutti i lirici italiani delle origini, assertrice di un ideale programma di rinnovamento della Chiesa e di tutta la società cristiana; programma che non si potrebbe senza rischio di gravi persecuzioni o repressioni apertamente proclamare; per cui, necessariamente, i partecipi della setta devono ricorrere a un “linguaggio segreto”, una specie di gergo massonico, comprensibile solo agl’iniziati».
Non è questo il luogo per soffermarci sui richiami di Dante a Gioacchino, che sono molteplici e significativi, nella Divina Commedia. Ci sarebbe da riferire della comune visione apocalittica e del ricorso “proiettivo” di entrambi a immagini, simboli, numeri; derivante, secondo il Valli, dalla loro appartenenza a una comune tradizione sapienziale ed esoterica, che per il filosofo Gianni Vattimo ha, sia pure in base ad una linea interpretativa differente e autonoma, finalità di emancipazione sociale. Disse il padre del pensiero debole, intervenendo al VI Congresso internazionale di Studi gioachimiti: «Come si può esplicitare, documentare, articolare meglio la analogia tra la condizione storica di Gioacchino e la nostra (di Heidegger), che nell’ipotesi sono determinanti per la “scoperta” dell’essere come evento? E: quali che siano i tratti concreti dell’epoca in cui diventa pensabile l’essere come evento, non sarà essenziale che, sia Gioacchino sia Heidegger, la pensino in termini apocalittici, cioè come epoca “finale”? Non c’è dubbio che presso Gioacchino il tratto apocalittico della terza età è pensato anche, benché non soltanto, nel senso tragico che il termine ha sempre avuto nel linguaggio comune – l’apokalypsis–rivelazione accade alla fine di un periodo di violenza, di guerre e stragi sanguinose».
Cerchiamo allora di semplificare. Per le Comunali di San Giovanni in Fiore ci sono diverse liste elettorali con il nome e il simbolo del «fiore», proprio di una tradizione sapienziale e spirituale che – secondo il Valli – riunirebbe Gioacchino da Fiore e Dante Alighieri, fatta di figure e concetti complessi quanto nascosti, elementi di un linguaggio criptico funzionale alla riforma progressiva della Chiesa e della società cristiana. La dottrina e l’opera dell’abate florense si basano sull’interpretazione-rivelazione dei «segni dei tempi». Al di là degli aspetti filologici, Vattimo ne propose una sua lettura filosofica (e politica), accostando la filosofia-teologia di Gioacchino all’ontologia di Martin Heidegger. Non solo: nel 2005 l’intellettuale italiano scelse di candidarsi come sindaco di San Giovanni in Fiore, affascinato dall’«escatologia florense» e spinto dalla chiamata – da parte di un gruppo di giovani, tra cui il sottoscritto, allora ragazzo – all’impegno politico diretto, nell’ambizioso tentativo di concretizzare o “attualizzare” la profezia di Gioacchino su «Fiore», cioè – riassumemmo nel 2004 – «il luogo della Sila da cui, per l’Abate, sarebbe incominciata l’“età” dello spirito, della concordia, della pace».
Allora non c’erano il Covid, l’emergenza sanitaria, il crollo verticale del Pil e dei consumi. Non c’era l’attesa disperata del Recovery Fund, eravamo ben lontani dalla crisi finanziaria ed economica del 2008 e non era stato ratificato il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria. Ancora, il pareggio di bilancio non era stato introdotto “di rapina” nella Costituzione, oggi sottoposta alla riforma (pretestuosa) del taglio dei parlamentari. Inoltre, non era arrivata la legge elettorale cosiddetta «Porcellum», poi sostituita dal «Rosatellum», infine rivisto. Il web 2.0 si sarebbe imposto molto più avanti, accompagnato dall’uso politico delle tecniche pubblicitarie, dalla deriva verticistica della politica, peraltro ridotta a leaderismo, a slogan, a manipolazione mediatica dell’immaginario collettivo.
In breve, il momento è fin troppo delicato e incerto: a livello mondiale, europeo, nazionale, regionale e locale. In tale contesto, nella San Giovanni in Fiore «Capitale della Sila» si rispolverano – sull’onda di un territorialismo sganciato, a differenza di quello degli inizi del 2000, dalla riscoperta delle identità locali – le radici florensi, di cui il «fiore» è, appunto, rappresentazione ed evocazione. I vari candidati locali rammentano o rammenteranno il motto dell’Ordine florense di Gioacchino, «In flore iudicia tua cognoscuntur», che significa «I tuoi intendimenti, i tuoi propositi, si riconoscono, sono svelati nel fiore»?
Intanto, ricordiamo una storia importante ai 7 aspiranti sindaco di San Giovanni in Fiore e ai 214 candidati per un posto in Consiglio comunale. Tramite i francescani spiritualisti, il pensiero e il messaggio profetico di Gioacchino da Fiore approdarono nelle Americhe, fino a costituire la base per l’edificazione di città come Puebla de los Ángeles, che ha lo stesso tracciato urbanistico e gli stessi toponomi gioachimiti di San Giovanni in Fiore. In Messico, in particolare, il gioachimismo fu la dottrina grazie a cui si sviluppò una società mista formata da spagnoli e indigeni, nella direzione dell’eguaglianza e della giustizia sociale. Annotino Jole Santelli e l’assessora regionale alla Ricerca, Sandra Savaglio, perché della Calabria è essenziale dare un’altra narrazione, in primo luogo fondata sulle proprie risorse culturali, evitando astrazioni, strafalcioni – tipo «allievo di Le Cournusier» con cui la presidente della Regione ha di recente definito l’artista Nik Spatari – e rinunciando alla perpetuazione dell’assistenzialismo, che a San Giovanni in Fiore (e non solo) ha prodotto diffusa pigrizia, dipendenza dalla politica, emigrazione di massa e spopolamento crescente.
*giornalista
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