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Giustizia al collasso, Gratteri: «Altro che smart working, da casa non possiamo lavorare»

Il lockdown ha svelato l’inadeguatezza dell’informatizzazione negli uffici giudiziari. Le soluzioni a portata di mano (ma inascoltate dai governi) proposte già nel 2014 dal procuratore di Catanzaro

Pubblicato il: 08/09/2020 – 7:21
Giustizia al collasso, Gratteri: «Altro che smart working, da casa non possiamo lavorare»

ROMA Il pachidermico sistema Giustizia ha subito un ulteriore, grave rallentamento durante il lockdown. La giungla dei provvedimenti giudiziari l’hanno raccontata, lunedì sera, a Presa Diretta, su Rai3. Ospite di Riccardo Iacona è stato il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, già a capo, nel 2014, della Commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta alle mafie.
SE NON SI INVESTE IN INFORMATIZZAZIONE «Negli ultimi decenni chi è stato al governo non ha investito in informatizzazione», esordisce il procuratore. «Faccio un esempio pratico – dice –, ogni volta che noi eseguiamo 100/150 arresti spendiamo mediamente 40/50mila euro in carta, toner e forza lavoro». La soluzione proposta – una delle tante mai prese in considerazione dai governi che si sono succeduti – dalla Commissione Gratteri riguardava l’adozione di tablet. «A ogni detenuto, ogni volta che entra in carcere – spiega il magistrato –, si dà un tablet nel quale c’è l’ordinanza di custodia cautelare. Questo tablet può solo ricevere». Ad ogni nuova notifica all’indagato/imputato tutto arriva su questo tablet. «Quando finisce la pena si passa dall’ufficio matricola e si restituisce il tablet, il contenuto del quale lo si inserisce su una penna usb o su un cd. Il tablet si “pulisce” e viene messo a disposizione di un nuovo detenuto». 
Sarebbe un bel risparmio anche per le notifiche, visto che ogni giorno in Italia, spiega Gratteri, ci sono 4000 carabinieri «che fanno i messi notificatori anziché fare i carabinieri, cioè contrasto alla criminalità organizzata». Tante cose ancora potrebbero essere fatte «se vi fosse un’informatizzazione proporzionata al 2020», dice Gratteri. «Con lo smart working abbiamo visto quanto fosse farraginoso il sistema informatizzato», precisa il capo della Dda di Catanzaro. Iacona ricorda che tutte queste proposte erano già state fatte nel 2014, quando Renzi aveva chiamato Gratteri a coordinare la famosa Commissione. È passato un solo articolo: quello sul processo a distanza. Il resto del sistema Gustizia non riesce proprio a sincronizzarsi al 2020.
UN PO’ DI CORAGGIO Sarebbe servito un po’ più di coraggio, secondo Gratteri, anche da parte dei magistrati: «Per esempio Tiap (trattamento informatico atti processuali, ndr) è un sistema che funziona e che permette di digitalizzare tutti i fascicoli». Gli avvocati potrebbero accedere ai fascicoli di cui necessitano senza troppe lungaggini, «basterebbe sviluppare meglio il Tiap», dice Gratteri. Ma bisognerebbe digitalizzare, aggiunge Iacona, milioni di documenti, cosa che non è stata fatta.
Eppure le soluzioni per risparmiare tempo e spazio non sono impossibili. Gratteri spiega che esiste la possibilità di dotare gli archivi di armadi di nuova generazione capaci di ridurre di un terzo il volume dei fascicoli. In realtà, però, a monte andrebbe eliminata la carta.
«IN UFFICIO GIÀ DAL 12 MAGGIO» Dal 12 maggio del 2020 l’Ufficio di Gratteri «lavora al 100% del proprio potenziale. Io non ho fatto lavoro a distanza – afferma il magistrato – perché il sistema processuale e informatico delle Procure non consente il lavoro da casa. L’unica cosa che da casa si può fare è il controllo per la liquidazione delle fatture. Il resto non si può assolutamente fare: noi abbiamo lasciato a casa impiegati che, nella gran parte dei casi, non hanno lavorato anche se formalmente noi abbiamo detto che hanno fatto smart working. Ma dal 12 maggio le persone vengono a lavorare nel mio Ufficio perché io sono andato oltre le prescrizioni dell’Inail».
Iacona chiede se nella Procura di Catanzaro sono stati scannerizzati i documenti, operazione base senza la quale i programmi informatici sarebbero inutili.
«Noi abbiamo scannerizzato in tempo anche procedimenti con 270/300 faldoni», dice Gratteri.
Giorno 11 settembre partirà dall’aula bunker di Rebibbia la fase preliminare del processo “Rinascita-Scott” contro le cosche vibonesi, con 456 imputati. Da un anno e mezzo la Procura di Catanzaro, appoggiata dal presidente della Corte d’Appello Domenico Introcaso, chiede un’aula bunker degna di questo nome in Calabria. La soluzione è arrivata in tempi recentissimi ma non abbastanza in tempo per affrontare in Calabria la fase preliminare del processo. «Ci arriveremo», assicura il Procuratore di Catanzaro. (ale. tru.)

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