di Alessia Truzzolillo
SALERNO Turbamenti psicologici, deperimento fisico, la prostrazione dovuta all’isolamento. Sarebbero queste le cause che avrebbero portato il giudice, attualmente sospeso, della Corte d’Appello di Catanzaro Marco Petrini, a rendere dichiarazioni poi ritrattate nel corso delle udienze del 25 e 29 febbraio scorso. Dichiarazioni non da poco che coinvolgono personaggi non da poco: i suoi rapporti con l’avvocato Giancarlo Pittelli (imputato per concorso esterno in associazione mafiosa nel maxi-processo Rinascita-Scott) e con taluni suoi colleghi della corte d’Appello di Catanzaro (Cosentino, Commodaro e Bianchi). Non solo. Sul piatto ci sono anche le vicende Vrenna, Sculco e Cristiano sulle quali Petrini (difeso dall’avvocato Agostino De Caro) ha inteso rendere precisazioni dopo le dichiarazioni di febbraio. Per il resto il magistrato conferma tutte le altre dichiarazioni che ha reso e afferma di averne rese su altri fatti illeciti all’epoca ancora sconosciuti «che non sono state smentite». Petrini difende se stesso nel corso dell’udienza che lo vede imputato insieme al faccendiere Emilio Santoro e all’avvocato Francesco Saraco che, dopo di lui, hanno reso dichiarazioni spontanee. Il giudice deve difendere, prima di tutto, la propria credibilità fortemente minata da ritrattazioni che ad aprile lo avevano riportato in carcere.
Ma procediamo con ordine.
L’ISOLAMENTO NEL CONVENTO «Subito dopo il mio arresto il 15 gennaio – racconta Petrini –, ho maturato il proposito di rendere una sincera collaborazione e ricostruzione dei fatti. Sono cattolico, necessitavo di un pentimento autentico». Nel convento dei frati cappuccini di Giffoni, dove era stato posto inizialmente agli arresti domiciliari, l’imputato racconta di avere vissuto un periodo particolarmente difficile anche perché ha trascorso quasi tutta la seconda metà mese di febbraio scorso da solo, chiuso in una cella di clausura in quella che l’ex giudice descrive come «una situazione di totale isolamento e prostrazione morale». Agli interrogatori del 25 e 29 febbraio ha partecipato in condizioni di «turbamento psicologico e grave deperimento fisico che hanno fortemente inciso sulla mia capacitò di ricordo e sulla mia complessiva lucidità intellettuale. Non vi era nessuna intenzione, da parte mia, di rendere dichiarazioni mendaci nei confronti di alcuno, sentendomi in quelle circostanze confuso mentalmente e confuso psicologicamente. Solo da marzo in poi ho iniziato seguire in convento un frate confessore che per tutto il periodo quaresimale, fino a Pasqua, mi ha accompagnato in un intenso percorso spirituale con preghiera, penitenza e meditazione. In vista del mio rinnovamento interiore e della purificazione all’ultimo interrogatorio, il 17 aprile, mi sono presentato con la volontà di correggere e precisare le dichiarazioni da me rese durante gli interrogatori di fine febbraio».
RITRATTAZIONI Marco Petrini ammette di avere reso dichiarazioni non esatte rispetto ad alcune dichiarazioni con riguardo ai suoi rapporti con l’avvocato Giancarlo Pittelli e taluni suoi colleghi della corte d’Appello di Catanzaro (Cosentino, Commodaro e Bianchi). «All’epoca ero in attesa di interrogatorio per chiare alcuni punti su cui in precedenza avevo reso dichiarazioni errate», dice. «Intendevo correggere e precisare quanto affermato in ordine alle vicende Vrenna, Sculco e Cristiano. Dichiaro di non avere avuto mai alcuna intenzione di accusare falsamente qualcuno». Racconta che il nuovo arresto ad aprile è stato «traumatico e vissuto come un’ingiustizia». I primi 15 giorni li ha trascorsi in isolamento da Coronavirus. Ha chiesto anche una vista medica per questioni neurologiche «ma non mi venne dato la possibilità di farla». A giugno scorso sarebbe stato diagnosticato sulla sua persona un grave stress neuropsichiatrico ed è stato sottoposto a trattamento psico-farmacologico. «Tanto premesso – afferma Petrini – confermo le mie dichiarazioni auto ed etero accusatorie relative ai fatti oggetto delle presenti imputazioni avendo già reso sui medesimi un’ampia confessione, sempre confermata e mai ritrattata». Per garantire sulla sua credibilità il giudice afferma di avere reso dichiarazioni di natura collaborativa su altri fatti illeciti, all’epoca ancora sconosciuti, «che non sono state smentite». Ha ammesso di avere avuto contatti «di cui oggi mi vergogno» con soggetti di discutibile moralità «ma nei fatti ho solamente finto di assecondare le loro richieste mai dando seguito alle stesse. Preciso che ogni somma o oggetto ricevuto non ha mai inciso assolutamente sull’esercizio delle mie funzioni. Le decisioni che ho assunto sono sempre state corrispondenti al mio pensiero e alle valutazioni giuridiche dei singoli casi. Ho ascoltato le parole di Emilio Santoro ma alla fine ho agito sempre secondo scienza e coscienza. Ho solo fatto credere a tutti di tenere conto delle loro richieste però non ho mai tradotto in concreto le loro aspettative. Vale a dire che, ad eccezione della vicenda del dissequestro Saraco, non sono mai intervenuto in alcun procedimento».
Petrini cita ad esempio il caso di Antonio Saraco, padre di Francesco Saraco, accusato di estorsione e condannato anche in Appello da un collegio diverso da quello presieduto da Petrini. Per intervenire sul suo caso il giudice aveva assicurato che il processo sarebbe tornato indietro dalla Cassazione e il fascicolo sarebbe passato nelle sue mani. Ma erano tutte millanterie che lui sapeva non si sarebbero avverate.
IL PIANTO DI SARACO Racconta di avere fatto per suo padre Francesco Saraco (difeso dall’avvocato Bellamonica) accusato di corruzione in atti giudiziari per avere consegnato denaro e regali di varia natura a Petrini, tramite Santoro, per ottenere una sentenza favorevole per il proprio genitore accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Saraco (anch’egli sta collaborando con i magistrati di Salerno) ha ammesso tutti gli addebiti. Ha ammesso di avere commesso la corruzione «o mio padre moriva». Poi non ha trattenuto un lungo pianto che ha portato alla sospensione dell’udienza.
SANTORO, IL PRIMO A COLLABORARE Poche parole, quasi didascaliche. Emilio Santoro, difeso dall’avvocato Michele Gigliotti, ha affermato di essere stato il primo a collaborare con la giustizia e si è dichiarato pronto a rinnovare la collaborazione. Ha confermato quanto dichiarato fino ad oggi, senza ritrattazioni. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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