Ho letto della dichiarazione, resa dal ministro Roberto Speranza nel corso dell’incontro avuto con la Fnomceo di Bari, di utilizzare per il prossimo riparto del Fondo sanitario nazionale l’indice di deprivazione. Un importante criterio – che sostengo ininterrottamente come indispensabile dal 2002 – nei confronti del quale è, tuttavia, da registrare non solo un forte ritardo applicativo, ma un suo mancato inserimento organico in quella riforma del finanziamento della salute, pretesa dal federalismo fiscale lasciato a marcire da circa vent’anni dal suo esordio in Costituzione.
Dal 2001 in poi è stato un macello. Otto anni persi per attuarlo, con una legge delega 42/2009 sofferta che comunque è stata approvata, dando così il via al potere legislativo da esercitarsi a cura dell’Esecutivo. Altri due anni trascorsi per approvare i decreti delegati utili, in particolare il d.lgs. 68/2011 che avrebbe potuto determinare la svolta, che è stata invece rifiutata e boicottata dalle rovinose burocrazie ministeriali dell’epoca. La soluzione è presto detta: l’introduzione dei costi standard e fabbisogni standard che avrebbero mandato finalmente in soffitta la quota capitaria ponderata e il fondo sanitario nazionale.
Invece, di tutto di questo nulla. Ma si sa, la tutela della salute ha rappresentato da sempre la materia sulla quale fare tanto chiasso, per strappare gli applausi del momento destinati alla teoria in voga, salvo poi lasciare, nella pratica, tutto com’era prima, se non peggio.
È successo con i Lea. Istituti da 20 anni, scritti e riscritti con la lentezza dell’ippopotamo sonnolente e l’intenzione di lasciarli lì appesi ad un foglio di carta che nessuno ha mai reso realtà, nonostante l’obbligo costituzionale di renderli attivi su tutto il territorio nazionale.
Che dire ancora della perequazione, se non il nulla assoluto, fatta eccezione per la ripresa in extremis che ne ha fatto argutamente, sia dei Lep che della perequazione, il ministro Francesco Boccia a sostegno della sua recente bozza di legge sull’attuazione del cosiddetto regionalismo differenziato.
Mettere in moto tutto questo significherebbe dare finalmente il via ad una sanità e una assistenza sociale che avrebbero gli strumenti (i Lea), i numeri (i costi e i fabbisogni standard) e le metodologie per rendere questi ultimi adeguati (perequazione al 100%) per divenire ciò che sono mai state a causa dell’incuria di tutti i governi che si sono succeduti dal 2011. Quelli divenuti rei di aver messo dolosamente da parte l’occasione giusta per fare giustizia sociale.
Invero, la proposta del ministro di ricorrere al metodo degli indici di deprivazione socio-economici-culturali è da apprezzare. Ma non per suddividere il fondo sanitario nazionale, che è da sostituire subito con il fabbisogno standard nazionale da distribuire in quelli regionali. Bensì per determinare l’insediamento legislativo del criterio degli anzidetti indici nella valorizzazione dei fabbisogni standard regionali determinati attraverso i costi standard. Ciò per ognuno dei tre macrolivelli assistenziali, per l’appunto, eventualmente da implementare in relazione ai piani per emergenza, dei quali si è avvertita francamente la totale assenza.
Quindi, caro ministro Speranza, apprezzando da sempre la tua sensibilità politica e la tua caparbietà, vedi di dare (subito) una svolta decisiva al sistema della salute. Questo è quanto la comunità si attende, specie quella che aspetta da circa vent’anni l’applicazione della Costituzione.
Parola, di chi all’epoca ha contribuito a pensare e scrivere le sue regole attuative, quale esperto della Copaff dal 2004, specie quelle riferite all’ambito sociosanitario (ma non solo).
*docente Unical
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