CATANZARO Francesco Bevere non ha forse mai letto Corrado Alvaro. E alla sua vasta esperienza di grand commis manca un’esperienza tra il Pollino e lo Stretto. Al direttore generale del dipartimento Tutela della Salute nessuno ha mai detto che «il calabrese vuole essere parlato». Lui, infatti, ignaro del consiglio letterario, con i calabresi non ha nessuna intenzione di interloquire. E in questo è equanime: la sua porta è chiusa per tutti, che si tratti di sindacati, cittadini “comuni” o consiglieri regionali; le email rimangono senza risposte; i dirigenti vengono a mala pena ascoltati. Bevere, che prima dell’arrivo in Calabria ha guidato Agenas e, prima ancora, ha avuto un posto da super manager al ministero della Salute, ha chiesto ampi poteri e amplissimo stipendio per dedicarsi alle cure della sanità calabrese. Li ha ottenuti, è sbarcato al Sud in una sorta di ticket politico-burocratico assieme al segretario generale Maurizio Borgo e, una volta nominato, ha attirato su di sé le malignità classiche da Cittadella regionale. «Vedrete, non ci sarà mai», «guiderà il settore dalla delegazione romana», dicevano i suoi aspiranti detrattori. Che sono stati smentiti: Bevere, a parte una decina di giorni a cavallo di Ferragosto, non si è mosso dal proprio ufficio. Il guaio è che quasi nessuno lo ha visto, quasi nessuno riesce a parlare con lui o a ottenere risposta per iscritto. Arroccato in dipartimento, il super manager ha scontentato i consiglieri regionali anche con la mancata risposta a una convocazione della scorsa settimana.
L’unico a lamentarsene pubblicamente, almeno finora, è stato il consigliere di opposizione Francesco Pitaro. Mentre la commissione Sanità discuteva dell’indennità integrativa negata (di cui si chiede addirittura la restituzione, ndr) dall’Asp di Catanzaro per il personale del 118, Bevere – invitato a confrontarsi con i consiglieri – non c’era. Assenza «da stigmatizzare – secondo Pitaro –. Avrà avuto impegni sopravvenuti, ma non è superfluo ricordare che le emergenze sanitarie richiedono a tutti la massima responsabilità, e che non ottemperando alle convocazioni delle Commissioni, si viola lo Statuto e il Regolamento del consiglio regionale». Una critica dall’opposizione, si dirà. Ma i consiglieri di maggioranza mugugnano, anche se non hanno protestato ufficialmente. Non ancora, almeno.
Il fatto è che la politica delle porte chiuse preoccupa e non poco, in una fase così delicata, con la Calabria che aspetta chiarezza sull’aumento dei posti di terapia intensiva, sul prossimo autunno da affrontare con lo spettro dell’emergenza Covid. E se è vero (e Jole Santelli lo ha rimarcato in una lettera al ministro Speranza) che il governo ha, di fatto, esautorato la Regione dalle scelte sul fronte della lotta alla pandemia, tutti gli altri (grossi) problemi della sanità calabrese rimangono in piedi. Finora, però, il dg si è preoccupato di riorganizzare il dipartimento (sempre in splendida solitudine) senza neppure coinvolgere più di tanto i “suoi” dirigenti. Anche il comando della sua segretaria storica alla Cittadella di Germaneto è stato letto come un ulteriore segnale di arroccamento. E la prima risposta all’atteggiamento di chiusura è arrivata quando, davanti a una manifestazione d’interesse per rimpolpare i ranghi del dipartimento, la risposta è stata l’arrivo di… zero domande. E molti temono che dai primi passi più che cauti si possa arrivare addirittura alla paralisi del settore.
Le stanze ovattate di Agenas e del ministero della Salute – dove, peraltro, dopo la causa intentata senza successo per essere reintegrato in Agenas, le porte per Bevere non sarebbero proprio spalancate – sono altra cosa rispetto alla Calabria, dove sporcarsi le mani (nel senso buono del termine) e dialogare sono attività quasi obbligate se si vuole produrre qualcosa. (ppp)
x
x