di Michele Presta
COSENZA Il racconto del duplice omicidio di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti è stravolto. Quanto riportato dalle cronache da quel febbraio del 1986 ad oggi non corrisponderebbe al vero. Il condizionale è d’obbligo viste le circostanze, ma Gianfranco Bruni ergastolano e già condannato a 30 anni con rito abbreviato per questo delitto, nel corso del processo celebrato dinnanzi alla Corte d’Assise di Cosenza racconta una nuova versione dei fatti. «Io di questo duplice omicidio non ne ho mai parlato con nessuno» ribadisce più volte ai due avvocati dell’imputato Francesco Patitucci, i legali Marcello Manna e Luigi Gullo. Lo ripete ai giudici togati e lo ribadisce anche al pm Camillo Falvo. «Ma come mai fino ad oggi lei per questo processo si è sempre dichiarato innocente e adesso ci racconta che invece ne è stato protagonista?» chiede Falvo. «E’ da un anno che sto seguendo un percorso di riabilitazione e mi voglio liberare di questo peso» replica l’ergastolano, conosciuto in ambienti criminali cosentini come “tupinaru”. E così per Gianfranco Bruni, i due ragazzi, non morirono a casa di Francesco Patitucci durante un pranzo dopo l’uccisione del maiale ma lungo la vecchia strada che collegava l’area urbana di Cosenza con Paola, passando per Falconara Albanese.
GIANFRANCO BRUNI È L’ESCA «Ero uscito da poco dal carcere – ha spiegato Bruni – venne da me Demetrio Amendola e mi disse che dovevamo fare una cortesia ad Antonio Sena». Lo storico boss della ’ndrangheta cosentina reggente della cosca che ne porta il nome insieme a quello di Franco Pino era stufo delle scorribande di Marcello Gigliotti. Lo sgarro per cui avrebbe pagato con la vita è una rapina ad un caro amico di Senza. «Io rispondevo solo agli ordini di Franco Pino – aggiunge l’ergastolano -. Per questo, durante un’udienza del processo “Tre Provincie” al tribunale di Palmi andai da lui per vedere se fosse d’accordo con l’uccisione di Gigliotti. Non ne parlammo apertamente, non avremmo potuto dato il livello di sorveglianza, ma seppure non mi disse in modo esplicito di procedere io capii che il delitto poteva essere compiuto». Ha soli 23 anni Gianfranco Bruni il 1986. Conosce già gli ambienti delle patrie galere. «Gigliotti si fidava di me, lo stesso Lenti – continua nel racconto – per questo decidemmo che io ero la persona deputata a chiedergli un appuntamento». La scusa sarebbe stata quella di fare un sopralluogo per mettere a segno una rapina. E quindi Bruni avrebbe così dato appuntamento a Francesco Lenti il quale poi avrebbe avvisato anche Marcello Gigliotti. È così che i due sanno che dovranno percorrere gli ultimi chilometri della propria vita prima di arrivare all’appuntamento con la morte.
L’ASSASSINIO Lungo la strada che porta a Falconara però, secondo quanto riferito nel corso del processo da Bruni, si trovavano anche altre due persone: Gianfranco Ruà e Demetrio Amendola. Il primo condannato a 30 anni in abbreviato per questo omicidio, il secondo ucciso in seguito. «Quando Gigliotti scese dalla macchina – riferisce Bruni – venne freddato da un paio di colpi di fucile. A sparare è stato Ruà. Lenti non volevamo ucciderlo ma, dopo aver assistito alla scena, è andato di matto. Avevamo paura che andasse a raccontare tutto ai carabinieri». Legato e messo in macchina «ancora mezzo vivo» arrivati in una strada impervia decisero che fosse arrivato il momento di dare alle fiamme l’autovettura e il cadavere. «Era molto buio – prosegue Bruni in veste di testimone – Lenti era molto agitato e Amendola lo colpi con l’ascia. Poteva colpirlo ovunque e gli mozzò la testa. Non è vero quello che si scrisse o si diceva in giro che la testa mozzata venne portata come prova del delitto, penso che a staccarla poi siano stati degli animali». Fatti fuori i due, la macchina poi venne data alle fiamme e ritrovata qualche tempo dopo in uno scenario tutto innevato. La fotografia scattata all’epoca è diventata poi emblema dei processi che si sono celebrati.
A CASA DI PATITUCCI E IN DISCOTECA Gianfranco Bruni ha riferito come solo Francesco Lenti fosse presente a casa di Francesco Patitucci il giorno dell’uccisione del maiale. «Riferii solo ad Amendola dell’appuntamento». Tutto questo sarebbe successo il giorno prima dell’uccisione. «Con Patitucci di questo omicidio non ne ho mai parlato, io dovevo fare solo da esca». Il pranzo sarebbe filato liscio, non la sera in discoteca. «Ci trovavamo per puro caso in discoteca io – dice Bruni – Francesco Lenti e Marcello Gigliotti. La polizia fece irruzione e ci portarono in questura con l’accusa di aver fatto una rapina, ma venimmo scagionati subito». Bruni rispondendo alle domande di Falvo ha aggiunto di non sapere che Marcello Lenti fosse solito girare con in tasca un registratore visto che temeva per la propria vita, ne che l’arma del delitto fosse stata procurata da Roberto Pagano, reato per il quale il pentito è stato condannato. Il prossimo 14 ottobre il processo riprenderà con la requisitoria dell’accusa e le arringhe della difesa. La sentenza è prevista per il prossimo 28 ottobre. (m.presta@corrierecal.it)
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