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«I meridionali hanno davvero dimenticato il razzismo?»

di Vito Teti*

Pubblicato il: 18/09/2020 – 14:52
«I meridionali hanno davvero dimenticato il razzismo?»

Ma i meridionali hanno davvero dimenticato il razzismo di cui sono stati oggetto e vittime?  I termini barbaro, primitivo, degenerato, senile, degradato, maledetto, sudicio, ozioso, brigante, nostalgico, violento, eccessivo, ambiguo, criminale, superstizioso, terrone sarebbero passati nel linguaggio comune per indicare le popolazioni del Sud. Si diffondono tra molti studiosi, giornalisti, registi che si occupano di emigrati italiani. Medici, magistrati, saggisti, relatori di inchieste, cronisti che affrontano problemi del Sud fanno sempre riferimento alle posizioni dei positivisti, sia pure per confutarle o attenuarle. Insurrezioni popolari e occupazioni delle terre nel primo e nel secondo dopoguerra; emigrazione e fuga dalla campagna; episodi di banditismo e di violenza; la rivolta di Reggio Calabria e i fatti di Avola e di Battipaglia; i terremoti della Sicilia, dell’Irpinia, di Napoli, fino a quello recente de L’Aquila; le stragi di mafia e le guerre di ’ndrangheta: la teoria della maledizione e dell’immutabilità della razza ha fornito spiegazioni comode e semplici per ogni evento drammatico e dolente che accade al Sud. Antonio Gramsci nel 1936-37 nota come la «miseria» del Mezzogiorno apparisse «inspiegabile» storicamente per le masse popolari del Nord.
L’unità d’Italia non era avvenuta su una base di uguaglianza, ma come «egemonia del Nord sul Mezzogiorno»: il Nord era concretamente una «piovra» che si arricchiva a spese del Sud. L’incremento economico-industriale del Settentrione era in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura del Meridione. Il «popolano» dell’Alta Italia non poteva conoscere questi processi e pensava che se il Sud non progrediva, dopo essere stato liberato dal regime borbonico, questo significava che le cause della miseria non erano da ricercarsi nelle condizioni economico-politiche interne, ma erano innate nelle popolazioni. L’antica leggenda della grande ricchezza naturale del Sud che veniva inutilizzata portava a una sola spiegazione: «l’incapacità organica degli uomini, la loro barbarie, la loro inferiorità biologica», una sorta di patologia endemica. Si radica a Nord la credenza che il Mezzogiorno fosse una «palla di piombo» per l’Italia e che la civiltà industriale moderna del Nord avrebbe fatto maggiore fortuna senza questa «palla di piombo» al piede. Col tempo si sarebbero affermati un notevole pessimismo e una lacerante sfiducia, non solo tra le popolazioni del Sud, ma tra gli stessi studiosi meridionalisti. Nel 1949 Gaetano Salvemini confessa amaramente: «Anch’io aspettavo dal Nord aiuto, ma credevo che il Sud si sarebbe aiutato da sé. Fortunato sperava troppo dai nordici, e io speravo troppo dai sudici (così cinquant’anni fa si chiamavano nel Nord quelli che si chiamano oggi i terroni)» (tratto da Maledetto Sud, Einaudi, 2012).

*antropologo e docente universitario

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