Per iniziativa di Claudio Signorile, invero collaborato per diverse ragioni geografiche ma per identica progettualità da Beppe Sala e Piero Bassetti, si è intrapresa una interessante campagna per:
– federare, in una prima fase, le Regioni per fare sì che sostengano progetti comuni per macro-area;
– generare, in una seconda fase, una sorta di riforma (costituzionale) intesa alla formazione di tre grandi macro-regioni, identificative del nord, del centro e del sud. Una rivisitazione che imporrebbe anche un ulteriore diverso posizionamento costituzionale dell’Italia insulare e massimamente alpino, con il venir meno di una specialità che non ha più ragione di esistere.
Ma fermiamoci al primo step. Il Corriere del Mezzogiorno ha offerto all’idea molto spazio, iniziando a pubblicare un articolo-manifesto a firma del più volte ex ministro (del Mezzogiorno e dei trasporti) e vice segretario del PSI di Craxi. Allo stesso, hanno fatto seguito altri interventi, tra i quali (solo in ordine temporale) uno mio, uno dell’altro vice segretario PSI Giulio Di Donato e un altro di Ercole Incalza. Non solo. Anche l’ex ministro Claudio De Vincenti ha scritto riprendendo gli stessi temi proposti al dibattito quali progetti interregionali da insediare nella programmazione del Recovery Plan nazionale. Così come Antonio Polito che ha prestato alla iniziativa la sua prestigiosa firma di vice direttore del Corriere della Sera consigliando ai governatori in carica e a quelli che usciranno dalle urne stanotte di sostituire alle solite rivendicazioni da «sindacalisti» una progettazione comune.
Questa è la sintesi di quanto accaduto dal 15 settembre scorso sulla stampa, in linea con lo spirito dell’iniziativa pubblica svoltasi a Taranto il 16 novembre 2019, cui ho avuto il piacere di partecipare con un mio intervento scritto.
L’osservazione che vorrei porre oggi all’attenzione comune, attesa la importante novità e il successo che l’idea di Claudio Signorile & Co. sta guadagnando, è il diverso ruolo che dovranno assumere i Presidenti di Regione del Meridione. Specie in relazione al dovere di co-progettare le risorse europee che potrebbero offrire l’occasione alle loro regioni di stravolgere i loro connotati di arretratezza.
Ebbene sì, ai numeri uno delle Regioni competerà l’assunzione di un nuovo ruolo, politico prima che istituzionale. Dovranno anticipare, perché il tempo utile a disposizione è breve per fare ciò che occorre. Per ciò che si può fare oggi o mai più.
Il loro compito dovrà essere quello di anticipare gli effetti di quella che dovrà essere l’iniziativa costituente del «Meridione federato».
Dovranno rappresentare in un sito politico comune, tutte insieme, le istituzioni che presiedono nella loro interezza, prescindendo da maggioranza e opposizione, ma soprattutto le loro «nazioni regionali», al lordo delle rappresentanze sociali e del mercato.
In questo ruolo dovranno essere gli accaniti sostenitori del bisogno da soddisfare, spesso primario, e i proponenti delle iniziative da concretizzare per portare il Mezzogiorno alla pari dell’Europa.
Un compito che non finirà ovviamente qui. Dovranno «fare fiato e muscoli» per divenire reali garanti della corretta esecuzione dei progetti che saranno trasformati, grazie alle risorse europee da pretendere come «Meridione (pre)federato», in occasioni materiali di sviluppo.
E quest’ultima sarà una delle cose più difficili da far credere e da dimostrare alla Commissione UE, vista la dimostrata incapacità del Mezzogiorno di non sapere utilizzare le risorse straordinarie già comunitarie. Ma su questo, sole che se ne abbia la voglia, ci si può lavorare, nonostante le conclusioni pessimistiche con le quali Lo Polito ha concluso il suo pezzo di domenica.
*docente Unical
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