di Roberto De Santo
COSENZA L’innovazione nei processi di produzione e nella sperimentazione di nuovi prodotti resta uno dei talloni d’Achille delle imprese calabresi. Gli investimenti in ricerca e sviluppo, in questo senso, compiuti dalle aziende collocano la Calabria agli ultimi posti in Italia. Una tendenza confermata anche dall’ultimo dato diffuso nei giorni scorsi dall’Istat che, passando in rassegna la spesa per R&S effettuata dall’interno delle aziende sulla percentuale di Prodotto interno lordo della singola regione, pone la Calabria al penultimo posto. Appena lo 0,54% del Pil, ben distante da altre aree del Paese come ad esempio nel Piemonte o nell’Emilia Romagna in cui quella percentuale sale di oltre i due punti: rispettivamente al 2,17 e 2,03. Eppure la sfida sull’innovazione resta uno degli obiettivi per rendere maggiormente produttiva un’azienda attraverso l’innalzamento del livello di competizione su scala non solo nazionale.
Non per nulla l’innovazione rappresenta uno dei pilastri su cui si basa anche l’ossatura delle linee guida del Piano nazionale di ripresa e resilienza per accedere alle risorse del Recovery Fund. Sempre stando al report dell’Istat è emerso che sono state le imprese del Nord a trainare la spesa in R&S visto che rappresentano, con 15,9 miliardi di euro, ben il 63,1% dell’intera fetta di investimenti effettuati in Italia nel settore. Anche se per effetto del Covid, l’Istat prevede una flessione degli investimenti per il 2020 di quasi 5 punti percentuali in Italia. Ma resta il dato elevato di risorse impegnate dalle piccole e medie imprese concentrate in cinque regioni: Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto.
Un mondo parallelo e lontano anni luce rispetto a quanto avviene nel Mezzogiorno e in Calabria in particolare, dove la caratteristiche strutturali delle aziende non facilitano questo genere di investimenti. La polverizzazione del numero di imprese e i settori produttivi dove si concentrano – per lo più servizi, edilizia, commercio e turismo – non spingono gli imprenditori a premere sull’acceleratore degli impegni destinati a questo genere di investimenti. Nonostante l’economia calabrese sia tra quelle in assoluto che avrebbe necessità più di altre realtà di alzare il livello di competizione. Una sorta di cane che si morde la coda per il sistema produttivo calabrese. Ma a scoraggiare il percorso di innovazione delle aziende da parte degli imprenditori, tra l’altro «l’orografia del territorio, le condizioni infrastrutturali della nostra regione e la lentezza della macchina burocratica» Ne è convinto il professor Andrea Lanza, professore ordinario di Strategie d’Impresa e di Organizzazione Aziendale all’Università della Calabria nonché docente di Marketing presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi di Milano.
Professore perché le imprese calabresi investono poco nel settore della ricerca e dello sviluppo?
«In generale, i dati richiedono sempre una lettura approfondita e, probabilmente, in queste analisi le piccole e piccolissime imprese – che andrebbero separate dalle medie – soffrono di più per la carenza di capitali e di organizzazione aziendale, ossia i due requisiti preliminari per svolgere le attività di Ricerca & Sviluppo. Però questo dato credo sia comune a tutte le piccole imprese, e non solo tipico delle piccole attività calabresi. Inoltre, deve essere considerato anche il tipo di settore. In genere, le attività manifatturiere e i servizi avanzati sono i comparti dove si investe di più in R&S, mentre nei servizi tradizionali, nel turismo e nel commercio tendenzialmente ci sono forme di innovazione diversa, meno legata agli investimenti in R&S. Si tratta spesso di innovazioni organizzative molto efficaci, ma che non richiedono investimenti in R&S».
C’è anche un problema di approccio culturale a questo segmento da parte del management delle aziende calabresi?
«Come metodo, preferisco evitare le generalizzazioni e basarmi su ciò che posso osservare attraverso i dati. Nello specifico, non credo ci sia una “questione culturale” tra gli imprenditori della nostra regione. In genere, imprenditori e manager rispondono agli stimoli e alle opportunità tenendo conto delle condizioni di contesto. Credo che a scoraggiare tendenzialmente gli investimenti rischiosi e caratterizzati da incertezza nei ritorni, quali quelli in R&S, invece, siano la conformazione orografica, la dispersione della popolazione in tanti piccoli paesini, e le condizioni infrastrutturali della nostra regione (e del Sud in generale), insieme alle incertezze del quadro burocratico amministrativo, cosa peraltro evidenziata anche dalla UE a più riprese in questi anni».
Quali vantaggi comporterebbero per le aziende puntare sulla ricerca scientifica e lo sviluppo sperimentale?
«I prodotti e i servizi innovati rappresentano lo sviluppo futuro dei mercati e pertanto riescono a dare alle imprese che li lanciano con successo, dei vantaggi legati alla migliore reputazione e alla maggiore visibilità. Garantendo, inoltre, un prezzo più vantaggioso visto che in genere i prodotti innovativi hanno meno concorrenza, almeno nelle fasi iniziali».
Eppure risorse soprattutto comunitarie negli anni sono state programmate. Cosa non ha funzionato?
«Non ho una risposta a questa domanda. Per il futuro occorrerebbe forse concentrare le risorse su specifici obiettivi strategici che mirino a portare crescita e occupazione sostenibile, tenendo conto delle tendenze collegate alla economia sostenibile / circolare / green».
Ora ci sono le somme che potrebbero arrivare dal Recovery fund. Crede che si debbano dare priorità a questi aspetti per rendere più competitivo il sistema produttivo calabrese?
«Le risorse del RF dovranno rilanciare tutta l’economia nazionale e, ad oggi, dobbiamo ancora sapere quali sono i progetti su cui il Governo deciderà di puntare. Nello specifico, non sono sicuro si possa parlare di un “sistema produttivo calabrese” vero e proprio, nel senso che nella nostra regione – a parte alcune concentrazioni specifiche nell’agricoltura – non sono presenti quelle realtà conosciute come Distretti Industriali (ossia, concentrazioni geografiche a volte anche di diverse centinaia di imprese legate tra loro da vincoli di filiera e di sub-fornitura) che invece sono presenti in altre regioni. In generale, credo che una buona capacità innovativa nella trasformazione dei prodotti agricoli e nella loro commercializzazione globale potrà rendere la nostra regione più competitiva, così come la capacità di destagionalizzare i flussi turistici e l’utilizzo di forme di ospitalità creative e innovative potranno rendere la Calabria una meta turistica non solo balneare e quindi generare ricavi e occupazione, a livello locale, per 8-9 messi l’anno. Questo, voglio sperare, si potrà fare anche solo con le risorse esistenti. Se ci saranno risorse aggiuntive dal RF, naturalmente, costituiranno una spinta ulteriore per il raggiungimento di tali obiettivi».
Siamo a ridosso della stesura del nuovo Programma operativo regionale. Cosa potrebbe essere fatto dal decisore politico regionale per incentivare questo tipo di investimento per le imprese?
«Gli investimenti in R&S devono essere fatti se finalizzati a specifici obiettivi. Prima occorre definire gli obiettivi. Poi, decidere gli ambiti degli investimenti sarà una conseguenza».
Quale contributo sta offrendo il mondo universitario calabrese per rafforzare il settore della ricerca e dello sviluppo all’interno delle imprese locali?
«Naturalmente posso esprimermi solo con riferimento alla mia Università, l’Unical, nell’ambito della quale ci sono numerose attività a supporto del Trasferimento Tecnologico, tra cui, solo per fare uno dei tanti esempi possibili, un incubatore denominato TechNest, la cui missione è proprio agevolare il travaso della ricerca, vale a dire portare le innovazioni dal mondo dei laboratori a quello della ricerca applicata alla vita reale. Sono tanti gli imprenditori calabresi che si rivolgono al TechNest per ricevere supporto e i casi di successo sono numerosi». (r.desanto@corrierecal.it)
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