«Io parlo calabrese e dico “Mamma, passau u nigru pe mò si pigghia…“, perché in calabrese non si può usare un altro termine. E nessuno può venirmi a dire che io, come minoranza calabrese, non posso utilizzarlo. E nessuno mi può vietare di utilizzare la parola “ricchione” accusandomi di essere omofobo». La platea filoleghista di Catania ispira a Nino Spirlì, vicepresidente della giunta regionale, qualche espressione imbarazzante. Non che le esternazioni dell’ex autore televisivo siano inedite. Lo sono se si considera la sua veste istituzionale. Al punto da guadagnare la pubblicazione online sul Fatto Quotidiano (qui il video) della sua “performance” (peraltro piuttosto applaudita).
«Ci stanno cancellando le parole di bocca – dice Spirlì –, come se dire “zingaro” sia già un giudizio negativo. Con “negro” è la stessa cosa, perché in calabrese dico “nigru” per dire negro, non c’è altro modo». Nel dibattito organizzato dal Carroccio, il vicepresidente della giunta regionale se l’è presa anche contro quella che «dovrebbe essere la mia lobby, non c’è nulla di peggio della la lobby frocia, che ti impedisce di chiamare le cose col loro vero nome e che dice che se non sei comunista non sei omosessuale». Il resto è una summa di pensiero reazionario («avete mai visto due uomini che si sposano, un bambino con due padri o con due madri?», dice Spirlì, sempre tra gli applausi, questa volta non tanti). Alla fine del discorso mostra in sala un rosario a là Salvini «che mi hanno regalato le suore» non prima, però, di dire che «userò le parole “negro” e “frocio” fino all’ultimo dei miei giorni. Che fanno, mi tagliano la lingua per impedirmelo?». Il campionario è completo, e chissà cosa ne pensa la presidente Jole Santelli. Mancano soltanto teorie del complotto e piano Kalergy. Magari al prossimo convegno.
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